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Invecchiamento della scuola desiderante.
L’Anti-Edipo quarant’anni dopo

di Marco Baldino

3 aprile 2012 | 8 marzo 2014




Per farsi un’idea di quanto L’Anti-Edipo sia un libro invecchiato basta questa frase, che ho ripreso dal blog “Sentieri Erranti”:
    «A quali condizioni l’avanguardia rivoluzionaria potrà liberarsi dalla propria complicità inconscia con le strutture repressive e sventare le manipolazioni del desiderio delle masse da parte del potere, a causa delle quali esse finiscono per “combattere per la propria schiavitù come se si trattasse della propria salvezza”? (G. Deleuze-F. Guattari, L'Anti-Edipo, Einaudi, Torino pag. 355)».*
Sentieri Erranti, come si può vedere, rinvia a pagina 355 dell’edizione Einaudi. Tuttavia, a pagina 355 la frase citata non c’è. Il lacerto: «... così da indurli a combattere per la propria schiavitù come se combattessero per la propria salvezza», che si trova a pagina 32, è invece una citazione quasi letterale da Spinoza (Trattato Teologico-politico, Prefazione, p. 3, Einaudi 1972, trad. Droetto, Giancotti Boscherini). In effetti Sentieri Erranti mette tra virgolette solo il lacerto spinoziano, attribuendolo però a Deleuze-Guattari, come se ciò che lo precede fosse in qualche modo il sunto di un pensiero rinvenibile a pagina 355 o giù di lì. Le cose non stanno così. Può darsi dunque che nella forma sopra riportata, la frase non esista nell’Anti-Edipo. Vero è, invece, che Deleuze e Guattari parlano di «desiderio delle masse», ne parlano a proposito della questione della “servitù volontaria”. Parlano di perversione del desiderio delle masse nel fascismo (p. 32) — per inciso: Deleuze e Guattari esplicitano chiaramente il loro riferimento a Spinoza, cosa che Sentieri Erranti non fa — e, a proposito dei «fantasmi di gruppo», parlano di possibile investimento rivoluzionario della libido, ovvero di un possibile investimento desiderante delle masse nella forma rivoluzione (p. 33).

Ebbene, dubito che le masse abbiano desideri, dubito delle masse, dubito che vi siano ancora cose come le masse, dubito persino che vi siano ancora desideri, non solo nel senso hegeliano, cioè negativo, ma anche nel senso nietzschiano, cioè affermativo (nota bene: dico “nietzschiano” e “hegeliano” solo per brevità). Ecco, ho usato una specie di sillogismo gorgiano, quasi uno scherzo. Di serio c’è questo: se ha ragione Hegel, l’Hegel di Kojève, allora il desiderio è tacitato dall’approdo del movimento dello spirito nella zona dell’assoluto. Le masse oscillano appena al suono pacificante di ondivaghe rimembranze, non sono più nemmeno masse se non nel senso messo in luce da Baudrillard, nel senso che niente fa più davvero massa, che niente oppone più resistenza; massa sfilacciata, molle, attraversata da ogni impulso, senza che nulla muti. Se invece ha ragione Nietzsche, il Nietzsche di Deleuze e Guattari, allora ad avere desideri, o impulsi, non sono le masse, ma le forze, e noi non siamo i padroni di queste forze, bensì sono loro a padroneggiare, e a spadroneggiare. In ogni caso, le masse, la massa, non ha, non ha mai avuto desideri se non nell’immaginario rivoluzionario marxista. Quanto alla resistenza, beh, penso che, nell’ipotesi di D&G sia ancora qualcosa come un desiderio e sono sempre le forze ad esercitarla, non l’io o la volontà del soggetto, che non ci sono. È vero, io (l’uno) sono il molteplice (quindi non sono l’uno). L’identità è una finzione. Al massimo possiamo parlare di identità transitorie e non onnicomprensive. Nell’ipotesi di Kojève, se il desiderio è concluso, allora anche la resistenza lo è, visto che la resistenza appartiene all’oggetto e al servo. Ma noi siamo già oltre la rivoluzione del servo, siamo in paradiso.

Certamente, in D&G, il potere è più un’affezione del desiderio, che non “una struttura repressiva che manipola il desiderio delle masse”. Sventare significa infatti mandare a vuoto un piano, fare in modo che non si realizzi, come se le masse esprimessero progetti o strategie; ‘manipolare’ è più neutro, ma si percepisce con chiarezza il senso che Sentieri erranti gli attribuisce, quello di corrompere, di distogliere, di sviare, che cosa? Beh, quei progetti e quelle strategie che D&G stessi non attribuiscono affatto alle masse, le quali non sono un soggetto, e nemmeno ai soggetti, bensì alle forze. In effetti se per D&G il potere è un’affezione del desiderio e se il desiderio è forza positiva, allora ‘manipolare’ sembrerebbe essere il termine che più si adatta a descrivere la condizione in cui il desiderio delle masse viene, non sviato, ma interrotto. Che il “potere manipoli il desiderio” potrebbe infatti significare soltanto che i ‘concatenamenti’ assumono una ‘piega’ ossessivo-paranoica, rigidamente identitaria, come, appunto, nel caso del fascismo. Ma “manipolare” significa assestare una manata, premere con la mano... il potere ha mani? o qualcuno presta le proprie mani al potere? … e sappiamo tutti bene che in Deleuze la metafora è vietata. Qui non è come in Foucault, dove il potere è un rapporto, qui non si sa come pensarlo il potere, sembra infatti che le concatenazioni si trovino ad assumere un’altra piega. Ma anche questo trovarsi mi sa tanto di ‘ostacolo’, di ‘impedimento’, un negativo funzionale allo sviluppo delle forze e dei loro concatenamenti. Non voglio insistere troppo, ma il senso della mia osservazione sta proprio qui: D&G riescono veramente a liberarsi del potere come “macchina” repressiva? Riescono a liberarsi del Sessantotto? Di Marcuse? Di Reich? Oppure ha ragione Sentieri erranti? C’è come una sorta di inversione: il desiderio diventa positivo, d’accordo, è una trasfigurazione della nietzschiana volontà di potenza, ma non è che sotto traccia il potere continui ad agire negativamente, anche se D&G fanno ogni sforzo per farne una sorta di correlato valetudinario del desiderio?

La mia osservazione riguardo alle “masse” — chiarisco — è di questo tenore: che ne è delle masse desideranti dopo che Baudrillard ha mostrato che non vi sono masse, né coscienti né desideranti, ma solo “massa”, in senso fisico, mera costante amorfa, forse nemmeno più capace di inerzia, nel gioco delle forze, dotata, tutt’al più, di uno scaltro genio d’oggetto? L’oggetto fa’ tutto ciò che gli si chiede: sei cosciente? Sei rivoluzionario? Sei inerte? Sei solido? Sei molle? Vuoi startene tranquillo e silenzioso? La risposta è sempre: “sì!” Impossibile pensare la massa come un ‘soggetto’ di qualsiasi tipo, ma impossibile pensarla anche come una macchina desiderante, perché la massa non è una forza o un concatenamento di forze e quindi non articola in sé alcun desiderio. Che ne è dunque del desiderio stesso? Non si raccoglie per caso nella forma del puro residuo? Non è, per caso, che il modello di Kojève sia più adatto di quello di D&G a descrivere la condizione felicitaria della post-storia? In questo senso penso a un “invecchiamento” della scuola desiderante, perché se è vero che il capitalismo è lo spazio compiuto dell’indifferenza, le nuove differenze, con cui D&G volevano istoriarlo (deterritorializzazione, linee di fuga, doppia cattura…), sembrano costituirsi non come forme universali della liberazione, ma come forme locali e impolitiche della sottrazione, della sparizione [è il potere de-stituente di Agamben]: ci si sottrae per un istante al rapporto governamentale, creando un punto di opacità differenziale, che il sistema ricondurrà però, velocemente, all’equilibrio felicitario. La condizione post-storica è sì un sistema energetico, ma più simile a uno stato di equilibrio stabile che non a un libero gioco creativo di differenze (di potenziale) come costante tensione rivoluzionaria.**

* Sentieri Erranti.
** Gli amici di “Sentieri Erranti” hanno replicato in un post dal titolo «Glosse 4. Sviste e desideri rivoluzionari. Deleuze e le masse».

Gilles Deleuze, Félix Guattari


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