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Il paradosso di Spaemann
di Marco Baldino

6 maggio 2012


Robert Spaemann, professore emerito di filosofia alla Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco, si è fatto latore di un interessante paradosso in due punti. Il primo è che Nietzsche sarebbe il filosofo della più radicale affermazione dell’esistenza di Dio. Non in termini di ’causa prima’, ma, per dirla con Francesca Brencio, come garante di quello spazio di verità entro cui il soggetto recupera la propria identità, al di là dell’autocoscienza momentanea con cui, alla luce dell’edonismo e del nichilismo divenuti sovrani dopo la “morte di Dio”, sembra condurre oggi la propria esistenza. Il Superuomo accantona ogni verità e ad esistere sarebbero solamente le interpretazioni. L’Übermensch non è che pura pura fantasia. Gli uomini della tarda modernità avrebbero dimostrato di non volere affatto il superuomo, bensì solo l’ultimo uomo, «quello che crede che la felicità sia divertimento, una vita piena di comodità, in cui si consumano le droghe».

Non mi sento troppo reattivo dinnanzi all’osservazione secondo cui l’uomo contemporaneo mostrerebbe di volere non l’Übermensch, l’oltreuomo, il superuomo, ma il letzte Mensch, cioè l’ultimo uomo, “quello che crede che la felicità sia puro divertimento, o una vita piena di comodità, in cui si consumano le droghe ecc. (Spaemann) e, per mantenrsi più da presso al testo nietzschiano, quello per cui la terra è diventata piccola, che rende tutto piccolo, quello che vive a lungo, che ha raggiunto la felicità, che ama il prossimo e vi si strofina per assorbirne il calore, che considera l’ammalarsi una specie di mancanza morale, che lavora perché il lavoro è un passatempo, che trova troppo molesto tanto il governare quanto l’obbedire, che è intelligente abbastanza per sapere tutto quello che è accaduto e che, alla fine, cerca una morte facile, addirittura piacevole (Zarathustra, «Prefazione di Z.», § 5). Forse la poststoria, o il transmoderno, non sono che il tempo dell’ultimo uomo e il tempo dell’ultimo uomo è, per l’appunto, quello in cui l’uomo non scaglia più la freccia del suo desiderio, in cui l’uomo non genera più stelle (Ibidem). Forse l’oltreuomo non è un destino per l’umanità (per la massa degli uomini) ma solo una possibilità per il singolo (III Inattuale). L’umanità ha invece come destino l’ultimo uomo; è il singolo che ha l’oltreuomo nelle sue possibilità. Ma si tratta, con assoluta certezza, di una possibilità remota. Oltreuomo e ultimo uomo sono allora banalmente contemporanei – è questo il punto. E poi direi che sono anche lo stesso uomo, ora visto nelle sua autentica possibilità, ora visto en masse, nella sua costituzione sociologica, collettiva, impersonale, massiva. La consapevolezza di avere l’oltreuomo come propria possibilità inclina l’ultimo uomo al tragico, ovvero alla dannazione; la mancanza di consapevolezza lo destina alla mera dispersione animale; chi sa raccogliere invece le proprie energie dinanzi al salto e compierlo, come la folgore, che in un istante attraversa il cielo da oriente a occidente, così brillerà, liberandosi in un quanto di luce: «La vita degli uomini - infatti - è come quella delle stelle: essenzialmente, non ha altro senso che questo sfavillio, è la sua gloria a costituirne il senso ultimo» (Georges Bataille).

Il secondo punto del paradosso riguarda la questione del “futuro anteriore”. Attraverso un rovesciamento che meriterebbe di essere certamente approfondito, Spaeamman arriva a concludere che in Nietzsche Dio sarebbe l’unico garante dell’esistenza dell’uomo perché Dio è il nesso che gli permette di pensarsi come futuro anteriore... Nietzsche sarebbe cioè il miglior teorizzatore del legame tra Dio, l’esistenza e la verità (cfr. La prova dell’esistenza di Dio? Viene da Nietzsche, “La Stampa”, 25 novembre 2011). Si osservi tuttavia che il futuro anteriore [sarò stato], per funzionare ha bisogno della relazione di simultaneità, in questo senso: se posso pensarmi come futuro anteriore devo necessariamente ammettere la presenza di quel che sono, fossi pure un insieme di stati soggettivi, a un attimo presente. Ma “sarò stato” significa che se dopo di ora ‘sarò stato’, è perché prima di allora ‘sono’. Intanto c’è almeno un pizzico di tautologia: la realtà, pensata come simultaneità a un attimo presente, poggia, oltre che sul pardigma temporale già criticato da Heidegger, sull’anticipazione del dopo [ = poiché sarò stato, ora sono] e questa, da parte sua, poggia sulla presenza all’attimo presente di quel ‘me’ che dico di essere [= sarò stato solo se ora, nell’attimo presente, che è il passato del futuro anteriore, sono] che è da intendersi come identico all’esser reale di quell’entità che appunto rinvengo d’essere, qualsiasi cosa ciò voglia poi dire. Nietzsche decostruisce, attraverso la nozione di futuro anteriore, la realtà del presente o la pretesa che la relatà sia il contenuto di una posizione nel tempo; il presente è cioè decostruito nel futuro anteriore: vi furono eternità in cui nulla esisteva [passato]; e quando tutto sarà nuovamente finito [futuro anteriore, sì, ma che può essere facilemente girato in un futuro semplice: quando tutto finirà], nulla [nel presente pensato a ritroso] sarà mai avvenuto [futuro anteriore] (cfr. Su verità e menzogna in senso extramorale). Tautologia a parte, e ammesso di averci azzeccato, rimane ancora il problemino di che cosa siano ‘attimo presente’, ‘attimo futuro’ e ‘attimo passato’ e se queste relazioni non siano puramente apparenti. Così a memoria, mi sento di dubitare che l’argomento del futuro anteriore proposto da Spaemann possa reggere dinanzi alle aporie segnalate da McTaggart (The Unreality of Time) nel 1908. A meno di non voler rinunciare al significato condiviso della parola “evento”, la dimostrazione mctaggartiana dell’irrealtà del tempo, per come lo intende Spaemann almeno, rimane valida. Né potremmo cambiare il senso di tale parola senza involgere alcuni assunti cristiani - che certo Spaemann non intende mettere in questione - come quello secondo cui incarnazione e resurrezione sarebbero, per l’appunto, contenuti di una posizione nel tempo, in difficoltà polverizzanti.



Robert Spaemannn

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