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Cacciari e il potere che frena
di Roberto Fai


6 aprile 2013



«E ora voi sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora. Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene.». Così San Paolo, nella seconda Lettera ai Tessalonicesi (2, 6 e sgg.). Un passo inquieto che accenna ed allude alla manifestazione del Mysterium Iniquitatis, cioè l’Anticristo, l’Anomos (“il senza legge”) che, spacciandosi egli stesso per Dio, è in verità solo il figlio della perdizione, che proverà a farsi amare come il vero Dio, sedendosi egli stesso nel suo tempio. Anche se, avverte subito San Paolo, c’è qualcosa che “trattiene” l’Anticristo dall’irrompere nel mondo. Se l’Iniquo è da sempre al lavoro, solo quando “quel che lo trattiene” (katéchon) sarà tolto di mezzo, si darà la sua piena manifestazione. Tuttavia è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene (katéchon), proprio perché, dopo il manifestarsi dell’Iniquo, sarà l’ora dell’avvento dell’apocalisse: la “parusia” del Signore segnerà così il pieno trionfo sull’apostasia e l’anomia.

Come noto, attorno a questa drammatica, enigmatica scena evocata da San Paolo, si sono arrovellati senza sosta i Padri della Chiesa: da Ireneo a Tertulliano, così come Origene, Agostino, sino a Calvino, per trovare, nel ’900, quel Carl Schmitt che, a partire dalla secolarizzazione del Moderno, sulle tracce della “analogia”, ha provato a radicalizzare, davanti alla “fine della statualità”, le eterne domande della “teologia politica” dell’Occidente. Attorno a queste domande, da Paolo a Schmitt, così oscillanti nella piena individuazione della figura — sul “Chi è” e sul “ruolo” —, del “katéchon” è tornato ad interrogarsi Massimo Cacciari, consegnandoci un testo davvero acuto e pregevole — Il potere che frena. Saggio di teologia politica, edito da Adelphi —, nel quale il filosofo, davanti ad un tempo così “immanentistico” ed affetto dal suo incontenibile nichilismo, prova a ripercorrere la drammaticità del testo paolino, ponendo sul piatto la posta in gioco che eternamente fende il dissidio tra “Bene” e “potere”, tra “verità” e “politica”: sino ai nostri giorni, stante che, se San Paolo andava interrogando la figura del “katéchon”, e il suo stesso ‘doppio’ ruolo “frenante”, tra Impero romano e Chiesa, appaiono davvero straordinarie, allusive ed evocative, le pagine nelle quali Cacciari pone l’analogia — che è già in Schmitt — tra il ruolo dello Stato e la stessa funzione “catecontica” che quest’ultimo è venuto svolgendo nel “Moderno”. Ed è così che Cacciari intravvede come “il dissolversi della forma catecontica prosegue con quella di ogni ‘dio mortale’, corrode, infine, la realtà dello Stato, lo spoglia di ogni auctoritas, dimostra l’impossibilità di superare il piano orizzontale della rete dei conflitti e degli interessi”.

Analogia perfetta e fenomenologia della totale “anomia” cui è giunto l’attuale “sistema-mondo”, con la fine-crollo di tutte le forme di “rappresentazione”, al punto che oggi giocano, nel loro crasso individualismo, le forze e “le potenze decisive che operano sul piano globale”, adesso imprevedibili ed “intolleranti ad ogni katéchon”.

“Anomia” che sporge incessante da un tempo che è visibilmente libero da ogni “determinatezza spaziale”, ora che non può più darsi “Nomos del Mondo”. Da qui, non solo il carattere impotente ed ineffettuale di ogni “appello al politico”, bensì la “fine” stessa di quella età “prometeica” del Moderno, un tempo forte della sua ansia di progetto e di futuro, e segnata adesso dal timbro di Epimeteo (“colui che vede in ritardo”), inquieta figura che, nell’insecuritas del tempo attuale, si staglia “impotente” di fronte alle macerie della Globale Zeit.




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