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Fine del racconto heideggeriano
di Marco Baldino
Quadratura della redenzione
Maggio 2018
Abstract
Donatella Di Cesare sostiene che, nel caso di Heidegger, il compromesso con il nazismo non fu tanto colpa metafisica, quanto colpa della metafisica, rispetto alla quale Heidegger non sarebbe stato poi così radicale. Di Cesare cerca poi di mettere a nudo una linea anti-giudaica risalendo fino a Lutero. Kant, Hegel, Nietzsche, sarebbero tutti esponenti di questa linea. Dietro Lutero, viene poi agitato il conflitto paolino tra la carne e lo spirito, riportandosi così alle radici stesse del cristianesimo. Di Cesare riconosce sì che, per Heidegger, mischiandosi alle varie nazioni l’ebreo opererebbe una sorta di corruzione intellettualistica dei popoli filosofici, minando, attraverso liberalismo e bolscevismo (la falsa rivoluzione comunista) la loro capacità di realizzare il proprio destino storico-spirituale, ma in definitiva ne mitiga l’antisemitismo sia inserendolo in una catena bimillenaria, sia diminuendone il peso nella Storia dell’Essere. Va infatti ricordato che qui l’ebreo è posto come agente della macchinazione tecnica che, attraverso lo sradicamento planetario di ogni ente dalla sua propria radice ontologica, determina la definitiva cancellazione dell’Essere e l’autoannientamento della civiltà occidentale.
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Un generale avveduto si procura il cibo razziandolo al nemico
Sun-Tzu
1. Pianificazione. Ogni analisi teorica predispone con cura i propri strumenti. Heidegger e gli ebrei, [1] di Donatella Di Cesare, dispone quanto segue:
- Lyotard: il compromesso con il nazismo non fu colpa metafisica, ma colpa della metafisica.
- Derrida: Heidegger non è stato abbastanza radicale nel suo progetto di decostruzione della metafisica.
- Lacoue-Labarthe: a) solo con Heidegger si può comprendere il nazionalsocialismo; b) solo con Heidegger si può rivelare in Auschwitz l’essenza dell’Occidente.
La tesi principale ha fatto il giro del mondo: quello di Heidegger sarebbe un “antisemitismo metafisico”. Con il che osservo non è facile capire se questo sia meglio o peggio di un antisemitismo razziale, biologico. La tesi di supporto è invece la seguente: l’antisemitismo di Heidegger va inscritto all’interno in una trama filosofico-teologica che risale a Lutero.
Facendo dell’antisemitismo di Heidegger non la forma drammatica di un certo modo di ricapitolare l’impostazione del problema del senso dell’Essere, ma, in ossequio alla tesi di Lyotard, un tratto costitutivo della metafisica occidentale, la Di Cesare finisce col togliere a questo pensiero il suo specifico antisemita: proprio ricollegandosi a Lutero, il pensiero heideggeriano si trarrebbe in parte d’impiccio inscrivendosi nella cornice escatologica dell’onto-teo-logia occidentale. L’onto-teo-logia, con la sua linea anti-giudaica, avrebbe prodotto Lutero, Hitler (esito biologico) e, in correlazione, Heidegger (esito metafisico), ma, in ossequio alle tesi di Derrida, solo per difetto di radicalità nella sua critica dell’onto-teo-logia. [2] È un’inversione valutativa rispetto all’interpretazione standard del pensiero di Heidegger, che vede nella critica dell’onto-teo-logia il suo esito più radicale e nell’ono-teo-logia un concetto tipicamente heideggeriano.
Di Cesare si muove così: la metafisica occidentale ha una matrice antisemita. Heidegger eredita questa matrice per il medio della filosofia tedesca (Kant, Hegel, Nietzsche), portandola alle sue conseguenze estreme. Heidegger è sì dunque un filosofo nazista, ma per difetto di radicalità (Derrida) e, nello stesso tempo, colui al quale dobbiamo rivolgerci per pensare la Shoah (Lacoue-Labarthe), per comprendere al meglio lo scacco della modernità (Lyotard) e, soprattutto, per trovare una via d’uscita dall’orizzonte liberale della globalizzazione. Il pensiero di Heidegger è cioè salvo. Obiettivo strategico raggiunto.
2. Lutero. In effetti, l’antisemitismo di Lutero è un vulnus difficilmente aggirabile, basterebbe leggere il libello Degli ebrei e delle loro menzogne [3] per provare un profondo senso di malessere, lo stesso denunciato da alcuni contemporanei e, di recente, dalle chiese luterane tedesche e americane. [4] Libello che sembra anticipare in tutto e per tutto gli svincoli della soluzione finale, oltre al fatto che fu effettivamente utilizzato dalla propaganda nazista. [5]
Ma per quanto riguarda Heidegger il punto cruciale sta qui: Lutero prefigura l’identità tedesca attraverso una radicale presa di distanza da alcuni fattori di cui è necessario accennare. Lutero aveva ripreso e rilanciato in grande stile l’antitesi paolina tra spirto e carne, ponendo con ciò l’uomo direttamente dinanzi a Dio in virtù di un atto puramente interiore, la fede, escludendo le cosiddette “opere meritorie”. Queste, diceva Lutero, non fanno che aggiungere male a male in quanto distolgono l’uomo dall’unica cosa che conta: l’interiorità. Nell’esteriorità (cerimonie, culto, osservanza della Legge, opere di pietà) l’uomo non è più libero, ma servo. Il cristiano non dovrebbe essere dominato da norme e non dovrebbe presume di adempiere a leggi, bensì non altro che esprimere la propria gratitudine a Dio e il proprio amore per il prossimo. L’unica obbligazione proviene in verità al cristiano dall’intimo, dallo “stato d’animo” (cfr. Bainton). Lutero riunisce in questa visione dell’esteriorità come male, il cattolicesimo romano, il tomismo e il loro fondamento nefasto, l’ebraismo. Tommaso d’Aquino aveva sostenuto che l’uomo, in virtù delle capacità attribuitegli da Dio, sarebbe capace di contribuire alla propria salvezza, mentre Lutero svalutava completamente la ragione quale norma della mente umana, affermando che il decreto divino è arbitrario. Lutero vedeva il cattolicesimo barcamenarsi tra i corni di un dilemma: se è vero che la salvezza viene compromessa quando la si faccia dipendere in qualche modo dall’uomo, è altrettanto vero che la morale è del tutto compromessa quando la si fa dipendere totalmente da Dio. Per Lutero il cattolicesimo era vittima di un concetto assolutamente inadeguato della grandezza divina e di un concetto vanaglorioso dei poteri dell’uomo: qualsiasi cosa l’uomo possa fare o non fare, niente egli può dinanzi a Dio, tranne autoingannarsi. Mentre il giudaismo, quintessenza dell’esteriorità legalitaria, era per Lutero radicalmente idolatra. E tutto ciò appellandosi al sentimento nazionale tedesco (95 tesi), con un invito a opporre la costituzione buona, sociale, dei tedeschi alla corruzione anticristica della chiesa romana.
Ora, direi cruciale il fatto che tra Heidegger e Lutero sia possibile tracciare una sorta di mappa delle analogie, peer-to-peer: non c’è niente che l’uomo possa fare o non fare, operando con il sapere, la tecnica, l’ingegno del calcolo, per trarsi dal nichilismo, se non approfondirlo. L’interiorità diventa in Heidegger l’“esistenza autentica”, la fede l’intima convinzione di un compito, lo stato d’animo la situazione emotiva, la gratitudine il ringraziamento del pensiero (Denken ist Danken), l’arbitrarietà del decreto divino la grazia (χαρις) o il dono (Gabe) dell’Essere. La carne e la fuorvianza delle opere (l’esteriorità) diventa lo scadimento (Verfallen) del mero occuparsi di questo e quello (umgehen) in mezzo all’ente (oblio dell’Essere). [6] Il che pone poi l’uomo al servizio della volontà di potenza della tecnica (vanagloria dell’uomo), di cui Heidegger avrebbe mostrato il vero volto nel concetto di im-posizione, ovvero in quel provocare la natura affinché questa secerna, dolente, i propri succhi, annullandosi, lasciando l’uomo nel deserto. La critica al cattolicesimo prende in Heidegger la forma di una critica alla metafisica o pensiero dell’ente scambiato per l’essere, di una critica dell’interpretazione romana del pensiero greco, dell’interpretazione medievale-tomista del pensiero di Aristotele, e poi, in prospettiva, della metafisica della soggettività (età moderna), della scienza moderna (a partire da Galileo), dell’americanismo (= liberalismo), del bolscevismo (= diffusione planetaria dell’industrialismo e del capitalismo) e, da ultimo intima essenza, comune a questi differenti , dell’ebraismo mondiale, con il suo profetismo ciarlatano (= inautentico, perso nello scadimento, schiavo del dominio dell’ente), la sua straordinaria perizia nel calcolo e la sua propensione a mischiarsi e a corrompere. E tutto ciò, anche in Heidegger, appellandosi al sentimento nazionale tedesco, espressione di un popolo destinato a condurre l’insurrezione contro l’ente e a predisporre, attraverso la rianimazione del pensiero dell’Essere, la cui grandezza è obliterata dall’uomo e dalla sua vanagloria, l’avvento di un altro inizio.
Un’altra osservazione è che la radicalizzazione dell’antisemitismo popolare in Germania avviene, senz’ombra di dubbio, grazie alla diffusione dell’ideologia völkisch, collegata agli aspetti più esasperati del nazionalismo tedesco. Si tratta di un’ideologia che si coagula intorno agli anni ’80-’90 del XIX secolo e che costituirà la base dottrinale dell’hitlerismo. [7] Padri di questa corrente due professori universitari tedeschi: Paul de Lagarde e Julius Langbehn. Curioso che Lagarde, di mestiere filologo orientalista, fosse ampiamente ebraizzante. Solo dopo 1872, forse per ragioni biografiche, questi comincia a presentarsi come profeta di una religione dell’avvenire con al centro il Volk germanico ripensato come “popolo eletto” [8] [sic]. Lagarde ammira apertamente gli Ebrei, li ammira come “popolo in cammino”, come “comunità etnoreligiosa”, come “Volk paradigmatico”, si tratta di un’autentica ammirazione ontologica per il positivo di cui i tedeschi, in quel momento, rappresentano il negativo da redimere, mentre riserva loro un odio teologico in quanto portatori del “legalismo giudaico” (Lutero). Anche nel caso dell’ideologia völkisch pare possibile, fatte alcune minime distinzioni, tracciare una mappa delle corrispondenze: l’indigenza del Volk tedesco, il riconoscimento di un loro particolare ruolo nella storia dell’Essere, il loro essere “in cammino”, il loro configurarsi come comunità “etnofilosofica” e come “Volk paradigmatico”; l’introduzione del cliché dell’attesa, là dove, per esempio, Heidegger distingue fra “distruzione” [Zerstörung] e “desertificazione” [Verwüstung], la prima come “l’annuncio di un inizio nascosto”, la seconda come “colpo di coda della fine già decisa”. [9] Lagarde poi mischia, come del resto aveva fatto Lutero, e come non finirà fi fare poi il nostro Heidegger, l’avversione teologica con l’avversione morale nei confronti dell’ebreo “maneggiatore di denaro” e con l’avversione politica per l’ebreo “agente del liberalismo” mondiale. [10] Il tema “giudeofobico”, mix indecoroso di pregiudizi morali e di rigurgiti teologici, scomparso completamente durante il primo conflitto mondiale, riappare negli anni della Repubblica di Weimar [11] collegato al tesi di razzismo scientifico di Huston S. Chamberlain. [12] Si potrebbe dire che l’ideologia völkisch, che annoda da un lato antigiudaismo teologico e pregiudizio antisemita e, dall’altro, razzismo scientifico e antisemitismo onto-politico, nel primo dopo guerra venga generando da un lato Hitler (esito biologico) e dall’altro, quale correlato metafisico, Heidegger. Biologia e metafisica non sono cioè un’alternativa, ma approcci concorrenti nella radice onto-teo-logica. [13]
3. Liberalismo. Separare metafisica e biologia ha uno scopo preciso: salvare l’interdetto anti-metafisico pronunciato da Heidegger. Heidegger era nazista, antisemita, ma la sua critica alla modernità e alla metafisica sono giuste (Lyotard), di conseguenza, anche la sua critica alla mondializzazione, sui cui Lyotard avrebbe forse eccepito. Heidegger ha sbagliato sull’Ebraismo solo perché non è stato abbastanza radicale nella sua critica (Derrida). E poiché l’antisemitismo di Heidegger sorge sulla base della metafisica, l’interdetto va mantenuto.
Quello che bisognerebbe però ricordare è che in Heidegger “metafisica” e “oblio dell’essere” vanno di pari passo fin dalle primissime pagine di Essere e tempo e, in generale, prima di risuonare come la pretesa della metafisica di enunciare verità incontrovertibili. Se nell’“oblio dell’essere” è già in cammino l’antisemitismo degli anni Trenta, cosa che Donatella Di Cesare riconosce, allora mantenere fermo il pensiero dell’interdetto suona contradditorio. Heidegger non è antisemita per difetto di radicalità, ma perché assume l’antisemitismo come tratto costitutivo del pensiero onto-storico e perché ricapitola la sua intera riflessione sotto il segno della Storia dell’Essere, dove l’ebreo è posto come agente della la “macchinazione” quale esito ultimo della metafisica come storia della violenza; come agente della “desertificazione” quale effetto della macchinazione, cioè dell’annullamento d’Essere, dello sradicamento planetario di ogni ente dalla sua propria radice, l’Essere; e della “derazzificazione” che è ciò non consente ai popoli spirituali di realizzare il proprio compito storico-destinale [14] in quanto, mischiandovisi, determinano, l’effetto-dybbuk, [15] ossia il distoglimento intellettualistico, l’esternalizzazione dell’esistenza, la riduzione liturgica, lo scadimento della propria interiorità in mezzo all’ente, la rimozione dell’Essere. La tesi dell’insufficienza critica (Derrida) deve quindi essere abbandonata.
Il secondo punto è che la critica heideggeriana alla modernità, alla metafisica, alla tecnica, alla mondializzazione, sarebbe, secondo Di Cesare, giusta. È questo il passaggio più delicato, perché si salda alla diffusione trans-accademica dell’heideggerismo, facendone il “racconto heideggeriano”, un meccanismo di legittimazione dell’antisemitismo contemporaneo nella forma di un’ideologia anti-globalista. Donatella Di Cesare, in un articolo per il Corriere della Sera, [16] utilizzando Sloterdijk, afferma che Heidegger si situa nello schieramento dell’antiglobalizzazione notoriamente critico nei confronti dello stile di vita occidentale, in cui vede realizzata una felicità da grande magazzino, cioè, si badi, inautentica, esteriore, puramente rituale, schiacciata sulla carnalità dell’esistenza, giusto per rivisualizzare la linea Lutero-Heidegger. Ci sarebbe forse da discutere quanto luteranesimo sia finto nel fronte no-global, ma questo è un altro problema. Heidegger sarebbe un compagno di strada del comunismo, oltre che di Lutero? il che per altro è valido fino a un certo punto, se per “comunismo” si intende un succedaneo puro e semplice dell’apposizione “di sinistra”, visto che l’antiglobalismo è trasversale. [17] Secondo Sloterdijk, afferma Donatella Di Cesare, l’antiglobalizzazione avrebbe potuto portare Heidegger nel campo della sinistra… e io dico che ce l’ha portato senz’ombra di dubbio, ma che proprio grazie a questa trasposizione la sinistra antiliberale si trova oggi a far fronte comune con la destra antiliberale (da sempre antimondialista) nel frente “no-global”. È la grande novità dei Quaderni Neri questa del comunismo, dice la Di Cesare, dove Heidegger distingue il comunismo realizzato nella forma del bolscevismo, dal “comunismo” come possibilità non ancora realizzata e lo intenderebbe come nome filosofico di quel comune-comunitario soggiornare umano nella Polis, che potrà esserci solo quando la politica non sarà più solo “amministrazione”. Insomma, un Heidegger teorico del comune-comunitario-comunismo, un Heidegger posteriore ai suoi stessi epigoni. Questo emerge. E una cosa almeno è certa, che Heidegger è letto così dalla sinistra filosofica di fine XX e inizio XXI secolo, Di Cesare inclusa. [18]
Se Hegel e Marx ritenevano che l’evoluzione della società umana non fosse senza fine, ma che avrebbe avuto termine quando l’umanità avesse raggiunto una forma di società tale da soddisfare i suoi più profondi e fondamentali desideri, lo stato liberale per il primo, il comunismo per il secondo, Heidegger, osserva Di Cesare, non considera il liberalismo come orizzonte ultimo possibile e lo lega alla fine della modernità, mentre nel comunismo non ancora realizzato vede il polo filosoficamente opposto. La critica della “rivoluzione occidentale” di Marx e Lenin, “non abbastanza rivoluzionaria”, cioè non abbastanza plastica, si coniuga con un’idea di “comunismo” a cui sembra affidato il futuro stesso del pensiero di Heidegger e la sua possibilità di incidere nel XXI secolo, il secolo della redenzione dal liberalismo e dell’avvento dell’altro inizio, ovvero di una ripresa per una nuova fine, il comunismo non marxista. [19] Penso alle parole di Naomi Klein: il capitalismo non è più sostenibile, occorrono cambiamenti radicali nel modo di vivere, produrre e gestire le attività economiche, altrimenti non ci sarebbe modo di evitare la catastrofe. Se vogliamo davvero salvarci dobbiamo mettere in discussione la logica fondamentale della nostra economia: la crescita come priorità assoluta. Ma siamo bloccati perché le azioni che ci permetterebbero di evitare la catastrofe costituiscono una minaccia per l’élite che tiene le redini dell’economia, del sistema politico e dei media. La sola via d’uscita è una trasformazione radicale del nostro stile di vita. [20] Heidegger, Naomi Klein, Alain de Benoist, alla fine si incontrano sul piano della rivoluzione, qualsiasi cosa questa parola possa poi significare.
C’è un fatto curioso relativo alla pubblicazione dei Quaderni Neri che ha un significato infra-teorico non trascurabile: Heidegger fissa la pubblicazione dei Quaderni alla fine della Gesamtausgabe. Ora, nei Quaderni (terzo volume) si legge la frase: «Frühestens um 2300 mag wieder Geschichte sein Dann wird sich der Amerikanismus am Überdruß seiner Leere erschöpft haben» [21]:
Non prima del 2300, all’incirca, potrà esserci di nuovo Storia. Allora l’americanismo si sarà esaurito nel tedio del suo vuoto.
Forse Heidegger non aveva previsto che si sarebbe proceduti così spediti nella pubblicazione delle sue opere, in ogni caso, questi testi attraversati dall’antisemitismo in chiaro e in cifra, dovevano apparire tardi, forse in concomitanza con il declinare del paradigma liberale, allorché sarebbe stato infine chiaro che l’ebraismo era l’essenza comune di americanismo e bolscevismo. Questo spostamento in avanti della pubblicazione dei Quaderni Neri è motivato da una profezia sull’evoluzione dei tempi: siamo nel medioevo onto-storico; verrà il tempo, 2300 all’incirca, in cui apparirà chiaro che liberalismo e bolscevismo, che hanno il loro comune fondamento nell’ebraismo, hanno condotto il mondo sull’orlo della catastrofe, cioè della “desertificazione” totale. E il punto è proprio questo, il fatto che Heidegger intendeva incidere nel XXI secolo. I Quaderni Neri dovevano apparire nella prossimità del tramonto del moderno (americanismo, liberalismo, bolscevismo, ebraismo mondiale), allorché si sarebbe potuto incominciare a intravvedere l’aurora del primo mattino dell’altro inizio, del “comunismo” a venire. Allora si sarebbe compreso che il nazional-socialismo non era poi così lontano dall’aver colto nel segno quando individuava nell’Ebreo [Judentum] l’essenza del nichilismo moderno. [22] Quindi anche la tesi che la colpa di Heidegger sarebbe piuttosto una colpa della metafisica che non una “colpa metafisica” deve essere abbandonata, perché a declinare l’Ebreo come nemico, come Dybbuk da annientare sulla base di una certa concezione della metafisica, è non altri che Heidegger.
Di Cesare scrive in verità: “amministrazione burocratica”. Specificazione confusiva. Infatti è il concetto della politica come “amministrazione”, non come amministrazione “burocratica”, peggiorativo, che individua il liberalismo. E ciò di contro al concetto della politica come “plastica”, che individua invece il totalitarismo da Saint-Just a Mao, da Mussolini a Hitler. Ed è proprio questa sfumatura da nulla che andrebbe tenuta presente, il fatto che la politica antiliberale, la politica come plastica, come pretesa modellazione dell’uomo (nuovo, virtuoso, coraggioso, guerriero, dedito, ecc.), è dell’ordine del totalitarismo.
4. Auschwitz. Donatella Di Cesare, forte della tesi di Lacoue-Labarthe (Heidegger per pensare la Shoah e Auschwitz come essenza dell’Occidente), tenta il cliché hölderliniano, già così abusato da Heidegger, di pensare insieme “pericolo” e “salvezza”. Forse che se il pericolo viene dal nazismo, di lì viene anche la salvezza? Ci si provi a ripetere la proposizione anche con il termine “antisemitismo”: forse che se il pericolo viene dall’antisemitismo, di lì viene anche la salvezza? Ma il pericolo, per Di Cesare, non viene veramente di là, è questo che sconcerta, ma da qualcosa di più pestifero, di più antico, di invisibile ai più, visibile tutt’al più ai filosofi, ma solo se hanno letto molto Heidegger: la metafisica (Lyotard). Donatella Di Cesare è nella piena contraddizione di questa posizione. Eppure è proprio lei a mettere in evidenza che nei primi tre Quaderni Heidegger fa uso di un linguaggio “velatamente” antisemita (cifrato, dico io) e che solo ora è diventato chiaro che gli stessi termini tecnici della sua filosofia devono esser letti con una nuova consapevolezza: la differenza ontologica diventa la matrice della guerra planetaria tra l’Essere (tedesco) e l’ente (ebreo); gli ebrei vengono accusati di voler “entificare” l’Essere, di voler sradicare ogni ente. [23] L’“oblio dell’essere” e la sua “velatezza” sono pensati come colpa ebraica. La Di Cesare si rende cioè conto che Heidegger ha in tal modo sistematicamente ricompreso, attraverso il metodo dell’autointerpretazione, la Seinsfrage nei termini della Judenfrage. [24] Ma se alla base dell’ipotesi “salvezza dall’orizzonte liberale della globalizzazione” c’è la serie Heidegger-nazismo-antisemitismo, non si capisce, allora, perché procedere a un controverso rovesciamento dell’ordine delle implicazioni quando appare chiaro che è quest’ultima, questa curiosa “ipotesi”, a dover subire una radicale mise en question. In altre parole: non c’è, o quanto meno è assai dubbio che possa essere accettata senza discussione, un’ipotesi di liberazione dall’orizzonte liberale della globalizzazione, sulla base proposta, proprio perché la supposta “minaccia” che l’orizzonte liberale della globalizzazione veicolerebbe è un postulato del nazi-antisemitismo heideggeriano. Heidegger quindi non serve per pensare la Shoah, non almeno nel senso che là donde viene il pericolo, di là viene anche la salvezza, perché lo sterminio del Dybbuk è, per Heidegger, la soluzione al problema: sterminare lo spirito di gravità che degrada l’Europa ad americanismo e bolscevismo, impedendole di spiccare il salto verso l’oltre-uomo, verso l’altro inizio, di realizzare cioè il proprio destino spirituale.
Quindi la ragione dell’antisemitismo di Heidegger non si trova in un’insufficienza critica nei confronti della metafisica e risulta invece chiaro che è proprio a causa di tale “critica” che Heidegger giunge a delineare una storia dell’Essere nel cui dramma vengono mossi, quali attori principali, America, Russia, Germania e Ebraismo mondiale, dove America e Russia sono il cattivo e l’incattivito, l’Ebraismo il Dybbuk dell’Europa e la Germania il suo redentore. Quindi Auschwitz non è l’essenza dell’Occidente se non nel gesto di consegnarsi filosoficamente alla teologia onto-storica di Heidegger. Auschwitz è semmai l’essenza di quel particolare modo di porre la questione dell’Essere come problema della liberazione dall’orizzonte liberale della globalizzazione mediante una ricapitolazione che dispone i propri personaggi nella quadratura drammaturgica che abbiamo visto: il cattivo, il famulo, il dybbuk e l’angelo redentore e che si piega alla necessità storica di un’accelerazione nello sterminio dell’essenza o spirito che frena (katéchon) dinanzi all’estrema necessità del disvelamento (apokalypsis) dell’altro inizio (euangélion). E anche qui, come nell’Apocalisse di Giovanni, il theríon, la bestia, il demone che frena, l’Anticristo, va ricacciato nell’abisso. Auschwitz non è l’essenza dell’Occidente, ma lo può diventare allorché l’antiglobalismo riproduca in ogni frangente il teatro dell’escatologia indoeuropea: per andare oltre, verso l’altro inizio, abbiamo bisogno di riappropriarci del primo inizio, l’Übermensch di Nietzsche interpretato secondo la lettura heideggeriana scrive Alexander Dugin; oppure, scivolando verso Corbin, l’angelo purpureo di Sohravardî, il cui regno è la vera patria dell’uomo, l’origine raggiunta dopo un viaggio che si svolge come un andare, che in realtà è un ritornare al luogo dal quale si proviene, del quale si è già sempre “in cerca” e che era necessario “obliare”, affinché potesse essere riscoperto. «Abbiamo attraversato il confine, scrive Dugin filosofo russo, padre del neoconservatorismo post-sovietico , non c’è nient’altro da salvare. I resti della modernità o, eventualmente, della pre-modernità, non sono altro che residui, simulacri, qualcosa di radicalmente inumano (in tutti i sensi) e quindi qualcosa di trascurabile». [25] Ma per molti di coloro che vedono nell’orizzonte liberale della globalizzazione l’incarnazione del male, Angra Mainyu, il corruttore, la battaglia finale non si è ancora svolta, angeli e demoni devono ancora affrontarsi, il «Re delle cose autor del mondo, arcana malvagità, sommo potere e somma intelligenza, eterno dator dei mali e reggitor del moto» (Leopardi), [26] non è ancora stato gettato nell’abisso. Per questo tipo di impostazione non si tratta di riconoscere la natura interessata dell’uomo e la necessità di incanalarne i flussi entro accorte politiche del bene comune, ma di procedere all’estirpazione teologica del male. L’altro inizio segue sempre uno sterminio. È questo forse che ha turbato Jean-Luc Nancy, spingendolo a riconoscere che i Quaderni Neri trascinano nell’infamia tutto un piano di pensiero. Non il pensiero dell’essere? Forse. Nancy non riesce a spingersi oltre: «Non pas la pensée “de l’être”», ma quello di una storia come destino e del desiderio incontenibile di un “nuovo inizio”. [27]
[1] D. Di Cesare, Heidegger e gli ebrei. I «Quaderni Neri», Bollati Boringhieri, Torino 2014.
[2] Anche Jean-Luc Nancy, è bene rilevarlo, poiché questa sembra essere in fondo la posizione dei francesi, batte questa strada: se questo è accaduto: «gli orrori della distruzione e dell’autodistruzione, ma anche di tutto ciò che si compiace degli inizi e delle fini, degli orienti così come degli occidenti […] è perché quel pensiero [il pensiero dell’Ereignis] non è riuscito a disfarsi del desiderio di fondazione». Se Heidegger cade in questo errore/orrore è perché di quel pensiero che ha compreso come metafisica ha conservato almeno qualcosa: il motivo dell’inizio. Non è stato cioè abbastanza radicale nello sbarazzarsi della metafisica (J.-L. Nancy, Banalità di Heidegger, trad. di A. Moscati, Cronopio, Napoli 2016, p. 66).
[3] M. Lutero, Degli ebrei e delle loro menzogne, a cura di A. Malena, Einaudi, Torino 2008.
[4] Il Church Council of the Evangelical Lutheran Church ha formalmente bandito, nel 1994, dagli Stati Uniti, lo studio dei libelli antisemiti di Lutero, mentre il Sinodo della Chiesa Evangelica in Germania, nel 2105 ha parlato di “eredità angosciante”.
[5] Julius Streicher, a Norimberga, tentò di difendersi riparandosi dietro Lutero. Cfr. L. Kaennel, Lutero era antisemita?, a cura di M. Cammarata, Claudiana, Torino 1999, p. 14.
[6] Nella “Lettera sull’umanismo” il termine “Verfallen” è definito come “l’oblio della verità dell’essere a favore dell’imporsi dell’ente, non pensato nella sua essenza”, cfr. Segnavia, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1987, p. 514.
[7] J. Plumyène, Le nazioni romantiche, trad. di D. Bigalli, Sansoni, Firenze 1982, p. 332. Tra le idee di Lagarde ampiamente riprese in ambiente nazista: lo Spazio vitale a Est; la costruzione di un blocco europeo centrale sotto il dominio tedesco; l’aspirazione a un cristianesimo germanico, epurato degli elementi giudaici, in primo luogo San Paolo. Quest’ultima idea pare influenzò direttamente Alfred Rosenberg nel suo Der Mythus des 20. Jahrhunderts (1930).
[8] Ivi, p. 354.
[9] Cfr. D. Di Cesare, Heidegger e gli ebrei, cit., p. 126.
[10] J. Plumyène, Le nazioni romantiche, cit., p. 353.
[11] Ivi, p. 357-58. Il Reich in guerra [II Reich] vieterà le pubblicazioni antisemite.
[12] H.S. Chamberlain, I fondamenti del XIX secolo, s.t., Thule Italia, Roma 2015. Per Chamberlain, chiave di volta della storia del mondo è il concetto di razza.
[13] Diventa così necessario rivedere l’intero cammino della filosofia occidentale fuori dalle griglie heideggeriane, per esempio cominciando a ripesare il ruolo di Roma, del cattolicesimo, del medioevo, della filosofia moderna e della modernità.
[14] Cfr. D. Di Cesare, Heidegger e gli ebrei, cit., pp. 126-135, passim.
[15] Per il “dybbuk” cfr. cap. III, “Il segno sconosciuto”.
[16] D. Di Cesare, “Heidegger no global. Il vero bersaglio del filosofo tedesco è l’orizzonte del liberalismo planetario”, Il Corriere della sera, 8 novembre 2015.
[17] Si vedano, a tale proposito, le dichiarazioni del padre della Nuova destra europea, Alain de Benoist: «l’americanizzazione del mondo, l’omogeneità dei modi di produzione e di consumo, la planetarizzazione del mercato, l’erosione sistematica delle culture sotto l’effetto della mondializzazione mettono in pericolo l’identità dei popoli molto più dell’immigrazione». Poi, più apertamente, sostiene che il liberalismo è nemico dell’uomo, della comunità e del bene comune, anzi, a dirla tutta, è l’asse del male.
[18] Da La Communauté désœuvrée (J.-L. Nancy, 1986), a La comunità che viene (G. Agamben, 1990) a Communitas. Origine e destino della comunità (R. Esposito, 2006). Straordinario il passaggio dal comunismo al “comune” di autori di tradizione marxista: Inventare il comune (Antonio Negri, 2012); Commun: Essai sur la révolution au XXIe siècle (Christian Laval, Pierre Dardot, 2015).
[19] La trama del racconto heideggeriano si sviluppa attraverso questi punti: primo inizio (Grecia presocratica); altro inizio (declino e scomparsa della modernità americano-bolscevico-ebraica, ovvero fine della filosofia, della metafisica, del mondo sorretto da strutture tecnologiche) e, con questa nuova apertura storica, prefigurazione di un’altra fine, quella pensata sotto la categoria di un “comunismo” non industrialista, post-economicista, meta-tecnico e oltre-umano.
[20] N. Klein, Una rivoluzione ci salverà. Perché il capitalismo non è sostenibile, trad. di M. Bottini et al., Rizzoli, Milano 2015.
[21] M. Heidegger, Überlegungen XII-XV, (Schwarze Hefte 1939-1941), GA 96, a cura di P. Trawny, p. 225 [numerazione interna: 92].
[22] Questo antisemitismo è passato inopinatamente nel fondo dell’antiglobalismo contemporaneo di destra e di sinistra assumendo ora le forme dell’antisionismo, ora quelle del revisionismo e del negazionismo, ora quelle dell’anti-israelismo (negazione del diritto di Israele ad esistere come stato), ora quelle di un’identificazione Israele-ebreo, ora quella della mancata distinzione tra Israele e sionismo, ora quelle di un’identificazione nazismo-Israele, ora quella dell’identificazione di Israele come cancro, ora quella del boicottaggio della cultura israeliana, ora quella del boicottaggio della collaborazione con istituzioni accademiche israeliane, ora quella dell’aggressione a cittadini europei che indossano la kippah, ora quella dell’interdizione ai vessilli delle brigate ebraiche di partecipare alle celebrazioni del 25 aprile accanto all’Associazione nazionale degli ex partigiani, e via di questo passo. Voglio citare solo pochi fatti recenti di particolare significato: il tentativo di boicottaggio della cultura israeliana al Salone del libro di Torino nel 2008, avanzato da alcuni intellettuali arabi e sostenuto dalla sinistra radicale italiana con l’appoggio di alcuni giornali quali Liberazione e il Manifesto, incapaci di distinguere tra governo israeliano, ideologia sionista e cultura di un popolo. Portavoce il filosofo Gianni Vattimo che giunge persino a rivalutare i Protocolli degli anziani di Sion, a dimostrazione che nessuno, in quest’area, fa mistero di credere nella validità dell’equazione: “ebreo = Israele”. Nel 2015, Alla Southampton University (Londra), si sarebbe dovuto tenere un grande convegno internazionale dal titolo “International Law and the State of Israel: Legitimacy, Responsibility and Exceptionalism”, in cui a essere in discussione non è la politica di Israele, ma la sua “natura”, il suo “diritto all’esistenza”. Dopo molte polemiche il convegno sarà in fine sospeso dalla presidenza per “ragioni di sicurezza” [non perché antisemita]. Sempre nel 2015 alcune centinaia di docenti delle università italiane chiedono la cessazione delle collaborazioni tra gli atenei italiani e quelli israeliani, a partire dal Politecnico di Haifa, il “Technion”. Nel 2016, Fiom, Arci e Cobas, aderiscono, a fianco di molte altre associazioni italiane di area pacifista, al boicottaggio internazionale di Israele.
[23] D. Di Cesare, Heidegger e gli ebrei, cit., p. 97.
[24] Ivi, p. 101.
[25] A. Dugin, The Fourth Political Theory, trad. inglese di M. Sleboda e M. Millerman, Arktos Media, London 2012.
[26] G. Leopardi, “Argomenti e abbozzi di poesie: Ad Arimane”, in Tutte le Opere, Vol. I, a cura di Walter Binni, Sansoni, Firenze 1983, p. 350.
[27] J.-L. Nancy, Banalité de Heidegger, Galilée, Paris 2015.
Wim Wenders, Der Himmel über Berlin, 1987
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