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Quel che resta dell’utopia | Kasparhauser 14
A cura di Giuseppe Crivella




I. UTOPIA, I SIGNIFICATI E LA STORIA | APPENDICE1
L’«An 2440» di Mercier*
di Raymond Ruyer

(traduzione di Giuseppe Crivella)

Novembre 2016

L’opera di Mercier ha fatto epoca nella storia dell’utopia. È la prima anticipazione propriamente detta con una data precisa. Bisogna dire del resto che l’anticipazione non è molto convinta né molto convincente. Essa è un procedimento come un altro per consentire all’autore di collocare i suoi sogni e le sue teorie. Non si tratta ancora in effetti di una vera evoluzione naturale delle cose. Tuttavia un grande passo è stato fatto. Mercier, amico di Restif de la Bretonne, aveva con questo numerose idee in comune. L’evoluzionismo di Restif implica l’idea di progresso, ma esso era troppo vasto e troppo vago per condurlo ad una reale anticipazione. Il fatto di collocare l’utopia in una contrada immaginaria tradisce una certa mancanza di fede e in effetti Restif provò timore dinanzi alla Rivoluzione e al popolo rivoluzionario. Al contrario, situare l’utopia nel futuro, come fa Mercier, darle appuntamento ad una data certa, che non si trova ad una distanza fantastica, significa avvicinarsi al punto di vista […] che è diametralmente opposto in un certo senso al punto di vista utopico: ovvero al punto di vista dialettico. Il testo di Bellamy, Regard en arrière, dall’anno 2000 al 1887, è in fin dei conti marxista, sebbene di un marxismo poco ortodosso. Esso è un altro esempio di quella legge generale in base alla quale l’anticipazione a termine diventa la forma più scientifica dell’utopia. L’esperienza mentale non fa altro che prolungare l’esperienza storica stessa.

L’idea di progresso, vecchia di molte decadi, si stava precisando negli anni immediatamente precedenti la Rivoluzione, soprattutto dopo il 1750. Qualcosa di più urgente appariva in tutti gli ordini del pensiero. Ci si stava avvicinando all’epoca in cui Condorcet, dopo aver steso L’esquisse des progrès de l’esprit humain, dalla preistoria a nostri giorni, procedeva con delle considerazioni finali afferenti al progresso futuro dello spirito umano. L’aspirazione alle riforme faceva in modo che da tempo — almeno a partire da Fénélon e l’abate di Saint-Pierre — il termine /Riforma/ andasse al plurale. Sebastien Mercier, grande ammiratore di Fénélon e dell’abate di Saint-Pierre, fa passare tale plurale nell’utopia. Il mondo dell’anno 2240 non presenta delle differenze essenziali con il mondo al quale un francese del XVIII secolo era abituato. Mercier non è un radicale. Grande ammiratore dell’uomo inglese, si direbbe ispirato dall’utilitarismo di Franklin, combinandosi in lui con una fede solida nella Francia, misura eterna della civiltà.

Mercier è inoltre l’inventore dell’espediente utopico del sogno dell’eroe. Meno felice dell’eroe di Bellamy il quale conserva l’età che aveva al momento di addormentarsi, egli si risveglia vecchio di settecento anni. Egli si risveglia in una Parigi che ha trovato il modo di essere ragionevole senza aver per questo rinunciato alla civiltà e che, al contrario, offre al visitatore tutti i tipi di un progresso dettagliatissimo. Le vie sono ordinate e belle; la circolazione — incubo di Mercier — è regolamentata con dei guardiani agli incroci. Poche le vetture, d’altronde, riservate ai vecchi magistrati e agli anziani. Al posto della Bastiglia, messa a ferro e a fuoco, Mercier non trova il popolo ma, grazie a un principe «che non si crede il Dio degli uomini», un Tempio della Clemenza. L’Hotel-Dieu è stato soppresso, così come Bicêtre, mentre gli ospedali, perfezionati con un letto per ogni malato sono ubicati alle estremità della città. La medicina ha fatto grandi progressi: essa sa guarire la tisi. I pazienti stessi sono educati in un modo migliore: sanno analizzare i loro disturbi durante le visite. I magistrati non lasciano più che i processi di trascinino in maniera indefinita. La pena di morte esiste sempre, ma è cambiata del tutto l’indole della pena. Assistiamo ad una esecuzione capitale. Tutti i presenti piangono di contrizione. Il condannato — colpevole di un crimine passionale — si giudica da solo meritevole della pena e preferisce la morte ad una vita da trascorrere nell’umiliazione [«dans l’opprobre»]. Coloro che assistono invocano il Dio clemente: gli esecutori — il colpevole è fucilato — hanno il capo velato di crespo. Già in Campanella si vedeva apparire questa idea di castigo accettato e reclamato dal colpevole.

La religione, deista, è quella dei Patriarchi. Alla teologia si è rinunciato. Domanda Mercier: «chi vince tra i molinisti e i giansenisti? Il mio saggio interlocutore mi rispose con uno scoppio di risa». Niente più fanatici. I monaci sono divenuti dei volontari utili per tutti i bisogni più umili. Ci viene raccontato, con uno stile molto caratteristico per il tipo d’opera, come i monaci, «rinunciando ai lor sciocchi voti di non essere mai uomini, sposarono infine quelle colombe gementi (le beghine) che avevano sospirato più di una volta per uno stato meno santo ma più dolce». I templi si presentano senza vaghi ornamenti: una cupola di vetro sormonta l’edificio e lascia penetrare fino ai fedeli «i grandi insegnamenti della natura». I cantici sono semplici e belli. La morte non è più frustrata da una messa in scena lugubre: invece dei drappi neri, vi sono delle stoffe bianche e della palme della vittoria. Il Papa c’è sempre, ma è solo il sovrano d’Italia. Ha appena pubblicato Il catechismo della ragione umana.

La vita letteraria è curiosamente tenuta da parte, meno dalla censura ufficiale che dal regno generale della virtù e dal peso delle verità obbligatorie. Anche la letteratura antica è stata fortemente ridotta e epurata. La storia universale è stata condensata in un volume in cui il posto dei re e delle guerre è molto ridotto. Nell’arte si apprezza soprattutto la riproduzione fedele della natura, ma più ancora la premura moralizzatrice. Gli intellettuali sono dei veri funzionari della moralità e non hanno più nulla di frivolo. Incontriamo un uomo mascherato che cammina rasentando i muri: è un autore che ha scritto un libro scadente — moralmente inadeguato. In attesa che egli scriva un buon libro per espiare il primo, due cittadini virtuosi sono incaricati di ragionare ogni giorno con l’autore mal ispirato. Gli scolari non studiano più il greco e il latino; si accontentano di traduzioni e si occupano di lingue vive. Gli adolescenti ricevono durante una Prima Comunione Filosofica un microscopio e un telescopio per avere la rivelazione dei due infiniti. Mercier crede molto alla virtù religiosa dell’astronomia. Il telescopio è un «cannone morale» che ha distrutto le vane superstizioni. I deisti vedono Dio attraverso Saturno e la Via Lattea e cadono in ginocchio tenendo l’occhio sull’oculare.

La vita internazionale è pacifica. Tuttavia gli eserciti non sono del tutto scomparsi, poiché in caso di conflitto la mediazione dei Grandi-Preti potrebbe essere insufficiente. L’Inghilterra e la Francia sono riconciliate. La Francia è tutrice della Grecia e dell’Egitto, ma ha rinunciato alle colonie. Il regime francese è sempre monarchico, ma di una monarchia all’inglese. Luigi XXXIV è un re costituzionale e borghese. Egli si limita a passeggiare per le strade, circondato da qualche amico. Gli Stati Generali si riuniscono ogni due anni per eleggere un Senato che sembra avere tutti i poteri. Il re non è più circondato da cortigiani corrotti; dei censori vegliano attentamente. Egli deve digiunare tre giorni all’anno in modo che «non dimentichi che cosa sia il bisogno». Il principe ereditario è cresciuto con la massima premura. Gli si procurano contatti con tutti i suoi sudditi e lo si fa lottare con un fantoccio della sua età per insegnargli che cosa sia l’umiltà. Davanti alla legge tutti i cittadini sono uguali e non vi è più la nobiltà. I cittadini che si sono distinti per il loro talento posseggono un cappello ove è scritto il loro nome con lettere ricamate.

Esiste sempre la disparità di ricchezze, dal momento che «è tipico di coloro che sono poco istruiti appellarsi continuamente all’eguaglianza», e regna la libertà economica. L’ineguaglianza tuttavia è molto ridotta grazie ai progressi nei costumi. I ricchi non sono più dei «cospiratori ai danni dei poveri». Il lusso non è più sfarzoso. I francesi del XXV secolo hanno dovuto subire una rigenerazione morale piuttosto agevole alla luce del calcolo utopico poiché, per esempio, nei templi gli spazi adibiti alle offerte sono collocati lungo i passaggi oscuri, dal momento che i donatori non avvertono affatto il bisogno di farsi notare. Altra cosa meravigliosa: ogni cittadino di sua volontà versa annualmente allo Stato la cinquantesima parte delle sue entrate. Coloro che hanno appena il necessario per vivere non pagano nulla e i ricchi integrano le loro imposte obbligatorie con dei doni volontari. La scomparsa del lusso sembra aver offuscato i colori sfavillanti delle donne, ma queste ne hanno beneficiato in termini di solidità delle virtù. L’agricoltura è particolarmente onorata e la civiltà resta prevalentemente agricola. Mercier prevede la rivoluzione, o l’evoluzione politica, ma non presagisce la rivoluzione industriale. Tuttavia la tecnica ha fatto dei progressi: esistono dei fonografi, delle mongolfiere a remi, dei dirigibili. Non vi sono più terremoti o eruzioni vulcaniche grazie a dei canali di drenaggio.

In complesso non si ha l’impressione di una immaginazione geniale. Sebbene Mercier, massone, sia stato toccato dall’Illuminismo dell’epoca, resta ragionevole. Il rimprovero che i commentatori gli rivolgono più di frequente a noi sembra essere il suo merito principale: lo si accusa di contraddizione perché, in tale utopia liberale, egli si appella ad un «dirigismo virtuoso» per quanto riguarda la vita letteraria. Mercier però ha notato molto bene che la condizione del liberalismo politico era il moralismo e che tale moralismo doveva essere trattato con attenzione. La letteratura, dal momento che raccomandava la moralità, non poteva abbandonarsi alle fantasie dell’anarchia individuale. In tal modo egli ha dimostrato di essere correttamente in grado di esibirsi in un esercizio utopistico rivelando così di avere nei confronti dell’uomo perfettamente inglese, elevato a suo modello, una sorta di marcata infatuazione piuttosto ridicola. Mercier ha dimostrato di aver compreso il mistero dell’Inghilterra. Se la Francia intera avesse compreso meglio tale segreto, avrebbe fatto a meno della Rivoluzione e probabilmente la Parigi di Mercier si sarebbe realizzata non nel 2440, ma piuttosto tra il 1850 e il 1860.


* R. Ruyer, L’utopie et les utopies, 1950, pp. 205-209.



Carlo Carrà, Solitudine, 1917

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