Rivista di cultura filosofica
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Fine del racconto heideggeriano
di Marco Baldino
Unbekanntes Zeichen
Il segno sconosciuto
Maggio 2018
Abstract
Nei Quaderni Neri si trova qui e là uno strano segno grafico che il curatore annota come “sconosciuto”. Probabilmente non vuol dire nulla, eppure è possibile inserirlo nel contesto delle analisi sull’antisemitismo strutturale di Heidegger, per mezzo di uno stratagemma strong-textualist. Il simbolo ricorda, in forma stilizzata, la strana forma di un’incisione di Ephraim Moses Lilien (1874-1925) che rappresenta un uomo che porta sulle proprie spalle il Dybbuk, una sorta di larva o fantasma che, nella mitologia ebraica, si attacca a un vivente e lo tormenta, impedendogli di realizzare il proprio destino spirituale. In questo senso, il Dybbuk, al di là del significato o non significato attribuito da Heidegger al ghirigoro, consente di tracciare una sintesi dell’antisemitismo coesteso al suo cammino di pensiero.
§
Qui e là, nel testo dei Quaderni Neri, si incontra un segno grafico che sembra sostituire una concetto mancante, volutamente taciuto, forse mascherato:
Un amico mi ha sottoposto un passo in particolare che si trova a pagina 16 (§36) del tomo 94 della Gesamtuasgabe: Überlegungen II-VI (Schwarze Hefte 1931-1958), GA 94 [edizione Klostermann]. Il passo recita:
Tiefe und Weite des Da-seinseinsatzes in der Seinsfrage! Wohin mit dieser Frage fragen? In die
Vorrei provare a tradurlo così:

In nota l’edizione Klostermann riporta la seguente notazione: Unbekanntes Zeichen, cioè: segno sconosciuto.
Il simbolo in questione non è una svastica camuffata (prima ipotesi), perché anche ruotando il l’elemento DABC in senso antiorario non si ottiene una vera e propria svastica nazista e nemmeno una delle tante varianti note, ovvero il simbolo di uno dei tanti corpi e sottosezioni o affiliazioni delle note aggregazioni paramilitari, poi istituzionalizzate, del regime hitleriano.
L’effetto della rotazione nello schizzo qui sopra riportato (svastica), disegnato dall’amico sulla tovaglietta di un tavolino di pizzeria, che ho conservato e scansionato, è quindi errato.
Dopo un po’ di ricerche ho trovato un possibile collegamento. Ruotando non il segmento DABC, ma tutto il simbolo di 90° in senso antiorario sul piano, e di 180° rispetto all’asse verticale, si ottiene questo segno
Ora, questo segno ricorda, sia pure in forma stilizzata, un’opera del pittore Ephraim Moses Lilien (1874-1925), una bellissima incisione, intitolata Dybbuk. Eccola:
Questa incisione rappresenta un uomo che riporta il dybbuk, che gli è aggrappato alle spalle, alla sua sepoltura, liberandosene.
Che cos’è pertanto il dybbuk?
Il dybbuk o dibbuk (in ebraico traslitterato dibbûq: “attaccato”, “incollato”) nella tradizione ebraica è uno spirito maligno o un’anima in grado di possedere gli esseri viventi. Si ritiene che sia lo spirito disincarnato di una persona morta, un’anima alla quale è stato vietato l’ingresso nel mondo dei morti, lo Sheol. Queste anime generalmente vagano per il mondo poiché manca loro la forza di mantenere l’attaccamento a Dio. Come dybbuk, l’anima del trapassato si “attacca” perciò a un vivente e coabita con lui nel suo corpo. In accordo con le credenze popolari, ad un’anima che non è stata capace di portare a termine la propria funzione, talvolta anche colpevole di trasgressioni gravi e gravissime, è concessa una seconda opportunità: portare a termine il proprio compito nella forma del dybbuk. Dopo di che il corpo dell’ospite verrà abbandonato. L’opera di Lilien è però particolarmente significativa perché rappresenta non un dybbuk che lascia libero un uomo, ma un uomo che si libera del dybbuk. Ha atteso, una tenda è eretta accanto ai tumuli. Sotto la tenda è visibile una culla. L’uomo ha dovuto diventare adulto e forte. Ha scavato, c’è una pala, un sepolcro aperto e vuoto e, ora, reggendosi a un bastone, il fardello sembrerebbe dunque gravoso benché minuto, scarnificato, lo va a deporre nella fossa che gli spetta.
Ovviamente il dybbuk genera dei problemi all’ospite, il quale non riesce a vivere la propria vita e ad esprimersi in essa portando a termine il proprio percorso spirituale.
Nel senso di Heidegger, si potrebbe supporre, il popolo tedesco è in qualche modo costretto a portare sulle proprie spalle il dybbuk ebraico, che ne mina la capacità di “vivere la propria identità e di portare a compimento il proprio percorso spirituale”.
La frase di Heidegger assumerebbe così il seguente significato:
Profondità e ampiezza dell’inserimento dell’Esser-ci nella questione dell’essere! Dove, con tale questione, portare il nostro domandare? Nel Dybbuk.
Ossia: in direzione di una messa a nudo del ruolo dell’Ebraismo [Judentum, anima ebraica, essenza ebraica] in Germania, il quale, spirito maligno, spirito disincarnato di qualcosa di morto (nichilismo), certamente colpevole di trasgressioni molto gravi (privo di mondo, sradicato, privo della forza di mantenersi attaccato al Dio-Essere, dedito al calcolo, alla predizione ciarlatanesca), è condannato a vagare per il mondo (diaspora), dove si “attacca” ai vari popoli, e al tedesco, impedendogli di vivere e realizzare il proprio destino spirituale, il dybbuk. Ecco quindi che diventa necessario fare tutto ciò che bisogna per liberarsene, ricacciandolo nel suo buco.
Ovviamente questa è solo un’invenzione, non possiedo alcuna prova che Heidegger conoscesse l’incisione di Lilien né, tantomeno, la connessa leggenda ebraica, benché, quanto a leggende ebraiche, Heidegger instilli nel proprio lettore il presentimento ch’egli ne fosse in effetti ben informato. Non ho nemmeno notizia di un uso del segno in questione per richiamare la leggenda del dybbuk da parte di altri. Non di meno il “segno sconosciuto” nel libro c’è ed è presente nella modalità che ho detto: per sostituire una parola che si vuole tacere. I Quaderni Neri sono, com’è noto, testi destinati alla pubblicazione. A chi non andava detto che cosa? Per chi era dunque il segno? A chi doveva risultare subito chiaro? Sospetto che il curatore abbia sospettato, che non abbia pensato a un fregno sospensivo, come quando si lascia una frase in sospeso perché suonano alla porta, ma a un segno sostitutivo. Deve averlo pensato, altrimenti lo avrebbe eliminato o sostituito con puntini di sospensione e, in nota, avrebbe messo la notazione: lacuna nel testo; e non: “segno sconosciuto”. Ciò detto va anche ricordato che tra le accuse più gravi che Heidegger muove agli ebrei c’è quella della “derazzificazione dei popoli”, che procede di pari passo con la “autoalienazione dei popoli”, la “perdita della storia”, l’allontanamento da quegli ambiti in cui è possibile la decisione per l’Essere. [1]
La derazzificazione [Entrassung] è esattamente, secondo Heidegger, ciò che non ha consentito ai popoli che hanno una “forza storica originaria” di portare a compimento il loro percorso spirituale. La leggenda del dybbuk si adatta perfettamente all’interpretazione da me proposta, ovvero: si può inserire l’Esser-ci, cioè la questione dell’uomo, dell’esser-uomo proprio nel senso di Heidegger, cioè in quanto destinato dall’Essere a fare esperienza della sua (dell’Essere) indispensabilità (perché quando ci riferiamo all’ente che è quanto facciamo costantemente non possiamo farlo se non a partire dall’essere) e, insieme, della sua inattingibilità (perché non appena tentiamo di pensarlo lo oggettiviamo, ne facciamo un ente, lo perdiamo di tra le mani), si può cioè procedere a questo “inserimento” nella questione dell’Essere, solo affrontandolo come problema di ciò che impedisce [al tedesco] di portare a compimento il proprio compito storico-spirituale, e quindi, in definitiva, come problema del dybbuk. La Judenfrage, quando Heidegger, negli anni Trenta, giunge a ricapitolare la sua speculazione in termini di Seinsgeschichte, diventa il cuore della Seinsfrage, della questione dell’Essere.
[1] D. Di Cesare, Heidegger e gli ebrei. I «Quaderni neri», Bollati Boringhieri, Torino 2014, p. 165.
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