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La natura e la carne
Nota sulla filosofia di Merleau-Ponty
di Fabio Di Clemente*

24 gennaio 2021


1. La Natura e il corpo.

In una nota di lavoro sulla Natura, Merleau-Ponty scrive: «il sensibile, la Natura, trascendono la distinzione passato presente, realizzano un passaggio dal di dentro dell’uno nell’altro». Questo passaggio si presenta come l’«Eternità esistenziale. L’indistruttibile, il Principio barbaro» [1]. Davanti alla ricerca dell’indistruttibile, del Principio barbaro, egli dichiara di voler rendere oggetto di psicoanalisi la Natura: «Fare una psicoanalisi della Natura: è la carne, la madre» [2]. Siamo nell’ultima fase del pensiero del filosofo, in cui la concezione della Natura si consolida in termini di carne. La carne si presenta come espressione dell’altro lato dell’uomo, ovvero di una materia lavorata o in chiasma con l’uomo, non della «materia» in sé [3].
Relativamente alla capacità della Natura di trascendere la distinzione passato presente, Merleau-Ponty richiama gli sviluppi a cui sottopone il tema dell’Ineinander del presente e del passato individuato in Husserl, ad esempio nel corso su La filosofia oggi. Si tratta di quella «storia che funziona in noi, non processo, catena di eventi visibili, ma storia intenzionale o verticale con Stiftungen, oblio che è tradizione, riprese, interiorità nell’esteriorità — Ineinander del presente e del passato» [4].
Il riferimento va all’«ignoranza del mondo vissuto [che] sterilizza la scienza stessa imprigionandola per lungo tempo in alcune rappresentazioni rigide della materia» [5]. In merito, egli scrive nel richiamare l’inindagato tradizionalismo di cui parla Husserl [6]: «Oblio dell’operazione di Stiftung mascherata dai propri risultati» [7]. In via ulteriore, la riflessione sul tempo che mette capo al passaggio interno tra passato e presente, quale Eternità esistenziale, indistruttibile, Principio barbaro, si sviluppa nei termini della simultaneità e dell’ubiquità.

Nel riprendere il tema del tempo di Paul Claudel, Merleau-Ponty critica la riduzione dello spazio e del tempo a serie di cose [8]. Il filosofo cerca di pensare l’emboîtement, la relazione d’incasso tra l’ordine del simultaneo, attribuibile allo spazio, e quello della successione, attribuibile al tempo. Lo spazio e il tempo entrano nell’ordine dell’incompossibile, cioè non della semplice simultaneità, ma della simultaneità per intersezione dei campi. Lo spazio e il tempo sono dimensioni, strutture d’orizzonte, orizzonti che si sopravanzano reciprocamente.
È un sopravanzamento fatto di differenziazione, di relazione differenziale, sempre differita o, meglio, à faire: ««leggo il tempo nello spazio e leggo dello spazio nel tempo (che cosa sarebbe un tempo che non avvenisse in uno Spazio e nel medesimo spazio?). Una sola grande differenziazione di un solo Essere» [9]. La differenziazione si fonda sulla differenza come non-coincidenza, scarto rispetto ad una dimensione; differenza che diventa l’indice della distanza, ovvero della trascendenza come identità dinamica con la quale si forma il mondo per me: essa apre, ontologicamente, ad una profondità dimensionale, in cui lo spazio e il tempo si pongono per incasso. Il tutto avviene, specularmente, con il corpo visto come sensibile dimensionale, un questo dimensionale [10], in quanto dotato di una cavità, di uno schema corporeo lacunoso dal significato ontologico.
Al riguardo, dobbiamo ricordare — anche se in estrema sintesi — che nel pensiero merleau-pontiano i primi frutti della riabilitazione del corpo come potenza motrice si colgono con la nozione di schema corporeo. Lo schema corporeo è definito inizialmente come ««sistema di equivalenze […], invariante immediatamente data in virtù della quale i diversi compiti motori sono istantaneamente trasponibili» [11].
In seguito, nello schema corporeo vengono uniti in maniera più articolata il movimento e la percezione, nonché ultimamente la profondità, su cui ci soffermeremo più avanti. Lo schema corporeo è il fondo di una praxis, che è l’unità di un’azione sul mondo [12] e non l’oggetto di un’attività conoscitiva; in quanto spazialità pre-oggettiva [13], che precede la percezione esplicita, esso non è percepito [14]. Di conseguenza, la praxis fa della coscienza percettiva un’attività di frequentazione e non una gnosi [15], tanto per il mondo naturale come per quello culturale.

Lo schema corporeo finisce per apparire sempre più come un essere lacunoso [16] nella sua struttura libidinale e sociale [17], dal significato ontologico [18]. Mantenendo l’immagine del corpo profondamente relazionata allo schema corporeo [19], Merleau-Ponty dice rispetto al corpo libidinale, nel terzo corso su Il concetto di Natura, che all’interno lo schema corporeo è cavo: il rapporto d’incorporazione, di espulsione — introiezione, nella misura in cui «può estendersi alle cose (abiti e schema corporeo) può espellere una parte del corpo». Correlativamente, «così come il mio tatto viene captato dalla mia immagine, esso viene captato anche dall’immagine visiva degli altri: anch’essi sono il mio di fuori. E io sono il loro didentro. Essi mi alienano e io li incorporo» [20].
Con questa cavità, s’impone una indivisione tra il mondo e gli esseri, mondo da ritrovare nel corpo materno [21]. Una tale indivisione comporta il farsi dello schema corporeo in chiave di carne prendendo in considerazione l’intrasensorialità, per generalizzarla, per farla transitare nella carne come elemento, tra motricità, estesiologia e sinestesia. Come è stato messo in evidenza, il fenomeno poc’anzi richiamato, descritto da Schilder, della captazione del corpo tattile da parte dell’immagine visiva esibisce una generalità che nutre l’intrasensorialità di intersensorialità e di intermodalità, poste al servizio di una intercorporeità nascente [22].
Con la cavità del corpo, dice Merleau-Ponty, io partecipo all’Essere stando nel tessuto del fra: per lo spazio io sono fra la mia prospettiva e quella altrui, così come per il tempo io sono fra il mio passato e il mio presente [23]. Il corpo proprio (Leib) è rinviato al contatto globale, allo spessore spazio-temporale d’appartenenza di natura ontologica, indicato dalla nozione di carne. Contro il conflitto tra lo spazio e il tempo, siamo ricondotti ad una relazione spazio-temporale carnale, fatta di uno spazio di trascendenza, spazio di incompossibilità, di spaccamento, di deiscenza, critico di quello oggettivo-immanente [24].
Gli ultimi scritti di Merleau-Ponty tornano a più riprese sul tema dello spazio e del tempo alla luce della domanda inesauribile di Paul Claudel sullo spazio e sul tempo, posta fra noi e il mondo: Dove sono? e Che ora è? [25]. Nel combattere la credenza dell’idealismo, ovvero una coscienza costituente delle cose, e del realismo, ovvero una preordinazione delle cose alla coscienza [26], il filosofo associa all’istanza della simultaneità quella dell’ubiquità.
L’interrogazione è ripresa nei termini di una domanda inesauribile poiché essa comporta che gli eventi-riferimento e le località [27] rinviino sempre ad altri eventi e ad altre località, nel tentativo di sapere «[…] qual è il nostro vincolo indistruttibile con le ore e i luoghi, questo perpetuo rilevamento sulle cose, questa installazione continua fra di esse, in virtù della quale, primariamente, è necessario che io inerisca a un tempo, a un luogo, quali che siano» [28]. Infine, alla simultaneità e all’ubiquità può integrarsi il tema della co-nascenza, ripreso sempre dal pensiero di Claudel. Come evidenzia Saint Aubert, è il «nascere con le cose che co-nascono, vederle e concepirle, essere visto e concepito da esse. Co-nascere (con) il mondo» [29].


2. La Natura e le relazioni carnali.

In maniera più estesa e articolata, nel dichiarare di voler fare una psicoanalisi della Natura, Merleau-Ponty guarda all’incarnazione a cui egli ha sottoposto lo schema corporeo, a partire dalla logica d’implicazione o di promiscuità, con la quale procede l’inconscio visto in chiave di coscienza percettiva [30]. Complessivamente, egli pensa le dinamiche interne all’intricazione nello spazio-tempo di percezione e movimento, di percezione ed espressione [31], il correlato nesso del voyant-vu con la struttura dello specchio (analizzata a cominciare dalle fonti neurologiche, psicologiche, psicoanalitiche e sociologiche) [32], nonché le più ampie relazioni carnali intercorporee e intersoggettive di natura conoscitiva, empatica, erotica, sessuale, mistica ed eucaristica [33], in cui confluiscono le modalità espressive della percezione, come quelle inconsce, immaginarie, oniriche e desideranti [34].

In questo modo il filosofo costruisce e modella il concetto di carne, una relazione chiasmatica che, ultimamente, indica il fatto che «ogni rapporto all’essere è simultaneamente prendere ed essere preso» [35]. Egli sostiene che bisogna pensare la filosofia come «l’esperienza simultanea del prendente e del preso in tutti gli ordini», a tal punto che essa non può sovrastare la vita, ma ne rimane al di sotto [36]. La simultaneità chiasmatica vuol esibire la compresenza di unità e differenziazione. Nell’invitare a non pensare come dei «positivi (qualcosa di spirituale + o – denso)» né come dei negativi o negatità tutti quei termini che formano l’architettura delle nozioni della psico-logia (percezione, idea, — affezione, piacere, desiderio, amore, Eros), una nota di lavoro parla di essi in chiave di «differenziazioni di un’unica e massiccia adesione all’Essere che è la carne (eventualmente come delle frange)» [37].
Questa definizione di carne, legata all’adesione all’Essere, presuppone, a sua volta, il contatto con un Essere verticale, che solo la filosofia ci restituirebbe: l’Essere verticale o selvaggio è «quell’ambito pre-spirituale senza il quale nulla è pensabile, nemmeno lo spirito, e in virtù del quale noi passiamo gli uni negli altri, e noi stessi in noi stessi per avere il nostro tempo. È solo la filosofia che lo dà» [38].
L’adesione unica indica il fenomeno unico del chiasma o della reversibilità del vedente-visto, del senziente-sensibile, per non parlare del chiasma o delle reversibilità all’interno del linguaggio, della cultura e della storia, dunque dell’attività e della passività. Merleau-Ponty concepisce la reversibilità del vedente e del visibile, del toccante e del toccato come reversibilità imminente e mai realizzata di fatto [39]; è uno sfuggimento incessante, scarto, iato che permette, con la reversibilità, la transizione e la metamorfosi da una delle esperienze all’altra [40].
Pertanto la formazione della presenza passa per una mancanza. Ma essa non può essere un dato positivo, mancanza di questo o di quello, consolidandosi conseguentemente come intrinseca, costitutiva. L’implicazione è quella del punto cieco [41], di non-coincidenza (differenza imminente, à faire, trascendenza, dimensionalità) per la coscienza e l’attività conoscitiva, espressa di forma esemplare o eminente dal fatto che la coscienza arriva a formarsi e svilupparsi nel fenomeno unico del Visibile e dell’Invisibile.

L’invisibile esprime, diciamo sommariamente, la trascendenza che si costituisce nel seno stesso del visibile, la cui carne è scavata come in-visibile, nei vari significati, ad esempio, della latenza, della assenza che conta, dell’inattuale, dello scarto, della non visibilità figurativa e dell’idealità [42]. L’adesione massiccia, a sua volta, non si confonde con l’unione indistinta, ma sembra voler esprimere il fatto che il fenomeno unico raccoglie con sé il peso ontologico dello sdoppiamento del prendere e dell’essere preso.
Ci riferiamo al contatto globale, allo spessore spazio-temporale d’appartenenza. Da un lato, afferma Merleau-Ponty nel secondo corso su Il concetto di Natura: «L’uomo è a partire dall’Essere, egli ha dietro di sé tutta una quantità di esseri, il suo corpo, il suo passato». Dall’altro, egli prosegue dicendo che l’uomo «è anche volto verso il futuro. Ciò che mi costituisce come esistente è questo capovolgimento in progetto del peso che io sento dietro di me». Ed aggiunge: «Che cos’è questo peso dell’Essere, questo contatto globale che tentiamo di riportare sulla Natura e sulle società, ma senza mai arrivarci?» [43]. Con l’idea di una Natura come carne, il filosofo cerca di render conto ultimamente di questa compresenza di istanze che fanno capo alla reversibilità e al peso dell’Essere.

Specificatamente, le transizioni d’essere che convergono sulla nozione di carne vedono all’opera l’intricazione di due tipi di carne. Come emerge nel terzo corso su Il concetto di Natura, il mondo è inseparabile dalla carne del corpo. Le cose percepite sono i ««correlati di un soggetto carnale, repliche del suo movimento e del suo sentire, intercalate nel suo circuito interno, esse sono fatte della sua stessa stoffa […]» [44]. Vi è allora anche una carne del mondo.
La carne del mondo si presenta come l’indice del fatto che vi è il senso in ciò che è esterno, per cui il sensibile è la carne del mondo [45]. Sul piano della comprensione della formazione della carne, vi è una tensione costitutivamente irrisolvibile tra carne del corpo e carne del mondo. Da un lato, Merleau-Ponty sostiene che la «carne del corpo ci fa comprendere la carne del mondo» [46], nella misura in cui il corpo, come senziente sensibile, è sensibile per sé, sensibile esemplare [47]: variante molto notevole dell’essere carnale, come essere delle profondità, il nostro corpo «[…] offre a chi l’abita e lo sente quanto occorre per sentire tutto ciò che dall’esterno gli somiglia».
Ed egli sottolinea anche il fatto che nonostante sia preso nel tessuto delle cose, il corpo comunica alle cose, una volta incorporate e stabilita la segregazione con esse, ««[…] quella identità senza sovrapposizione, quella differenza senza contraddizione, quello scarto dell’interno e dell’esterno che costituiscono il suo segreto natale» [48]. In tal senso, come abbiamo già accennato, il filosofo dice che il «mio corpo è, al massimo grado, quello che è ogni cosa: un questo dimensionale» [49]. Dall’altro, egli aggiunge: «È in virtù della carne del mondo che in fin dei conti si può comprendere il corpo proprio. La carne del mondo è qualcosa di Essere-visto, i. e. è un Essere che è eminentemente percipi, e grazie a essa si può comprendere il percipere» [50].

Vi è dunque una relazione speculare tra la carne del corpo e quella del mondo; in essa «il mio corpo è fatto della medesima carne del mondo (è un percepito)», così come «di questa carne del mio corpo è partecipe il mondo, esso la riflette», per cui «il mondo sopravanza su di essa ed essa sopravanza sul mondo (il sentito saturo di soggettività e al tempo stesso di materialità), essi sono in rapporto di trasgressione o di sopravanzamento» [51].
In questa relazione speculare, che è un inerire a e non un atto [52], fatta di un legame simultaneo tra soggettività e materialità (nel senso dell’intersezione dei campi, del rapporto di trasgressione o di sopravanzamento) e leggibile tra il vedente e il visibile, il senziente e il sensibile, una carne attinge dall’altra nella misura in cui l’una e l’altra partecipano di una stessa membratura, non nel senso dell’idealità, né dell’identità reale, ma in quello dell’apertura ad un’altra dimensione del “medesimo” essere [53].
La carne può indicare, complessivamente, la massa interiormente travagliata, che, in luogo delle sostanze di corpo e spirito, si presenta come il «Medium formatore dell’oggetto e del soggetto», che elimina l’idea dell’«atomo d’essere, l’in sé duro che risiede in un luogo e in un momento unici» [54]. Di conseguenza, la carne non può essere materia (nel senso corpuscolare), spirito o sostanza, ma è ciò che rimane a mezza strada fra l’individuo spazio-temporale e l’idea [55]; correlativamente, la carne non può essere neanche un fatto, ma «è inaugurazione del dove e del quando, possibilità ed esigenza del fatto, in una parola fatticità, ciò che fa sì che il fatto sia fatto» [56].

Rispetto ad essa, non possiamo cercare una finitezza nel senso empirico, porci in una realtà (a cominciare da quella dello spazio e del tempo) descrivibile in termini oggettivi, di in sé, ma solo accompagnare una finitezza in veste di realtà fungente, di realtà interna all’Essere. Davanti all’originario che esplode, all’esplosione dell’Essere che la filosofia deve accompagnare [57], bisogna render conto tanto dell’unità degli essenti e dei fenomeni quanto della differenziazione che passa in essi e tra di essi. Allora nella nozione di carne deve riconfluire la relazione speculare tra corpo e mondo, in cui ritrovare l’istanza della differenziazione.


3. L’irriducibilità della Natura alla carne.

La carne, dice Merleau-Ponty, è il ciclo intero e non solo l’inerenza in un questo individuato spazio-temporalmente [58], è un “elemento” dell’Essere, cioè una cosa generale [59] per pensare l’Essere, anche se essa non può identificarsi con l’Essere. Della generalità della carne si avvale il mondo, che con essa si generalizza: «Il “Mondo” è quell’insieme in cui ogni “parte”, quando la si prende per se stessa, apre di colpo delle dimensioni illimitate — diviene parte totale» [60].
L’operare della carne come ciclo intero spiega il fenomeno della segregazione. Emerge un narcisismo fondamentale, il narcisismo del Sensibile in sé, poiché — nota il filosofo — «[…] la visione che il vedente esercita, il vedente stesso la subisce altresì da parte delle cose, e, come hanno detto molti pittori, io mi sento guardato dalle cose, la mia attività è identicamente passività. [Con questo narcisismo], vedente e visibile entrano in un rapporto di reciprocità e non si sa più chi vede e chi è visto». Una tale Visibilità esprime l’anonimato e la generalità del Sensibile in sé [61].
Ad imporsi è il fenomeno della segregazione, testimoniato dai pittori nel «[…] raffigurare se stessi nell’atto di dipingere, aggiungendo a quel che allora vedevano ciò che le cose vedevano di loro, come a testimoniare che esiste una visione totale o assoluta, al di fuori della quale niente rimane, e che si richiude su loro stessi» [62]. La relazione tra la carne del corpo e quella del mondo si chiarisce quindi come paradosso dell’Essere e non dell’uomo. Al riguardo, afferma il filosofo: «[…] il nostro corpo comanda per noi il visibile, ma non lo spiega, non lo illumina, non fa altro che concentrare il mistero della sua visibilità sparsa; e qui si tratta proprio di un paradosso dell’Essere, non di un paradosso dell’uomo» [63].

Tuttavia rimane il problema di capire in quale maniera l’essere della Natura possa esprimere pienamente questa paradossalità. Se il corpo non spiega il visibile, dunque il sensibile, allora dobbiamo far fronte all’eccedenza dell’essere della Natura rispetto all’essere della carne. Nel pensiero di Merleau-Ponty si delinea l’essere della carne, un essere promiscuo, polimorfo e reversibile [64].
S’impone, al contempo, anche una carne dell’Essere, un Essere di carne. Si è rilevato che la stessa scrittura del filosofo mostra come la «[…] promiscuità dell’essere si raddoppi in Essere di promiscuità — un Essere di promiscuità, sincretico, bruto» [65]; è un Essere di promiscuità, in cui le regioni passano l’una nell’altra [66]. Se ne deduce che «ciò che è in promiscuità nella carne, attraverso la mia storia e il mio mondo, attraverso la carne di altri, e al di là di essi, è l’essere stesso — l’Essere […]» [67].
Dunque, in maniera speculare, l’Essere si presenta come un Essere di promiscuità, lacunoso, nei transitivismi, nelle trasgressioni, nei ricoprimenti. Secondo Merleau-Ponty, questi caratteri dell’Essere impediscono che la carne si costruisca mediante catene di causalità, oppure in una gerarchia di ordini o di strati o di piani (sempre fondata su distinzione individuo-essenza) [68]. Inoltre, questi medesimi caratteri ci restituiscono anche l’Essere che egli definisce come polimorfo o amorfo [69], nel senso di un sistema a più entrate [70]: il polimorfismo o amorfismo, che Freud stesso indicherebbe, è contatto con l’Essere di promiscuità, di transitivismo [71].
Il filosofo parla dell’Essere di promiscuità riferendosi, ad esempio, alla nascita di una nuova vita assoluta [72], all’organismo dell’embrione che si mette a percepire [73], così come all’intricazione del naturale con il culturale e all’integrazione in sé-per sé [74]. Possiamo dire che la carne dell’Essere è ciò che opera nei registri dell’avvolgente-avvolto e dell’inglobante-inglobato. In merito, sul piano spazio-temporale, nell’uso che viene fatto ancora con forza della figura della promiscuità nel corso su Claude Simon [75], fino agli ultimi manoscritti, si è indicata l’idea di un foglio spaziale o topologico, l’avvolgente-avvolto, e di un foglio temporale o archeologico, il generante-generato: «l’avvolgente-avvolto affiora dopo i suoi aspetti più arcaici, animali, addirittura vegetativi — la respirazione, il nutrimento —, e fin nell’accoppiamento».

A sua volta, «il foglio più temporale del generante-generato culmina con la pregnanza» ed è già abbozzato — potremmo dire incassato — nell’avvolgente-avvolto: la respirazione, il nutrimento, l’accoppiamento comportano una serie di reversibilità vitali (tra attivo e passivo, dedans e dehors, io e altri) [76] destinate a partecipare dei processi di generazione intercorporea e intersoggettiva.
Ora, la portanza che appartiene a questo Essere di carne, all’essere stesso che è in promiscuità nella carne, non può ridursi alla carne. In effetti, dell’incorporazione è possibile scoprire anche un altro lato: quello non incorporante, in cui si annida la portanza dell’Essere. In merito, guardando direttamente all’approfondimento a cui Merleau-Ponty sottopone la percezione, va detto che la Natura rimane vincolata agli ulteriori virtuosismi della visione legati — come abbiamo accennato — alla rilettura dell’inconscio, alla veggenza, all’onirismo (intricazione di vita percettiva e di vita immaginaria) [77] e ultimamente al desiderio, con i quali egli pretendeva pensare la moltiplicazione del sensibile, gli insospettabili rapporti d’essere che la visione ci restituisce.
Come ha sostenuto Saint Aubert, vi è nel pensiero di Merleau-Ponty una destabilizzazione dei privilegi dell’incorporazione e dell’intercorporeità [78], a vantaggio di un pensiero dell’incompiutezza e dell’inesauribile nella donazione della carne, per cui il filosofo finirebbe per rigettare lo schema del remplissement [79]. Si profila una carne ricondotta al sorgimento natale dell’essere [80], di un essere qualificato finanche come incorporeo [81]. Emerge una portanza dell’Essere che ci deve spingere non solo oltre il quadro di una Natura come grande oggetto, ma anche oltre quello di una Natura come grande corpo (quello della madre e del mondo), considerando i temi ultimi ontologici della profondità, dell’incorporeo e dell’ombra. Si tratta di figure dell’Essere non riducibili a quelle della carne (promiscuità, polimorfismo e reversibilità).

La profondità induce a dar conto della sua assenza di fondo, indefinita e inesauribile. Rispetto al vincolo della percezione, la «profondità non si lascia osservare ed esplorare come uno spazio preliminare che sarebbe semplicemente scoperto». Essa richiede piuttosto il nostro abbandono […] alla sua maniera di distribuire e calamitare il multiplo […] [82].
La profondità non è ciò che percepiamo e che siamo, ma ciò che ci permette di percepire e di essere ciò che siamo, nella misura in cui disobiettiva l’incorporazione, a vantaggio di un’incorporazione non incorporante: [essa] ci introduce alla portanza dell’essere, resiste alla carne liberandola. La profondità è, pertanto, l’essere stesso, figura dell’essere stesso [83], e non ultimamente carne del mondo.
La profondità e, infine, l’ombra sono gli invisibili pensati in funzione di un modello figurale, se non gestaltista, dell’essere [84]; è il modello che si radicalizza nel figurativo (invisibile che rende visibile) e non nel figurato (invisibile da rendere visibile), nonché nell’ombra del mondo [85]. Vi è il passaggio dalla carne del mondo all’ombra del mondo, ovvero, all’essere, nascosto e figurativo, latenza che rende visibile. L’ultima definizione dell’essere è quella che lo vede come figurativo, di cui la profondità e l’ombra sono le espressioni [86].
Parallelamente, secondo Saint Aubert, le vrai dehors, di cui parla Merleau-Ponty [87], è la profondità del mondo da cui deve sorgere la carne. Ma è la direzione — sostiene sempre l’autore — che la fa andare e camminare fuori la carne nel sorgimento natale dell’essere, dell’essere incorporeo [88]. Allora la profondità non si identifica né con la carne del corpo né con quella del mondo: essa diventa l’essere come profondità del mondo, un al di là del mondo non nel senso di un altro mondo, ma di un […] al di là attraverso, orizzonte e rovescio, ombra o “altro lato” […] [89]. La profondità come figura dell’essere stesso è, in questo modo, anche l’incorporeo [90]. Ciò spiega l’affermazione di Merleau-Ponty secondo la quale è la profondità a far sì che le cose abbiano una carne [91].

In sostanza, la domanda sull’Essere implica la sua frequentazione, tra simultaneità, co-nascenza e ubiquità, ma la frequentazione è rinviata alla portanza data da un fondo incorporeo incorporante. L’Essere, con la sua portanza incorporea incorporante, diventa la dimensionalità stessa [92], inserimento di tutte le dimensionalità [93], tenuta di campi in intersezione, quindi tenuta della stessa simultaneità [94]; tenuta che, come il filosofo dice parlando della piega o cavità d’Essere, ha «[…] per principio un esterno, l’architettonica delle configurazioni» [95]. Al di qua di una presunta rottura reale o rottura ideale [96], al di qua di una presunta separazione radicale dall’Essere o fusione totale nell’Essere, permane il vincolo indistruttibile, l’infrastruttura d’essere che diventa l’Essere d’infrastruttura nel sorreggerci.
Correlativamente, l’essere della Natura non può ridursi ad una carne qualificata nella segregazione, ovvero internamente al vincolo che esso ha con lo schema corporeo, con il cammino incorporante a cui quest’ultimo è soggetto: l’essere della Natura trascina con sé tutto un non-essere, una latenza, una trascendenza che eccede una tale incorporazione. S’impone la necessità di evitare lo sbilanciamento verso il lato antropologico [97] della carne, il progressivo assorbimento dell’irriducibilità dell’essere della Natura nell’irriducibilità della carne del mondo.
Affinché la Natura esibisca pienamente quest’irriducibilità, che diventa paradossalità al livello dell’istituzione o fondazione della carne, riteniamo che occorra ricondurla alla portanza dell’Essere: quella incorporea incorporante. Merleau-Ponty afferma che ciò che ha inizio con la Natura è la presa in considerazione non solo dell’«[…] essere che è oggetto del nostro sguardo e della nostra scelta», ma di quello che ci precede, nel senso di ciò che ci sorregge, portanza che ci fonda come uomini, che […] fa tenere insieme tutte le cose [98]. In maniera ancor più problematica, nella presentazione del suo primo corso su Il concetto di Natura, il filosofo dice che la ««natura è ciò che ha un senso, senza che questo senso sia stato posto dal pensiero. È l’autoproduzione di un senso». Essa è «differente dall’uomo; non è istituita da quest’ultimo, si oppone al costume, al discorso». In via ulteriore, la Natura — egli evidenzia — non solo è differente dall’uomo, ma è anche «diversa da una semplice cosa; ha un interno, si determina dal didentro» [99].
La filosofia allora è chiamata a confrontare le sue costruzioni, l’«artificio umano con il suo fuori, con la Natura» [100], se vuol rendere conto — lascia intendere sempre Merleau-Ponty — dell’attività o della produzione naturale senza ricadere negli artificialismi emblematici del finalismo e del causalismo. Contestualmente allo spazio della trascendenza, spazio di incompossibilità, di spaccamento, di deiscenza, critico di quello oggettivo-immanente, vi è uno « scarto che, in prima approssimazione, forma il senso» esso, chiarisce il filosofo, «non è un non che io mi assegno, una mancanza che costituisco come mancanza grazie al sorgere di un fine che mi do — è una negatività naturale, una istituzione prima, sempre già data» [101].

Incisivamente, per Merleau-Ponty la filosofia deve partire rendendo conto del problema della realtà come Esteriorità facendone il suo fuori, senza le garanzie metafisiche (a cominciare da quelle classiche). È un compito per il quale egli chiede aiuto alla scienza, a partire dal contributo della fisica moderna [102], e anche a quei saperi che ai suoi occhi rappresentavano all’epoca i sintomi culturali [103] della nuova ontologia, del nuovo rapporto tra l’uomo e l’Essere; rapporto che bisognava rendere esplicito.
È il caso dell’arte (nelle sue varie espressioni) e della psicoanalisi, abbordati nel corso su La filosofia oggi [104]. Emerge tanto il vincolo primordiale della percezione (lavorata ontologicamente nella visione, caricata di virtuosismi, di poteri poetici e mitici) quanto la mediazione del sapere scientifico, nonché degli altri saperi, nella formazione della coscienza percettiva, ovvero di quel prendere coscienza del mondo percepito [105] che la sola percezione non permette di attingere direttamente, considerando che essa non è immediata e non conosce tutto [106].
Possiamo dunque dire che è proprio il quadro filosofico merleau-pontiano ad insegnarci che la frequentazione dell’Essere pre-oggettiva, dimensionale, presuppone a sua volta il senso primordiale dell’essere della Natura: è l’essere già dato, l’istituzione prima che, come tale, precede, sostiene, fonda l’apertura all’Essere ri-presa dal senso umano, almeno nella misura in cui rappresenta rispetto a quest’ultimo il non-costruito, il non-istituito di un’attività naturale tutta da qualificare.
Non potendo riassorbire le figure dell’Essere (profondità, ombra, incorporeo) in quelle dell’essere della carne (promiscuità, polimorfismo, reversibilità), riteniamo che la qualificazione dell’attività naturale rinvii al tema della ricerca della trascendenza (nel senso merleau-pontiano dell’identità a distanza disobiettivata) tra enti e fenomeni dei cosiddetti ordini naturali. Inoltre, crediamo che l’impossibilità di assegnare un luogo e un tempo oggettivi ad una tale trascendenza (iniziazione o accesso privilegiato all’Essere), allorquando ci chiediamo dove essa inizi e finisca, comporti la nostra es-posizione più fondamentale all’essere della Natura, esprimibile per via della separazione dall’empiétement di tutto su tutto che fa capo alla carne del mondo.
Il tema della separazione, che manca di un’elaborazione filosofica nell’opera di Merleau-Ponty [107], deve rimettere, dal nostro punto di vista, al tema della profondità peculiare all’essere della Natura. Si tratta di pensare il capovolgimento, di ritorno o per contraccolpo, della mia esistenza in peso dell’Essere.


* Fabio di Clemente è professore associato di Filosofia presso la UFES (Universidade Federal do Espírito Santo, Brasile). Ha insegnato presso l’Università degli Studi di Urbino, Carlo Bo. Si è occupato principalmente del pensiero di Maurice Merleau-Ponty. Tra i suoi contributi sul filosofo francese ricordiamo soprattutto: La perception et l’histoire dans la pensée de Maurice Merleau-Ponty, in D. Losurdo, A. Tosel L’idée d’époque historique, Frankfurt a.M, Peter Lang, 2004 (19-32). Fenomenologia e ontologia. Corpo ed Essere in Merleau-Ponty, in A. De Simone et alii, Tra Dilthey e Habermas. Esercizi di pensiero su filosofia e scienze umane, Perugia, Morlacchi, 2006 (351-522). Questo saggio fa parte di un più ampio progetto di ricerca che è stato finanziato, sotto forma di Post-Dottorato, da una fondazione vincolata al Ministero dell’Educazione del Brasile: la CAPES (Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior). La ricerca è stata svolta presso il Dipartimento di Pedagogia della UFMT (Universidade Federal do Mato Grosso).

[1]. M. Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, Nota di lavoro datata novembre 1960. Tr. it. riveduta da M. Carbone. 2ª ed. Milano, Studi Bompiani, 1999, p. 278. Da ora in nota con VI.
[2]. Ibid.
[3]. Ivi, p. 285. Nota di lavoro datata marzo 1961.
[4]. M. Merleau-Ponty, È possibile oggi la filosofia? Lezioni al Collège de France, 1958-1959 e 1960-1961. Edizione italiana e Introduzione a cura di M. Carbone. Prefazione di C. Lefort. Tr. it. di F. Paracchini e A. Pinotti. Milano, Raffaello Cortina Editore, 2003, p. 55. Da ora in nota con PF.
[5]. Ivi, p. 47.
[6]. E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, tr. it. di Enrico Filippini, con Prefazione di E. Paci. Milano, il Saggiatore, EST, 1997, § 9, p. 76.
[7]. PF, p. 47.
[8]. Ivi, p. 189.
[9]. Ibid.
[10]. VI, p. 271. Nota di lavoro datata giugno 1960.
[11]. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, tr. it. di A. Bonomi. Milano, Studi Bompiani, 2003, pp. 196-197. Da ora in nota con FP.
[12]. M. Merleau-Ponty, Le monde sensible et le monde de l’expression, Cours au Collège de France. Notes, 1953. Texte établi et annoté par E. de Saint Aubert et S. Kristensen. Avant-propos d’E. de Saint Aubert. Genève, MetisPresses, 2011, pp. 138-139. Da ora in nota con MSME.
[13]. Ivi, p. 139.
[14]. Ivi, p. 143.
[15]. Ivi, p. 65.
[16]. M. Merleau-Ponty, La natura, Lezioni al Collège de France 1956-1960. Testo stabilito e annotato da D. Séglard. Edizione italiana a cura di M. Carbone. Tr. it. di M. Mazzocut-Mis e F. Sossi. Milano, Raffaello Cortina Editore, 1996, p. 398. Da ora in nota con N.
[17]. Sullo schema corporeo, abbordato per la prima volta in maniera più diretta come essere lacunoso nella sua struttura libidinale e sociale sotto l’influenza centrale di Paul Schilder, si vedano le Notes del succitato corso al Collège de France tenuto dal filosofo nel 1953. Cfr. MSME, pp. 128 sgg.
[18]. N, p. 400.
[19]. Sulla relazione tra schema e immagine del corpo, con la messa in luce del graduale superamento nel pensiero merleau-pontiano dell’immagine-fantasma e della correlata apertura verso il tema ontologico della profondità, rimandiamo a E. de Saint Aubert, Être et chair I. Du corps au désir: l’habilitation ontologique de la chair, Paris, Vrin, 2013, pp. 39 sgg e pp. 339 sgg.
[20]. N, p. 398.
[21]. Ivi, p. 400.
[22]. EC, p 188.
[23]. VI, p. 232. Nota di lavoro datata novembre 1959.
[24]. Ivi, p. 230. Altra nota di lavoro datata novembre 1959.
[25]. Ivi, p. 123.
[26]. Ibid.
[27]. Ibid.
[28]. Ivi, p. 139.
[29]. EC, p. 375.
[30]. M. Merleau-Ponty, Linguaggio, storia, natura. Corsi al Collège de France, 1952-1961, Traduzione, presentazione e note a cura di M. Carbone. Milano, Studi Bompiani, 1995, p. 61.
[31]. La percezione e l’espressione appaiono come i due temi centrali del corso al Collège de France del 1953 (cfr. MSME). Questi due temi implicano, a loro volta, la relazione tra la visione e il movimento, nonché tra la riformulazione del concetto di coscienza e il movimento.
[32]. Sulla relazione più ampia tra carne e specchio, si veda il contributo di Saint Aubert, in cui vi è sempre la messa in luce della fonte decisiva e costante di Paul Schilder sul tema specifico dello specchio, rispetto alle altre di Henry Wallon, Wolfgang Metzger, Jacques Lacan, Françoise Dolto e René Zazzo. Cfr. EC, pp. 165-200.
[33]. Come evidenzia Saint Aubert, queste relazioni carnali si alimentano della lettura dell’opera di Claude Simon (soprattutto per la loro natura erotica) e di Paul Claudel, per la loro natura ad un tempo erotica, mistica, sessuale ed eucaristica. Cfr. EC, p. 193.
[34]. Ivi, pp. 192-193.
[35]. VI, p. 277. Nota di lavoro datata novembre 1960.
[36]. Ibid.
[37]. Ivi, p. 281. Nota di lavoro datata dicembre 1960.
[38]. Ivi, p, 219. Nota di lavoro datata settembre 1959.
[39]. Ivi, p. 163.
[40]. Ibid.
[41]. Ivi, p. 260. Nota di lavoro datata maggio 1960.
[42]. Ivi, pp. 258-259. Altra nota di lavoro datata maggio 1960. Inoltre, Ivi, pp. 268-269. Altra nota di lavoro datata maggio 1960.
[43]. N, p. 198.
[44]. Ivi, p. 317.
[45]. Ibid.
[46]. Ibid.
[47]. VI, p. 152. [48]. Ibid.
[49]. Ivi, p. 271. Nota di lavoro datata giugno 1960.
[50]. Ivi, p. 262. Nota di lavoro datata maggio 1960.
[51]. Ivi, pp. 260-261.
[52]. Ivi, p. 261.
[53]. Ivi, p. 273. Nota di lavoro datata novembre 1960.
[54]. Ivi, p. 163
[55]. Ivi, p. 156.
[56]. Ibid.
[57]. Ivi, p. 142.
[58]. Ivi, p. 271. Nota di lavoro datata giugno 1960.
[59]. Ivi, p. 156.
[60]. Ivi, p. 232. Nota di lavoro datata novembre 1959.
[61]. Ivi, p. 155.
[62]. M. Merleau-Ponty, L’occhio e lo Spirito , tr. it. di A. Sordini, Milano, SE, 1989, p. 28.
[63]. VI, p. 153.
[64]. Saint Aubert ha delimitato nell’opera merleau-pontiana tre figure centrali che segnano il cammino della carne: la promiscuità, il polimorfismo e la reversibilità. Cfr. EC, sezione B, rispettivamente cap. IV, V, VI.
[65]. M. Merleau-Ponty, Être et Monde. Presso BNF, volume VI (volume inedito che contiene lavori che vanno dal 1958 al 1960), fogli 171 e 179, cit. in EC, p. 228.
[66]. Ivi, foglio 227, in EC, p. 228.
[67]. EC, p. 227.
[68]. VI, p. 281. Nota di lavoro datata dicembre 1960. In questa nota sulla carne, che abbiamo richiamato in precedenza, Merleau-Ponty fa riferimento alla filosofia di Freud, che egli invita a rileggere, contro l’empirismo e il causalismo, come una filosofia della carne e non del corpo.
[69]. Ibid. Sull’uso e l’articolazione della nozione di polimorfismo in Merleau-Ponty, che risale ai corsi tenuti alla Sorbona, rimandiamo sempre a Saint Aubert. Cfr, EC, cap. V.
[70]. VI, p. 111.
[71]. Ivi, p. 281. Nota di lavoro datata dicembre 1960.
[72]. Ivi, p. 247. Nota di lavoro datata gennaio 1960.
[73]. Ivi, p. 246.
[74]. Ivi, p. 265. Nota di lavoro datata maggio 1960.
[75]. PF, pp. 194-209.
[76]. EC, p. 370.
[77]. Ivi, p. 377.
[78]. Ibid.
[79]. Ivi, p. 341.
[80]. M. Merleau-Ponty. La Nature ou le monde du silence, et autres documents inédits (sequenze di lavoro inedite probabilmente dell’autunno del 1957), foglio 95, cit. in EC, p. 377. Poi in Être et Monde. presso BNF, volume VI (volume inedito che contiene lavori che vanno dal 1958 al 1960). D’ora in poi NMS1.
[81]. EC, p. 377.
[82]. Ivi, p. 393.
[83]. Ivi, p. 395.
[84]. Ivi, p. 396.
[85]. Ivi, p. 407.
[86]. Ibid.
[87]. NMS1, foglio 51, cit. in EC, p. 377.
[88]. EC, p. 377
[89]. Ivi, p. 395.
[90]. Ivi, p. 396. L’impiego dell’incorporeo come concetto specifico, informa Saint Aubert, risale al marzo del 1959, nelle note preparatorie de Il visibile e l’invisibile. Cfr. EC, p. 396. Appare poi per l’ultima volta nella preparazione della lezione dedicata a Paul Claudel del 9 di marzo 1961. Cfr. Ivi, p. 397. Inoltre, cfr. PF, p. 192.
[91]. VI, p. 233. Nota di lavoro datata novembre 1959.
[92]. Ivi, p. 240. Nota di lavoro datata 20 gennaio 1960.
[93]. Ivi, p. 249. Nota di lavoro datata febbraio 1960.
[94]. Ivi, p. 241. Nota di lavoro datata 20 gennaio 1960.
[95]. Ivi, p. 240.
[96]. Ivi, p. 139.
[97]. Parlando del lato antropologico della carne, facciamo riferimento essenzialmente al vincolo rappresentato dalla percezione, ancorato al cammino a cui è soggetto lo schema corporeo mediante il fenomeno dell’incorporazione, e non alla riduzione del mondo alle proiezioni umane, criticata dal filosofo (cfr. Ivi, p. 152).
[98]. M. Merleau-Ponty, La Nature ou le monde du silence (pages d’introduction). In E. de Saint Aubert. Maurice Merleau-Ponty (sous la direction de). Paris, Hermann, 2008, p. 51.
[99]. N, p. 4.
[100]. Ivi, p. 124.
[101]. VI, pp. 230-231. Nota di lavoro datata novembre 1959.
[102]. N, p. 147.
[103]. PF, p. 14.
[104]. Ivi, pp. 14-36.
[105]. N, p. 147.
[106]. Ibid.
[107]. EC, p. 384.


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