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Fede e certezza 2
Emanuele Angeleri: risposta ai lettori
Preceduto da: «Fede e certezza 1»

a cura di Michele Turrisi

17 giugno 2017*


«Ringrazio i lettori per i cortesi e stimolanti commenti con cui hanno dato seguito all’intervista “Fede e certezza”, apparsa sul sito Kasparhauser, il 13 settembre 2014* e colgo l’occasione di questo gradito confronto per aggiungere qualche ulteriore considerazione e per precisare la mia posizione. Saluto tutti con viva cordialità.» (Emanuele Angeleri)

Sono intervenuti: Mario Affuso, Valerio Bernardi, Massimo Borghesi, Paolo Brancé, Armando Corino, Paolo Di Sia, Paola Ruminelli, Biagio Tinghino.


***

PAOLA RUMINELLI
Molteplici sono gli spunti di riflessione della bella intervista al fisico Emanuele Angeleri. Qui mi limito alla considerazione del rapporto scienza-religione.
Alla scienza non si può chiedere la dimostrazione dell’esistenza di Dio in quanto il suo campo di indagine è il mondo della natura e non il livello metafisico. Scienza e religione condividono però una comune origine nella capacità di trascendimento della realtà fisica propria dell’uomo, a cui è connessa l’attitudine alla ricerca di una razionalità essenziale e attendibile. In tal senso la scienza si determina attraverso la continua ricerca sulla natura, mentre le filosofie (e aggiungerei anche le arti) e le religioni rispondono all’esigenza umana di orientamento nel mondo, a cui conformare i criteri pratici di azione. Tra scienza e religione non vi è quindi contrapposizione ma piuttosto un possibile convergere tra campi diversi.

EMANUELE ANGELERI
Condivido pienamente le sue parole sul rapporto scienza-religione. Ma non tutti i fisici professionisti sarebbero d’accordo sul fatto che — come Lei dice — “scienza e religione condividono una comune origine nella capacità di trascendimento della realtà fisica propria dell’uomo”. Per molti la fisica deve essere scienza esclusivamente limitata allo studio delle leggi che legano ciò che si può misurare e nulla più.
Ciò che è interessante osservare è però che la nuova fisica (Meccanica Quantistica, MQ) sembra implicare che la realtà materiale-energetica, quella misurabile, tradizionalmente riferita alle cose (realtà da res), agli oggetti che percepiamo direttamente, semplicemente non esiste. La vera realtà — che indicheremo con il nome di realtà relazionale (ted. Wirklichkeit) — sarebbe quella riferibile alle “relazioni” fra le cose. Per la MQ la struttura relazionale della realtà è fondamentale molto più dell’esistenza degli enti che essa di volta in volta interconnette. “Il mondo è un intero indivisibile, un Uno-Tutto, un Ἔν τὸ Πάν, una non-duplicità (o, in sanscrito: advaita) che lega Tutto con Tutto indissolubilmente e irriducibilmente in un complesso intreccio di relazioni indistricabili. Questa realtà relazionale nel suo senso più profondo ha più somiglianza con l’inafferrabile spirito vitale che non con la materia concreta ed afferrabile, a tutti familiare” (così Hans-Peter Dürr, noto fisico tedesco collaboratore del grande Heisenberg). L’essenza primaria non è più la pura materia che, di per sé informe, occupa lo spazio, non vale più la realtà come realtà concreta, bensì fondamentalmente domina la relazione immateriale, la pura interconnessione, il cambiamento, l’evoluzione, il divenire, infine, una realtà astratta come Pura Potenzialità. Ovviamente nell’Uno-Tutto si deve comprendere anche la cosiddetta biosfera, uomo compreso, dove si manifesta il fenomeno Vita. Segue che l’uomo non può separarsi e chiamarsi fuori da questa realtà relazionale unitaria e indivisibile, perché esso non è parte dell’Uno-Tutto, ma essenzialmente coincide con, anzi è l’Uno-Tutto. E dunque, lo studio della fisica apre all’esperienza mistica. Il fisico, quando studiando le leggi di Natura prova “quella sensazione di ebbrezza gioiosa al cospetto della bellezza del mondo” di cui parla Einstein, inconsapevolmente si avvicina al mistico, godendo della beatitudine cui si allude nella Bibbia, là dove si dice: “Beato l’uomo il cui diletto è nella legge dell’Eterno, e su di essa studia giorno e notte” (Salmo 1,2).
Per la verità la MQ è stata contestata e criticata fino dagli inizi per le scomode conclusioni cui con essa si può arrivare. Einstein stesso, pur essendo fra i fondatori della nuova fisica, ha sempre pensato che la MQ fosse una teoria incompleta che poteva portare a paradossi ed errori (paradosso EPR). Ma, ahimè, alla prova sperimentale è stato dimostrato inequivocabilmente che Einstein aveva torto. Infine, dopo circa 100 anni di utilizzazione della MQ si è potuto accertare che la MQ non ha mai portato a risultati non corretti. Ciò nonostante fra i fisici teorici ci sono ancora molte perplessità sulla correttezza della MQ e alcune interpretazioni differenti relative ai fondamenti della teoria sono state proposte. Concludendo, sembra proprio che la capacità di trascendimento tipica dell’uomo, della quale Lei parla, cacciata caparbiamente dalla porta dai fisici positivisti, debba rientrare dalla finestra, che la nuova fisica ha aperto.


MASSIMO BORGHESI
Un’intervista molto bella. È un peccato che nella concezione della fede Angeleri rimanga legata, nella comprensione del cristianesimo, ad una sua versione “assolutistica”. In realtà la fede, per Lutero come per i cattolici, è “grazia”, cioè dono. La certezza è data da Dio, non dalla ragione. In questo senso non può che essere “umile”. Non può essere “imposta” ma proposta, in una vera testimonianza, affidandosi alla libertà.

EMANUELE ANGELERI
La cosiddetta “Buona Novella” come la si annunzia nel NT la si può riassumere brevemente come segue. Siamo tutti irrimediabilmente peccatori, ma ci è fatta “grazia” per le nostre colpe (siamo stati graziati); tuttavia, per ottenere la grazia — che ci viene donata, come è implicito nel termine (la grazia non si paga!) — è necessario accettarla con un atto autonomo e personale di fede. Ovvero, siamo salvati “per grazia, mediante la fede” (Lutero). Mi è difficile accettare che Fede e Grazia — che dal Suo commento sembra che Lei faccia coincidere — siano entrambe un “dono” di Dio. Se la Fede/Grazia fosse un dono, poiché non tutti hanno fede, si apre un difficile problema di giustizia: come mai ad alcuni verrebbe fatto il dono della fede e ad altri no? La fede non è un dono, ma è una conquista che giorno per giorno il credente personalmente si impegna di realizzare, manifestandola in buone opere. Questa è la salvezza offerta dal messaggio cristiano. La certezza non ci è data, ma si ottiene con un continuo impegno teso a tacitare il dubbio.


BIAGIO TINGHINO
Molto stimolante il pensiero di Emanuele Angeleri. Mi ritrovo, da uomo di scienza (scienze mediche) e da biblista, piuttosto vicino al suo percorso, anche se l’approccio alla conoscenza e alla fede hanno seguito contemporaneamente le due strade della speranza e del dubbio, entrambe essenziali per i due percorsi umani. Non mi sconvolge la fragilità della via della fede, tanto più che essa è insita nelle premesse che la fondano (il “deus absconditus” di Pascal, la “fede senza la quale nessuno può piacere a Dio” — cfr. Epistola agli Ebrei, capitoli 10 e 11). Ma allo stesso tempo mi piace ricordare come nelle scienze del limite (e penso alla fisica quantistica) un percorso analogo, impregnato di umiltà e di dubbio rispetto alle velleità del determinismo ottocentesco, ha costituito la strada obbligata per avvicinarsi ad una nuova teoria della materia. Dall’indeterminismo di Heisenberg in avanti (ma in fondo anche Kant aveva scoperto col concetto di noumeno ciò che Heisenberg dimostrò con il principio di indeterminazione) credo che possiamo riflettere su queste due esperienze del mondo (la fede e la scienza) e ricavarne un sentimento di debolezza, di prudenza. Uno spazio per il dubbio che resta a costituire l’altro capo della corda, senza la quale l'arco non può essere teso, né può permettere ad alcuna freccia di essere lanciata lontano. Il dubbio che precede la conoscenza a cui il sapere deve tornare, tutte le volte che vuole rinascere.

EMANUELE ANGELERI
Ogni volta che mi viene qualche “dubbio sul dubbio” e sulla sua importanza, penso di quali e quante rivoluzioni originate dal dubbio ha beneficiato l’umanità: Galileo (dubbio sul geocentrismo => nascita della Fisica e dell’Astronomia moderne); Colombo (dubbio sulla forma piatta della terra => scoperta dell’America); Einstein (dubbio sull’assolutezza del tempo => Teoria della Relatività); Marconi (dubbio sulla limitatezza della propagazione delle onde elettromagnetiche => invenzione della radio); Boltzmann (dubbio sull’atomismo => Teoria cinetica dei gas in termini statistici); Bohr-Heisenberg (dubbio sulla visione deterministica della realtà => nascita della Fisica Quantistica)… e — perché no? — Lutero (dubbio sul potere sacerdotale-regale => nascita del Protestantesimo e delle società repubblicane moderne).


MARIO AFFUSO
Ho letto con passione e tenerezza — bellissima la ben descritta scena di vita famigliare intorno alla Bibbia! Mi risulta molto interessante (e molto mi intriga) il pensiero dell’Angeleri in quanto credo nella rilevanza del dubbio. Io seriamente penso che la “certezza” sia la pietra che copre una infinità di insicurezze. Nell’inaugurare una serie di riflessioni per il mio gruppo comunitario ricordo e riprendo il pensiero di Julien Green che recita: “Diffido di coloro che non hanno mai provato difficoltà a credere: forse è perché non hanno ben capito di che cosa si tratta”. Spessissimo mi trattengo sul testo marciano che recita: “Io credo, vieni in aiuto alla mia incredulità” (9:24). Se, come credenti di diversa espressione, riuscissimo a pregare in questa maniera, senz’altro il mondo andrebbe in modo del tutto diverso.

EMANUELE ANGELERI
Vedo che siamo in perfetto accordo sulla inevitabilità del dubbio, ma prendo occasione per aggiungere una ulteriore osservazione a quanto detto nell’intervista, sottolineando che il tanto deprecato dubbio è garanzia della nostra libertà di scelta in campo morale. Riprendendo Kant, se potessimo avere certezza incontrovertibile della presenza di Dio, non potremmo che agire conformemente alla sua volontà, trasformandoci in automi che agiscono e scelgono per timore piuttosto che per libera adesione agli imperativi morali. In presenza dei carabinieri, anche un ladro abituale non ruba, ma, ahimè, resta ladro! L’azione morale, perché abbia valore, deve essere compiuta senza condizionamenti, etsi Deus non daretur.


ARMANDO CORINO
Ho la morale della compassione che appunto prevede la passione che non mi fa essere impassibile davanti al dolore degli innocenti (questo è quello che per me rimane del sacro). La speranza — la fede sostanza di cose sperate — mi avvicina al Prof. Angeleri.

EMANUELE ANGELERI
Il dolore degli innocenti — come, per esempio, le malattie e le sofferenze dei bambini — pone delle domande cui è difficile, forse impossibile, rispondere, sia nell’ambito della teologia che della fede, salvo accettare fatti hic et nunc incomprensibili, ricorrendo all’atteggiamento mistico che ben si riassume nel fiat voluntas Tua. La fede/speranza può permettere di sperare che ciò che oggi appare incomprensibile trovi un giorno la spiegazione che ora non riusciamo a vedere.


PAOLO DI SIA
Il Prof. Angeleri ha offerto un’interessante intervista sul rapporto scienza-filosofia-teologia. Come ben sottolinea, in passato erano “parti dello stesso corpo”. La specializzazione della scienza e il principio di verificabilità (da Galileo in poi in particolare) le hanno allontanate. Da conoscitore della Bibbia quale egli è, indica interessanti punti di riflessione attraverso citazioni precise; in particolare il concetto di “fede”, che, come tutti i concetti fondamentali, non deve essere travisato nel suo originario significato. Soprattutto la fisica teorico-speculativa non dovrebbe mai prescindere (a mio modesto avviso) da un confronto con la filosofia; il tutto inevitabilmente conduce alle domande ultime dell’esistenza umana, che la teologia da sempre tratta.

EMANUELE ANGELERI
Se si condivide (ma non so se tutti gli scienziati sarebbero d’accordo) quanto dice il fisico A. Messiah, ossia che “all’inizio di ogni impresa scientifica si pone infatti come postulato fondamentale la realtà oggettiva della natura, indipendente dalla nostre percezioni sensoriali o dai nostri mezzi di indagine, per cui compito di ogni teoria fisica è dare il rendiconto intelligibile di tale realtà oggettiva”, credo che sia possibile affermare senza sbagliare che in un non lontano futuro filosofia e fisica torneranno ad essere una scienza sola, nel senso che non si potrà far fisica senza la filosofia e non si potrà far filosofia senza la fisica. Dopo la nascita della nuova fisica la sovrapposizione delle due discipline appare sempre più evidente.


PAOLO BRANCÈ
Angeleri cita parecchio Kant, il quale è imbevuto di idee illuministiche. A ragione si sostiene che il concetto di “Dio” è originale e non va ascritto all’indagine speculativa ma alla morale. Ma questo fatto per il cristiano è solo la conseguenza della fede. Non ha parlato ad esempio in termini storici intorno a Cristo, che secondo me è lo spartiacque tra una riflessione filosofica su Dio e una fede dogmatica di Dio. Gesù è un personaggio storico che si è rivelato secondo la fede cristiana essere Dio (cfr. Vangelo di Giovanni, 1). Mi è piaciuta l’affermazione di Angeleri sulla fede non come credenza a un corollario di frasi dogmatiche ma come conquista… Ciò che io non condivido è che lui non considera la fede un dono. Lo è; ma è anche ricerca e conquista (cfr. Matteo 13:44-46).
La natura può essere vista come un’opera d’arte che presuppone un artista. Ma Angeleri sembra che stacchi la natura dal suo artefice. Tutto sommato Angeleri mostra essere molto rispettoso della fede e personalmente mi lascia pensare che alcune sue frasi sottendono una ricerca della fede. Non mi sembra un agnostico come Sgarbi o Augias.

EMANUELE ANGELERI
Il Cristianesimo è una religione fra le tante che si può abbracciare o rifiutare, ma solo “dopo” aver liquidato il dubbio che è connaturato con “ogni essere pensante”, circa l’esistenza di un’entità trascendente, in qualunque forma la si voglia immaginare. E dunque, parlare e ragionare sul “dubbio” (che sta a monte di tutto) non implica necessariamente un discorso su Cristo, sulla sua divinità, e sul Cristianesimo.
Dalla lettura dell’Epistola ai Romani traggo la conclusione che la Grazia è un dono, che non si può pagare in nessun modo, neppure “bene operando” (poiché non vi è un giusto, neppure uno), ma che si conquista mediante la fede, che si manifesta in buone opere. La fede è un atto, che deve compiere l’individuo personalmente; è una sua conquista. Io mi dichiaro un agnostico, non insensibile a quell’importante componente dell’esperienza umana indicata come religiosità.


VALERIO BERNARDI
Ho letto con interesse l’intervista a Emanuele Angeleri. Ritengo che sia interessante sia nelle parti esperienziali che in quelle sostanziali. Vorrei rispetto a quanto dice sottolineare e notare alcune cose, sia da un punto di vista filosofico, sia da un punto di vista teologico, tralasciando le questioni scientifiche in senso stretto che poco si adeguano alla mia formazione. In primis, la descrizione della vita di Angeleri e del suo cenacolo famigliare somiglia in maniera evidente alla formazione di tipo pietista cui si rifaceva lo stesso Kant. Ritengo che proprio questo pietismo (rinforzato da una solida conoscenza biblica) sia il problema di partenza che può portare a conclusioni similari a quelle kantiane. In quanto viene detto da Angeleri, infatti, manca del tutto l’aspetto della fede, rispetto ad una ragione (sicuramente non riduzionista) che è quella che porta alle conclusioni agnostiche. Bisognerebbe poi discutere se Kant stesso fosse agnostico e su che piano bisogna attribuire alla fede interiore sempre presente nella visione kantiana e che lo portava, con tutta probabilità, a non potersi definire agnostico, quanto ad essere un credente “morale”. Il problema di una tale impostazione è proprio questo, non riuscire a mediare il dato esperienziale con quello conoscitivo e, pertanto, rimanere dubbioso su quanto è stato insegnato da una esperienza extra-scientifica, che avrebbe dovuto portare alla decisione per Dio.
Accanto a questo primo aspetto, rimane poi quello del rapporto con la scienza. Proprio lo stesso Angeleri parlando degli sconvolgimenti che sono stati apportati dalla cosiddetta “seconda rivoluzione scientifica” ci ha ricordato i limiti della ragione e del fatto che le conoscenze scientifiche hanno i loro limiti e, proprio kantianamente, mostrano i limiti della conoscenza umana che, pertanto, non ha altra scelta che aprirsi o a forme diverse di razionalità (che non sono quelle che hanno a che fare con la scienza, ma che possono essere regolative dell’azione umana) oppure a forme che vadano al di là della ragione, ricordando il ruolo (poco preso in considerazione da Kant, ma presente nel pensiero cartesiano e spinoziano ad esempio) delle passioni e del fatto che esse giocano un ruolo anche nella nostra “scommessa” nei confronti di Dio. In tutto il discorso di Angeleri, a parte la memoria famigliare, che ruolo giocano le emozioni, che sembrano presenti nella trama del racconto-intervista, ma che sono scarsamente riconosciute all’interno del suo discorso di natura teologica e filosofica? Perché allora, dato quanto detto, scegliere l’agnosticismo piuttosto che il credere? La spiegazione data non mi sembra del tutto adeguata.
Una terza notazione entra più nella questione del positivismo teologico ed è in parte stata accennata qui da Paolo Brancè: che farsene della Bibbia, quanto ritenerla importante, quanto è veritiero il messaggio di Cristo (mai citato nel discorso di Angeleri)? Anche barthianamente, ma soprattutto anche dal punto di vista di Lutero e fede e Cristo sono due costanti da cui un credente non può prescindere e che non possono essere messe da parte, ma che, nella lettura del testo biblico, vanno assolutamente affrontate. Sono queste considerazioni che, pertanto, mi spingono a non concordare del tutto con Emanuele Angeleri.

EMANUELE ANGELERI
Ci sono due rilievi nel commento di Bernardi. Il primo, in sintesi: “con tanta luce che hai avuto, perché non hai scelto a favore di Dio?”. Ritengo che l’unico riferimento su cui l’uomo si può fondare sia la “ragione”, e con la ragione non si arriva a Dio. Secondo Kant, Dio non vuole che la ragione fornisca certezze circa la Sua esistenza, a garanzia della nostra libertà di scelta in ambito morale. In effetti, tutti viviamo nel dubbio, anche chi professa una fede senza incertezze (il quale almeno una volta in vita sua ha sicuramente dubitato).
Il secondo rilievo lamenta che nel parlare di fede io ho dimenticato la fede evangelica in Cristo di cui ci parla il NT. Ogni cosa con ordine. Prima viene il dubbio esistenziale circa il senso della nostra vita e l’eventuale esistenza di una realtà trascendente. Superato questo scoglio resta il dubbio nella scelta fra le varie religioni esistenti. Finché non si è chiarito il primo dubbio, discorrere del secondo è solo un’ipotesi della irrealtà. Provo in ogni caso a rispondere. Se dovessi risolvermi a dichiararmi credente, non sceglierei nessuna delle religioni esistenti, perché lo riterrei un atto irrilevante. A Dio non interesserà sapere quale religione ho abbracciato, ma “chi” io, Emanuele, nella mia vita sono stato e “che cosa” ho fatto.


* Prma pubblicazione Kasparhauser | Teologia, 29 gennaio 2015.
El Greco, San Tommaso Apostolo, 1610-14, Toledo


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