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2012


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Immanenza onirica
di Jacopo Valli

27 agosto 2012


Yo esta pompa, esta grandeza
he visto reducida
a una estrecha prisión.

(Calderón de la Barca, La vida es sueño)

[...] Trasgredire attraverso la vita le leggi della ragione, rispondere alle esigenze stesse della vita contro la ragione, è in politica, praticamente, donarsi a mani e piedi legati al passato. E però la vita non esige meno d’essere affrancata dal passato che da un sistema di misurazioni razionali, amministrative.

Il movimento passionale e tumultuoso che forma la vita, che risponde a ciò ch’essa esige di strano, di nuovo, di smarrito, appare talvolta sostenuto dall’azione politica: non si tratta che d’una breve illusione! Il movimento della vita non si confonde né con i movimenti limitati delle formazioni politiche né entro condizioni definite; esso prosegue lungi al di là, là ove precisamente si perdeva lo sguardo di Nietzsche.

Lungi al di là, là dove le semplificazioni adottate per un tempo e per uno scopo troppo brevi perdono il loro senso, là dove l’esistenza, là dove l’universo che la arreca appaiono di nuovo come un dedalo... [...].

Georges Bataille (*)



«Trasgredire attraverso la vita le leggi della ragione, rispondere alle esigenze stesse della vita contro la ragione».

Ma è davvero necessario che la ragione detti leggi e condizioni asserventi?

Secondo Jean Baudrillard, anti-tomisticamente, anti-tolemaicamente, «Il caos non è così radicalmente opposto alla razionalità. Questa è stata più o meno dominata, controllata [...]»; e — mi chiedo — non è forse la ragione stessa a poter sondarsi criticamente, al punto da saper sradicarsi e spingere il pensare verso un al di là, in essa ricompreso ed immanente, «dove l’esistenza, [...] dove l’universo che la arreca appaiono di nuovo come un dedalo»?

Parossisticamente, in metaforica oscurità, sgranare gli occhi ed iniziare a vedere come gatti, attraverso il Tapetum lucidum razionale. Inabissarsi in uno stato come di sogno lucido, di sogno che non attenda risveglio e sappia di essere sognante; di sogno, cioè, che è già anche “realtà” e che non anela più ad un Altro, inteso metafisicamente, come forma mundi da possedere, conquistare, realizzare, tanto più per qualche pretesa necessità storica, passatista o meno.

Essere sogno che sa di sognare è essere condizione aperta e cosciente di tale apertura, della possibilità, del molteplice. Così, non si dà un tutto, un esaurito; non si danno forme ultime ed ordinanti pure la “ragione ereticale” che qui intendo mallevare.

Non si può dare Un — uno — sogno, come non si può dare Un — uno — senso: il sogno, il mondo (...) non ha senso, ma è il senso di se stesso; e si possono dare più sogni nel sogno e più sensi nel senso di se stesso che è il sogno medesimo [come in una mise en abyme]; sogni e sensi che non sono evidentemente definitivi, e che nemmeno sono necessariamente afferibili a tensioni privatamente escatologiche e definitive-definitorie rispetto al sogno, ch’è per volontà negabile, eventualmente, attraverso un risveglio [compimento e realizzazione dell’ideale], che è un metafisico riaddormentarsi credendo finalmente di svegliarsi, mentre invece ancor si sta sognando, ed evidentemente senza la coscienza di ciò e privi della comprensione di come tale condizione non sia limitante, ma amplificante e risvegliante; destante quel necessariamente azzardato sguardo capace di cogliere «il movimento passionale e tumultuoso che forma la vita».

(*) G. Bataille, da «Nietzsche et les fascistes — Nous autres sans-patrie» [frammento], in “Acéphale”,  n. 2, Janvier 1937 (traduzione di Jacopo Valli)



František Kupka, Tango, 1909



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