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come si accede al pensiero





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2012


Philosophical culture quarterly


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Sul rappresentazionale
A cura di Jacopo Valli




Sulla complessità
di Brian Ferneyhough
(Traduzione di Jacopo Valli)


da «da Responses to a questionnaire on “complexity”».


Non v’è necessaria e sufficiente relazione tra questi due termini [complessità ed intricatezza]. La complessità è una risultante funzione dell’interazione di connessi ma distinti aspetti, mentre l’intricatezza è, nella migliore delle ipotesi, un possibile indizio rivolto verso una certa alleanza. Solo qualora assumessimo l’altamente dubitabile affermazione per cui gli oggetti intricatamente modellati rivelano complessi regimi interni di riferimento, potrebbe, la relazione di cui sopra, sussistere. Per contro, certi livelli di lavoro dettagliato potrebbero in ultimo dar luogo a complesse o ambigue appercezioni [...].

La compelessità mi pare caratterizzata dalla sua passiva ambiguità di importazione (e con ciò non intendo fornire alcun giudizio di valore a riguardo); le strutture complesse, d’altra parte, tendono ad una attiva proiezione di molteplicità (nel senso che incorporano alternative e concorrenti traiettorie come costituenti contraddizioni denuncianti un essenziale elemento della loro sostanza espressiva). Chiaramente, la reazione ai fenomeni riduttivi può risultare essere altamente differenziata; ciò che viene evocato da complesse costellazioni può, allo stesso modo, essere piatto ed indifferenziato.


È la difficoltà una modalità della comunicazione?

Chiaramente la è, almeno nella misura in cui è percepita come tale, ed è perciò distinta da alternativi modi d’organizzazione. V’è una particolare texture o sostanzialità nella lentezza della comprensione attraversata dal mercuriale raggio scansionale che non è riproducibile altrimenti. La natura disgiunta del sonetto in Mallarmé è un buon esempio a riguardo, come lo sono (nei loro modi molto differenti) le vivaci tessiture semantiche di Tender Buttons di Gertrude Stein, o le infinitamente prolisse ripetizioni dei suoi ultimi testi, come Ida o gran parte di The Making of Americans. In Mallarmé, come nella più aforistica Stein, la complessità risiede nella sensazione di istantaneità fornita dalla (taciuta) elisione, l’ultima tendenza corrodente le momentanee fioriture della memoria contro le infinitamente rinviate espansioni dello spazio semantico. Entrambi gli aspetti — aforistico e discorsivo/permutazionale — della scrittura della Stein hanno esplicitamente a che fare con la nozione di velocità, sia in riferimento al “naturale grado di fioritura” implicato da particolari materiali che in riferimento ai mezzi attraverso i quali l’autore incoraggia il lettore a deviare significativamente da queste implicate norme. Tutto ciò può essere del tutto vero anche per la musica, ed essa rappresenta uno dei miei interessi.
In ogni caso, una distinzione dovrebbe essere fatta tra difficoltà ed oscurità. Un testo può ad un tempo essere alquanto convenzionale nella sua struttura (per esempio, un sonetto), ed opporsi alla comprensione in ragione della mancanza di chiarezza di significato dei termini impiegati. Oppure, il contenuto semantico manifesto del testo potrebbe essere oscuro perché investente diversi significati a livelli sensibilmente differenti [...]. In questi casi, la complessità della situazione giace al di fuori dell’oggetto, almeno in parte. Essa implica il parziale intrecciarsi di diversi campi di produzione significante. La difficoltà, per me, è qualcosa che è anche essenzialmente relazionale per natura, ma che si sviluppa a partire dalla interazione di piani di ordinamento, che, in misura preponderante, sono immanenti al lavoro.


Serge Poliakoff, Jaune et noir, 1952


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