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Rahamim. Lingua, terra, misericordia
A cura di Francesca Brencio




Le lacrime delle madri creano la compassione nel mondo
di Ariela Böhm

Settembre 2013



Il progetto “Rachamim” nasce dal desiderio di illustrare e raccontare, per immagini e per suoni, la compassione, forse uno dei più potenti sentimenti provati dagli esseri umani.

Spesso un artista che, come me, adoperi le immagini o le sculture come mezzo espressivo si trova a voler dare una definizione visuale di emozioni o sentimenti. Naturalmente non è sicuro che l’opera riesca effettivamente a trasmettere ciò che l’artista ha inteso durante il processo creativo, sebbene il titolo possa aiutare l’osservatore in questo processo interpretativo. A mio parere per un’opera pittorica o scultorea, quindi statica e con ridotte possibilità narrative, è assai difficile evocare un sentimento. Ho scelto quindi di creare un video, sebbene sia un mezzo espressivo assai abusato ma da me utilizzato raramente, per realizzare la mia idea di compassione.

Rachamim — La parola ebraica rachamim viene tradotta con pietà, misericordia, compassione, significati di accezione perlopiù religiosa. Nella traduzione italiana non si coglie però ciò che è intrinseco del vocabolo ebraico: rahamim infatti deriva da rehem (grembo, utero) e la sua origine, conservata nel suo significato, così strettamente connesso con la funzione materna, è ciò che ho inteso sottolineare con il mio video.

Non è mia intenzione, e di certo non ne avrei le competenze, analizzare il complesso significato della parola rachamim nel contesto religioso/filosofico, certo è che, laddove si parla di misericordia divina, si fa inevitabilmente riferimento alla maternità ed alla possibilità di creare, nella relazione con l’altro, uno spazio in cui l’altro possa esistere. Il mio interesse per questa parola si focalizza sulla specificità della maternità, condizione vissuta in prima persona e argomento sul quale ho sviluppato questo progetto.

Ritengo che la predisposizione femminile alla condizione di maternità preveda, fra gli altri aspetti, la potenzialità di creare dentro di sé uno spazio di accoglienza per “l’altro”, spazio che, nello svolgersi dell’esistenza, potrà poi essere riservato tanto ad un eventuale figlio quanto ad un compagno, ad altri o ad una passione. Senza voler nulla togliere all’amore del padre verso la prole, credo che le modalità e la collocazione fisico/spirituale di tale sentimento differiscano fra il padre e la madre per pure ragioni biologiche. Ciò che è vero fisicamente, ovvero la capacità della madre di creare uno spazio di accoglienza dentro di sé, corrisponde ad analoga capacità emotiva e percettiva. Molto tempo dopo il parto, verosimilmente per tutta la vita, questo spazio interiore dedicato al figlio rimane tale e a sua completa disposizione.

La traduzione italiana che a mio avviso si avvicina maggiormente al significato di rachamim è la parola compassione (dal latino: cum = insieme, patior = soffro). La compassione è la partecipazione alla sofferenza dell'altro, una comunione intima e intensa con un dolore che non nasce come proprio ma lo diventa. È espressione di un tipo di amore incondizionato che non chiede nulla in cambio e che comprende in sé la capacità di condividere tanto il dolore quanto la gioia. Pur non contenendo espliciti riferimenti alla parola grembo o utero, la parola compassione è pertanto strettamente legata al vissuto della maternità.

Lo scopo del progetto Rachamim è la volontà raccontare la straordinaria capacità materna di amare. Ne ho scelto un aspetto, quello della sofferenza, perché è il più assoluto, il più drammatico, il più universale, sebbene non sia certo l’unico su cui soffermarsi o il più importante. Sono quindi partita dall’idea, piuttosto diffusa ma non per questo meno vera, che non esista dolore più profondo di quello provato da una madre che perda il figlio. Questo dolore è talmente assoluto che, per rappresentarlo, ho scelto di ribaltare il consueto meccanismo della causa ed effetto: non è la compassione (rachamim) che crea le lacrime delle madri bensì le loro lacrime sono la materia di cui la compassione è composta. Le lacrime delle madri dunque creano sia il concetto di compassione sia, fisicamente, il materiale con cui questa è costruita: nel video si vedono gocce che sgorgando e raccogliendosi si addensano, nel gelo interiore che accompagna il dolore, a formare la parola ebraica rachamim.

Le lacrime non sono contestualizzate, non sgorgano da un volto, sembrano piuttosto stillare dal cielo. Non sono lacrime di una persona, sono, appunto le lacrime di tutte le madri che, in qualsiasi angolo dello spazio e del tempo, hanno pianto i loro figli.

La scelta di utilizzare l’acqua come materiale o come soggetto delle mie creazioni è ricorrente nella mia produzione artistica. Anche in quest’opera l’acqua è la materia prima, l’alfabeto con cui ho deciso di raccontare questa storia. Le sue innumerevoli condizioni sono la veste grafica, le metafore visive che, nel mio linguaggio artistico, descrivono e distinguono gli stati d’animo, a volte così difficili da descrivere a parole.

Il testo della canzone “Eyl maleh rachamim”, che accompagna il video, è quello di un canto funebre ebraico che ha diverse versioni, fra le quali è molto conosciuta quella che si canta per commemorare i caduti nei campi di sterminio. Ho scelto questa diversa versione perché è meravigliosamente eseguita da una donna, il soprano Janet Pape, che in questo contesto rappresenta la voce di tutte le madri che piangono il loro figli.


Ariela Böhm è un’artista romana che, dopo una laurea in Scienze Biologiche e qualche anno di tirocinio come ricercatrice al CNR sotto la direzione della Prof.ssa Rita Levi Montalcini, decide di dedicarsi interamente all’arte. In anni più recenti si è avvicinata all’uso del video. Dal 1992 espone regolarmente in Italia e all’estero in mostre personali e collettive. Premi, opere pubbliche e ulteriori informazioni su www.arielabohm.it.




Traduzione inglese del testo ebraico: “Exalted, compassionate God, grant perfect peace in Your sheltering Presence, among the holy and the pure, to the souls of all our beloved who have gone to their eternal home. May their memory endure as inspiration for deeds of charity and goodness in our lives. May their souls thus be bound up in the bond of life. May they rest in peace. And let us say: Amen.”


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