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L’anomalia italiana
di Roberto Fai


10 settembre 2016



Nel maggio del 2007, il pamphlet La casta (Stella e Rizzo), [1] ha scoperchiato il volto di un sistema di privilegi su cui si reggeva da tempo la macchina statale italiana. Dall’ampia casistica di scandali, privilegi, sprechi, uso disinvolto di denaro pubblico, emergeva ciò che gli italiani già sospettavano, senza poterne tuttavia delineare la “portata sistemica”. Nell’arco di sette mesi il libro di Stella e Rizzo, a conferma di come il “senso comune” fosse in realtà in cerca delle sue ragioni, ha raggiunto il milione e 200 mila copie vendute, e ve le trovò, fino a incidere nel linguaggio politico e nelle forme del confronto. In altri termini, ciò che sino a quel momento era stato debolmente declinato nei termini di una mera divaricazione tra “paese legale” e “paese reale”, celava in realtà il volto di una diffusa e organica crisi, diffusa a tutti i livelli: nazionale, regionale e locale. L’agire politico-istituzionale venne coinvolto in una verticale caduta di legittimità, sino allo svelamento di profondi fenomeni di corruttela burocratico-politico-imprenditorial-istituzionale.

Il 2007 è, nello stesso tempo, l’anno che segna l’avvio di due fenomeni che incideranno profondamente nel nostro sistema politico nazionale: da una parte la nascita del Movimento Cinquestelle, la cui parola d’ordine era la distruzione del sistema politico italiano; dall’altra l’esplosione della crisi americana dei cosiddetti subprime, che avrà enormi conseguenze nel nostro paese, appesantito da un debito pubblico di duemila miliardi di euro e strettamente “vincolato” alla ghigliottina della regola comunitaria del pareggio di bilancio. Non c’è chi non veda come la crisi economico-finanziaria del 2007-2008 abbia inciso in modo profondo in Italia, sul terreno delle condizioni materiali delle classi medie e nel quadro di una preoccupante estensione delle diseguaglianze sociali, sino a consolidare un pessimismo diffuso tra le nuove generazioni e un’inedita e conflittuale separazione tra “élite” e “popolo”.

Se volessimo ricorrere alla classica “metafora hegeliana” della talpa, potremmo dire che il clima e le dinamiche politiche che oggi ci accade di vivere e sperimentare rappresentano davvero l’effetto del “lavoro” di quella talpa che ha scavato sottotraccia in questo decennio. È vero, si tratta di un tempo apparentemente breve, che sembra ascrivibile più alla cronaca che alla storia. Ma d’altra parte, l’attuale accelerazione [2] è il canone irrequieto di questa nostra contemporaneità, schiacciata com’è nella piena puntualità della sua immediata spazialità, ascrivibile a un’iperbolica consumazione o fine dei tempi. Irrequietezza che l’opinione pubblica vede ripercuotersi sia nel nell’attuale vocabolario politico (populismo, logiche antisistema, crisi della democrazia, disaffezione alla politica, ecc.), sia nel prevalere di alcune passioni negative (rancore, risentimento, ostilità, sfiducia, rivendicazione delle proprie esclusive “ragioni”, non riconoscimento dell’altro, crollo di ogni prospettiva, percezione di intollerabili diseguaglianze sociali, ecc.), al punto che non è sbagliato indicare queste ultime passioni come le più tipiche del nostro tempo.

In realtà, è l’evaporazione di senso della politica e dello stesso agire politico a tutti i livelli, dal centro alle nostre periferie, a costituire l’inedita esperienza che stiamo vivendo e che accomuna tutti noi, mentre l’esasperazione del conflitto, che quasi sempre accompagna lo stato della nostra “città divisa” (solo per mera analogia con il grande studio di Nicole Loraux), assume il carattere barocco della mera ridondanza di un “falso movimento”, che allude sempre e ricorsivamente, ad un finale di partita, beckettianamente senza esito.

Tutti noi avvertiamo l’evanescenza e l’ineffettualità di quell’agire che sino a qualche decennio fa colmava l’orizzonte di un segmento importante delle nostre forme del fare. D’altra parte, anche la percezione ed esperienza dell’inedita tonalità emotiva incentrata sull’evaporazione dell’intera “sfera politica”, non è che la diretta e progressiva conseguenza dell’evidente prosciugamento del ruolo dello Stato-nazione, a seguito dell’affermarsi dell’epoca globale e dei “grandi spazi” geopolitici (Schmitt), che hanno eroso quello «spazio politico interno» che sino a qualche decennio fa ancora declinava la relazione tra particolare (le diverse e differenti istanze delle soggettività) e universale (la proiezione utopica e “finalistica” dello Stato, entro cui il soggetto trovava protezione e il proprio riconoscimento).

Inoltre, essendo oramai acquisito — in special modo, nei momenti in cui l’asse della storia è connotato da “svolte epocali” (global Age) — come l’eccezione sia diventata la “regola”, l’estrema emergenza il “caso normale”, il caso d’eccezione la “norma”, è inevitabile che, tra la fine dei grandi e solidi “soggetti collettivi” e la pervasiva accelerazione di un’ineffabile “liquidità”, nell’estrema contingenza degli effetti di evaporazione della politica, appaia evidente come siano diventati prevalenti i tratti e le dinamiche di quell’occasionalismo politico che connota le “decisioni” e gli orientamenti dei Leader contemporanei, senza poter avere la certezza che il “dispositivo” Schmitt («Sovrano è chi decide nello stato d’eccezione»), riesca davvero a funzionare: nel senso di assicurare quel necessario “riconoscimento” di stabilizzazione di sovranità al “decisore” o ai decisori in campo.

A ciò si aggiunga che è proprio il “carattere occidentale” del compimento dello Stato — e qui “compimento” allude non alla sua morte o “fine”, bensì al “compiersi destinale” della sua forma “moderna”: da Hobbes all’ultima sfera della globalizzazione (Sloterdijk) —, conseguente all’affermarsi dell’epoca globale e all’agonistica competizione tra “grandi spazi” geopolitici, che, avendo determinato, nel nostro caso, il trasferimento della “dimensione decisionale” dallo Stato nazione allo spazio politico europeo, non possono che far emergere l’estrema riduzione dello spazio di movimento e “decisione” a livello dei Governi nazionali (e a maggior ragione per l’Italia, a causa dei “vincoli” strutturali che la stringono nella morsa del debito pubblico). Ne deriva quella dinamica che restringe in modo consistente l’autonomia politica ed economico-finanziaria dei singoli Governi, al punto che lo stesso “gioco politico” tra le forze politiche oggi in competizione, anziché davvero libero di svolgersi su un terreno materiale, “produttivo” di significative riforme strategiche, vede il prevalere di dispositivi e tecniche comunicativo-persuasive, messe in campo dai vari interlocutori, i quali, quasi sempre nel vivo della loro contesa verbale, non vanno oltre il timbro ideologico delle loro speculari “tele-rappresentazioni”.

Poco sopra abbiamo fatto riferimento alla talpa hegeliana quale figura metaforica che, a nostro avviso, consente di cogliere, per effetti intrecciati, il modo e le ragioni per cui la dialettica tra “élite” e “popolo”, in Italia, è venuta condensandosi nei termini accennati. E a noi pare davvero che, pur nel variare dei soggetti, delle vicende, degli eventi sin qui richiamati, ciò che si condensa nella “strutturazione” di questo inedito campo politico italiano sia davvero l’effetto del lavoro di scavo della talpa. E come è ben noto, questa talpa, altro non è che il volto speculare di un’altra figura metaforica che a essa, dialetticamente, si intreccia, differenziandosi solo in ragione del tempo — l’ora, il momento, l’occasione — in cui può consentire che si proferisca parola. Tale figura è la Civetta [3], e non è per mera smania di citazioni se affermiamo che entrambe debbano essere qui richiamate, dal momento che se qualcuno dovesse/volesse chiederci «cosa potrà accadere, da adesso?»; «dopo il quadro sin qui esposto, quali eventi potranno succedersi?», noi non potremmo (anzi: dovremmo!) che arrestarci, fermarci, sospendere e trattenere la parola. Potremmo solamente dire: “decideranno gli accadimenti!”.

Infatti, da una parte, solo grazie a quello che è stato il lavoro sotterraneo della talpa è possibile, tentare almeno, di esplicitare, a cose fatte, da un punto di vista “filosofico-politico”, il “senso” di quanto accaduto, provare a portare a “concetto” il recente passato. Se è vero, come dice Hegel, che «La Nottola di Minerva [la filosofia] s’alza in volo solo sul far del tramonto», nel senso che, non essendo profezia, la filosofia [4] è piuttosto capacità di sistemazione concettuale del proprio tempo, allora non è dato a noi proferir parola sull’orizzonte, sulle prospettive che è possibile possano aprirsi nei prossimi mesi nello stato dell’arte della politica, nelle forme di relazione tra le forze politiche in campo, nella sfida che potrebbe aprirsi a partire dai mesi a venire.

Non siamo, né restiamo, certamente indifferenti a quanto potrà accadere. Certo, l’immagine plastica di una politica in frantumi — per effetto del lavoro di svuotamento di quella talpa: per come sembra a noi, sulle tracce che sin qui abbiamo provato sinteticamente ad esporre — è quella che a noi pare emergere, ora, nell’attuale, irrisolta, stanca e afasica scena politica, sociale e culturale del nostro paese, e che più di altre immagini riesce a restituircene la rappresentazione compiuta. Ma un conto è pensare la politica, altro è agire politicamente. Fermo restando che lo sguardo sul mondo attuale ci spinge a dire che siamo integralmente e “epimeteicamente” consegnati ad un destinale interdetto [5]. Forse, ci sarà data la possibilità ancora di corrispondere al volo della prossima Nottola di Minerva, ma solo dopo che la solita talpa avrà consumato un altro suo scavo. Ma questa è un’altra storia.


[1] G.A. Stella, S. Rizzo, La casta. Così i politici italiani sono diventati intoccabili, Rizzoli, Milano 2007.
[2] R. Hartmut, Accelerazione e alienazione. Per una teoria critica del tempo nella tarda modernità, Einaudi, Torino 2015.
[3] Né la “filosofia politica”, pur nella tendenza ossimorica che questa espressione/categoria si porta dietro. Su questo tema cfr. R. Esposito, Categorie dell’impolitico, il Mulino, Bologna 1988 e Id., Dieci pensieri sulla politica, il Mulino, Bologna 1993.
[4] Su tutti, vedi M. Cacciari, Il potere che frena. Saggio di teologia politica, Adelphi, Milano 2013.
[5] R. Bodei, La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel, il Mulino, Bologna 2014.


Alfred Otto Wolfgang Wols, Pittura, 1945-46



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