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Ricordare il futuro.
A proposito di Bloch e Benjamin

di Leonardo Tonini


8 maggio 2017

Mi è capitato fra le mani un libretto di Stefano Marchesoni dove si analizza il concetto di Eingedenken. [1] Il libro si presenta come una agile antologia di testi di Ernst Bloch e di Walter Benjamin (due del primo e dieci del secondo), corredata da una ventina di pagine di introduzione dello stesso curatore. L’idea è di costruire una genealogia dell’idea, nata dalla feconda prosa del giovane Bloch e passata a Benjamin che, secondo Marchesoni, ne ha fatto un concetto cardine del suo pensiero.

Della parola Eingedenken, finora malamente tradotta in italiano con “ricordo” o “rammemorazione”, viene innanzi tutto qui proposta una nuova traduzione. Fatto che il verbo gedenken vuol dire essere memori, ricordare, con l’aggiunta del prefisso Ein- viene reso con immemorare. Proposta che, invero, mi lascia un poco perplesso, perché se immemorare è parola inesistente nel dizionario, non lo è invece immemore ([…] stette la spoglia immemore…) che ha il significato di “privo di memoria”, “smemorato”, e che quindi potrebbe portare il verbo immemorare verso un significato del tipo: “togliere la memoria”, stante la transitività di verbi simili, come rammemorare. Quindi il tedesco Ein-, tradotto con in, non tiene conto del doppio significato che il prefisso prende nella nostra lingua, in come dentro, all’interno, e in come negazione (es. inconcludente).

Detto questo, viene ricordato che l’Eingedenken prende la definizione, specie in Benjamin, di irruzione nel presente di un’esigenza che viene dal passato e questo non nel senso di restaurazione di ciò che fu, ma in vista di una nuova e originale esperienza del presente. Il passato, in determinate occasioni, irromperebbe con le sue esigenze nel presente facendolo rivoluzionariamente saltare. Un passato che non avrebbe quindi esaurito le sue possibilità nel momento in cui si presentava, in cui accadeva. Un passato cioè che conterrebbe quello slancio messianico che i lettori di Benjamin ben conoscono.

È la ben nota teoria dell’angelus novus espressa nella nona delle tesi di filosofia della storia, un angelo trascinato verso il futuro a cui volge le spalle, tiene lo sguardo rivolto al passato che appare come “una sola catastrofe che accumula senza tregua rovine su rovine” [2] e mantiene però l’ansia di trattenersi e destare i morti per rendere loro giustizia. Benjamin, insomma, sente l’urgenza di trovare in un passato “che non sia completamente passato” [3] la chiave del futuro. E questa idea, e il ricordo dell’espressione usata da Bloch, gli arriva nel 1927, nel momento cioè della scoperta di Marcel Proust e della Recherche.

È proprio nel saggio su Proust del 1929 che Benjamin utilizza l’espressione “immemorare involontario” [ungewolltes Eingedenken] per tradurre mémoire involontaire dello scrittore francese. Si avrebbe quindi una sorta di “passato-madeleine” che improvviso irrompe nella vita del soggetto per scompaginare le carte. L’azzardo di Benjamin è di sostenere che ciò avvenga anche a livello sociale.

Il lettore di oggi rimane basito. Quello che a noi giunge del passato non è il passato, ma una narrazione del passato. Una narrazione che prende il taglio di chi la fa e si adatta al cervello di chi la riceve. Ma è un ombra. Lo storico sa bene che alla storia non occorre nulla per accadere. Qualsiasi processo storico è comprensibile sempre a posteriori e in forma parziale. Occorre conoscere i dispositivi, le tecniche, i discorsi e le ideologie che hanno portato a un determinato evento, per comprenderlo, ma non è che la riproduzione di queste premesse produca l’evento in sé.

Uno degli esempi fatti da Benjamin come da Bloch rivela la mistificazione insita nella credenza del passato che ritorna — o che avrebbe la capacità di essere immemorabile, per dirla alla Marchesoni. Parlo del caso Thomas Müntzer. Ancora oggi vengono spesso riportati come veri dei documenti che erano in possesso di Bloch nel 1921 e che a studi più recenti appaiono frutto di falsificazioni ottocentesche. [4] Ma c’è di più. Nel frattempo è cambiato lo stesso modo di recepire i fatti storici. Se gli anni ’70 potevano dirsi ispirati anche alla narrazione allora vigente della rivoluzione russa o a quella maoista, fatti più recenti come il movimento Occupy Wall Street nascono e agiscono privi di qualsivoglia riferimento storico. La storia è oggi una disciplina che ha molto meno peso sull’opinione pubblica che negli anni ’60 e ’70 o degli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, ha più audience se vogliamo (trasmissioni, festival, pubblicazioni) ma non viene più presa a modello.

Quindi, affermare che Benjamin miri a leggere il passato alla luce delle potenzialità che lo rendono in un certo qual modo non passato, è senz’altro vero, ma è oggi — contrariamente a quanto sostiene Marchesoni — una testimonianza di che genere di idee andassero di moda negli anni ’30 del secolo scorso. Le stesse che portarono il fascismo a credere di essere la reincarnazione dello spirito di Roma imperiale. Idee certamente volgarizzate dal regime in Italia e suggestive in Benjamin, ma simili, o almeno con una origine comune. L’idea cioè che il passato possa ritornare e non nel senso nicciano del problema (un ritorno dell’uguale), ma come suggestione che apre le porte a un presente (e quindi a un futuro) diverso da quello odierno avvertito come la marcia stanca dei processi storici in atto. Una rivoluzione, una ripresa di istanze non completamente passate in Benjamin e un ritorno ad antichi splendori in Mussolini. Dice Benjamin, nella sesta tesi: “In ogni epoca bisogna cercare di strappare la tradizione dal conformismo che è in procinto di sopraffarla.”

Il conformismo, era questo il nemico di ogni movimento rivoluzionario. Chi ha letto Sorel, sa di cosa sto parlando, così come chi conosce il futurismo italiano e tutte le avanguardie. La temperie culturale era quella, con la differenza che nel primo dopoguerra, gli anni Venti, vi era un desiderio di giustizia sociale che poi è stato soppiantato da un desiderio di ritorno all’ordine — ma sempre sostenuto dalla fede nella possibilità di costruire un uomo nuovo — poiché l’uomo, così come si presentava (conformista/borghese) difettava e impediva il normale sviluppo della Storia. E Benjamin cerca l’energia necessaria per vincere il conformismo della società borghese nella tradizione, in una presunta capacità messianica della stessa.


[1] S. Marchesoni, Ricordare il futuro. Bloch, Benjamin, Mimesis, Milano 2017.
[2] W. Benjamin, “Tesi di filosofia della storia”, in Angelus Novus, trad. di R. Solmi, Einaudi, Torino 1976.
[3] A pagina 18 dell’“Introduzione”.
[4] Si veda “Il caso Thomas Müntzer” in La storia lingua morta, di G. Politi, Unicopli, Milano 2011.


Walter Benjamin




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