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Oltre l’Archeologia Biblica, verso una nuova idea di Neolitico
di Leonardo Tonini

14 dicembre 2016


Ho incontrato Massimo Izzo durante la sua conferenza su Gobekli Tepe al “Centro di Cultura Contemporanea Metzger”, di Torino, il 15 ottobre 2016. La scoperta di Gobekli Tepe, il cui scavo sistematico è iniziato solo nel 1995, ha ribaltato completamente la ricostruzione, fino ad allora ipotizzata, della sequenza evolutiva dell’umanità verso la socialità e la modernità. Trovando interessante il suo approccio, l’ho intervistato per la rivista Kasparhauser.


I. NELLA TUA CONFERENZA HAI ACCENNATO A RILEVANTI CAMBIAMENTI NEL SETTORE STORICO-ARCHEOLOGICO AVVENUTI A PARTIRE DAGLI ANNI NOVANTA, DI CHE CAMBIAMENTI SI TRATTA? NON PARLAVI SOLO DI NUOVE SCOPERTE, MA DI UN CAMBIAMENTO METODOLOGICO, COME È CAMBIATO LO SGUARDO DEGLI STUDIOSI RISPETTO A PRIMA?

R: Gli anni recenti hanno portato notevoli cambiamenti nelle analisi storiche per due motivi di base: un nuovo approccio metodologico rigoroso e scientifico all’esame dei dati storico-archeologici, come la New Archeology ad esempio, e le nuove tecniche d’indagine archeologica con l’uso di strumenti tecnologicamente avanzati.

Il primo aspetto, quello metodologico, ha fatto piazza pulita della tendenza degli studiosi del passato ad interpretare i dati storici secondo il loro background culturale personale. Notoriamente, per i periodi molto antichi di cui mi occupo, dal Neolitico all’Età del Ferro, sono sempre numerosi i "buchi" nei dati archeologici e testuali: il voler colmare tali vuoti con le proprie intuizioni personali al fine di restituire eleganti quadri unitari, ha spesso portato fuori strada le ricostruzioni storiche.

Non solo: a volte gli studiosi del passato sono stati portatori di agende personali rappresentative di interessi di gruppi ideologici e questo ha inquinato i quadri storici. Oggi questo è molto difficile che avvenga, anche se un settore come l’Archeologia Biblica ci dimostra che non è impossibile, ma fondamentalmente senza speranze di successo.

Attenersi a ciò che è strettamente deducibile dal dato è invece il moderno atteggiamento. Oggi si discute solo di quello che c’è e non di quello che potrebbe esserci ma di cui non ci sono indizi: un approccio molto diverso. Non necessariamente la derivante interpretazione sarà verità assoluta, ma è l’unica che è legittimo dedurre fino a nuovi dati. Questo diverso atteggiamento ha determinato reinterpretazioni importanti della storia antica.


II. FACCIAMO QUALCHE ESEMPIO, HAI ACCENNATO AGLI STUDI BIBLICI E ALLA RIFORMULAZIONE TOTALE DELLE CONDIZIONI E DEGLI EVENTI CHE HANNO PORTATO IL SAPIENS SAPIENS AD USCIRE DALLA PREISTORIA PER SVILUPPARE SISTEMI SOCIALI COMPLESSI. COSA INTENDI?

R: Gli esempi che citi sono sintomatici di ciò che ho affermato nella risposta precedente. La vulgata accademica che era riuscita ad imporsi in archeologia biblica negli anni ’60 e ’70, imposta da pochi prestigiosi nomi, aveva dato supporto ad una presunta realtà storica delle parti più antiche della Bibbia. Per capirci, dai primordi di Abramo, agli ebrei in Egitto, al grande regno di Israele unito e prosperante sotto Davide e Salomone, tutto era stato ritenuto storicamente attendibile. Negli anni ’60, un libro di divulgazione di un giornalista, dal titolo esemplificativo La Bibbia aveva ragione, era addirittura diventato un best seller.

La realtà dei fatti, usando oggettività e rigore nell’analisi del dato storico e archeologico, è che non è mai esistito nessun popolo di Israele in quei tempi così remoti, né sono mai esistiti grandi regni vicino-orientali salomonici. La verità è che la Bibbia è il prodotto delle genti di un piccolo e ininfluente regno montano della tarda età del ferro.

Prodotto che, come ci indica la biblistica e l’archeologia moderna, inizia ad essere organizzato e sviluppato solo dopo la distruzione del piccolo regno di Giuda nel quinto secolo a.C. E altrettanto notevole è che i maggiori passi biblici sono risultati essere copiature, spesso solo leggermente modificate, di testi mesopotamici e probabilmente anche egizi, incluso una buona parte dei codici comportamentali che costituiscono i dettami della religione ebraica.

Anche la stessa figura di Yahweh, che siamo portati a considerare come un parto specifico israelita, ha rivelato il suo volto dalle analisi archeologiche e dalle parti dove la Bibbia stessa tradisce la provenienza delle sue divinità: la sua origine è nel paganesimo vicino-orientale e in quell’ambito se ne trovano tutte le sue caratteristiche e perfino la sua paredra femminile. Anche l’idea del dio unico ha un suo sottofondo storico, la cui valenza politica e sociale emerge ormai piuttosto chiaramente.


III. COSA INTENDI PER STORIOGRAFIA INQUINATA DA AGENDE IDEOLOGICHE? PUOI FARE UN ESEMPIO?

R: Certamente. Proprio in archeologia biblica il fenomeno è stato evidente. Uno dei più noti archeologi americani degli anni 50-60, largamente responsabile delle parole La Bibbia aveva ragione, era il Reverendo e archeologo Albright, pastore evangelico metodista, la cui attività personale di evangelizzatore era ovviamente in conflitto d’interesse con la verità storica. Purtroppo, ottenendo ingenti sostegni e finanziamenti per scavi da enti religiosi e privati americani, la sua influenza fu tale da interrompere carriere di studiosi con analisi in contrasto con la sua. Ma per fortuna anche l’ambito religioso ha cambiato atteggiamento, almeno nella sua parte più illuminata, e rabbini docenti di università a stampo religioso ebraico come David S. Sperling, scrivono articoli sull’inesistenza storica degli ebrei in Egitto e relative tradizioni mosaiche.

C’è stata poi la motivazione politica, legata alla nascita dello Stato di Israele nel dopoguerra. Altre analisi faziose vengono infatti dal generale dell’esercito ed archeologo Yigael Yadin, che contemporaneamente ad Albright, che si occupava della storia abramitica, si occupava invece del grande regno unito di Giuda e Israele, interpretando i dati archeologici come conferma dell’esistenza storica dello stesso. Inutile dire quale rilevanza politica avrebbe la dimostrazione di un antico grande controllo territoriale che vada dalla Siria inclusa, ai confini desertici del Delta del Nilo, sotto egida israelita. Controllo e regno che non sono mai esistiti. Altro enorme conflitto d’interesse e contrasto con il laicismo religioso e politico che deve contraddistinguere il rigore della storiografia.


IV. COSA ESATTAMENTE È STATO SCOPERTO IN TURCHIA E PERCHÉ È COSÌ IMPORTANTE?

R: Tutta la ricostruzione del Neolitico orientale, il più antico neolitico sviluppato del mondo, ha subito una profonda revisione dagli anni ’90 in poi, largamente a causa di nuove scoperte archeologiche tra Palestina, Siria e Mesopotamia.

In anni più recenti è la Turchia sud-orientale che ha ulteriormente cambiato il quadro delle origini del Neolitico, rivelandosi come l’area in cui è iniziato il processo di neolitizzazione a partire da date che non erano nemmeno immaginabili fino a 15 anni fa, il X millennio a.C.

La scoperta precoce di un sito fondamentale della prima società di cacciatori-raccoglitori nomadi che manifesta comportamenti fortemente innovativi dal punto di vista dell’organizzazione sociale, Gobekli Tepe, ha scosso profondamente il quadro storico esistente, in tutti i sensi. Tuttavia non si può parlare di questo di sito senza dire che gli ultimi 10 anni hanno portato la scoperta, a ritmo quasi annuo, di un elevato numero di altri siti di questa civiltà, che per ora chiamiamo “la civiltà dei pilastri a T”. Di tutti questi siti, praticamente nessuno è stato ancora scavato, tranne Gobekli Tepe, i cui scavi sono iniziati nel 1995. Quindi stiamo parlando di storia in via di costruzione e sappiamo già che nei prossimi anni saranno disponibili un’infinità di maggiori dati a riguardo. Non meraviglia quindi che le analisi degli studiosi seri siano per ora molto caute e stringate per evitare fuorvianti anticipazioni.

Per accennare ai motivi dello stupore che ha colpito la comunità degli storici, possiamo dire che Gobekli Tepe è un sito monumentale, nel suo livello archeologico più antico, datato 9500 a.C., caratterizzato da un elevato numero di strutture in pietra di uso collettivo e cerimoniale, a forma ovale, fino a 30 metri di diametro. Queste strutture sono decorate da pilastri megalitici fino a 6 metri di altezza, perfettamente rifiniti e decorati da bassorilievi dal contenuto narrativo e da simboli in via di decifrazione.

Non c’è traccia di uso abitativo del sito stesso e nessun coevo sito abitativo è stato finora identificato: di conseguenza dobbiamo per ora ritenere che questo misterioso sito sia stato costruito da un elevato numero di persone che vivevano di vita nomade e non di villaggio, cioè tipici cacciatori-raccoglitori con impostazione sociale simile a quella del Paleolitico, il che è del tutto inaspettato.

L’evidenza di questo sito demolisce in un colpo la visione lineare che avevamo del Neolitico come periodo in cui sedentarizzazione, agricoltura e allevamento avevano contribuito a gettare le basi di espressioni più complesse come arte e rapporto cerimoniale col soprannaturale, elemento quest’ultimo che aleggia fortemente tra le pietre di Gobekli.

L’importanza di questa scoperta è quindi molteplice, ma tra i tanti motivi di stupore direi che l’indicazione di attività rituali, comunitarie, socializzanti e artistico-simboliche come motori primi per la sedentarizzazione e per l’invenzione del controllo delle fonti alimentari, sia l’aspetto più rivoluzionario. Si tratterebbe cioè del processo opposto a quello che abbiamo sempre ritenuto si fosse svolto.


V. DAL PUNTO DI VISTA DELLA PSICOLOGIA PRIMITIVA, DI COSA OGGI POSSIAMO AVERE CERTEZZA E COSA INVECE SI FERMA ALLA SUPPOSIZIONE?

R: È una bella ed interessante domanda. Quello che discende direttamente dalla scoperta di Gobekli, per confronto con ciò che è archeologicamente presente nei periodi precedenti, indica uno step di evoluzione psicologica molto marcato e concentrato nel tempo, che ottiene risultati duraturi che si consolideranno, anche se in altri luoghi, garantendo che non si tratta di un’occasionalità storica ma di uno step evolutivo verso l’“Homo socialis” della specie Sapiens Sapiens stessa.

Senza dubbio, l’istinto a creare cooperazione sociale su progetti comuni e la condivisione di pratiche in relazione alla morte, ai defunti e alle forze della natura, sono il soggetto di questa trasformazione psicologica.

Val la pena anche di menzionare un mistero che ci si è subito presentato agli occhi e che spiega anche perché un’intera civiltà antica ci era sfuggita allo sguardo fino a tempi recenti: questa civiltà scompare dalla storia intorno al 7500 a.C. e la trasmissione culturale più diretta dei suoi simboli si ritrova nel sito di Catal Huyuk, sempre in Turchia, che fino agli anni ‘80 era ritenuto invece il luogo della nascita del neolitico orientale.

Le ragioni di questa scomparsa potranno essere investigate solo quando anche gli altri siti della Civiltà dei pilastri a T saranno scavati, e questo potrebbe illustrare se sono intervenute reazioni psicologiche e sociali avverse a questa profonda rivoluzione culturale e cognitiva, come già il sito di Gobekli sembra indicare, con accenni di episodi di stampo violento.

In ogni caso concluderei facendo notare come in definitiva i cambiamenti osservabili a Gobekli sono la vera prima attestazione dell’uscita dallo stile di vita paleolitico e dell’ingresso nella civiltà moderna, intesa come istituzione comunitaria allargata. Gobekli è a cavallo di un prima e un dopo che cambierà per sempre il rapporto dell’uomo con la natura e con i suoi simili.


VI. COME INTENDI IL TUO LAVORO DI DIVULGATORE SCIENTIFICO?

R: Sono stati proprio argomenti come le scoperte del Neolitico Orientale e le rivoluzioni interpretative relative all’Archeologia Biblica che mi hanno spinto ad osservare che il grande pubblico era completamente ignaro di argomenti che invece potevano avere non solo interesse culturale ma anche rilevanza personale. Contemporaneamente mi accorgevo che in realtà anche presso gli studiosi di materie umanistiche e storiche queste novità rimanevano sconosciute e confinate agli specialisti.

Da ciò ho elaborato la mia formula personale di divulgatore: cercare di trovare un linguaggio ed una struttura comprensibile da chiunque, ma che non facesse sconti sulla qualità della provenienza del dato storico ed anche sul grado di dettaglio. La speranza è quella di dare una ferma introduzione sui concetti fondamentali a chi non può assorbire elevati gradi di dettaglio, come il grande pubblico, ma offrire lo stesso una discreta quantità di dati, utili a chi interessi approfondire di più ed a chi non è abituato a prendere informazioni per fede e che da queste informazioni può elaborare suoi contributi provenienti da campi diversi e collaterali alla storiografia.


VII. QUALI SONO LE DIFFICOLTÀ DI ACQUISIRE INFORMAZIONI DAL MONDO DELL’ACCADEMIA E A QUALI FINI ANDREBBE INCENTIVATA LA COMPRENSIBILITÀ DELL’ESPOSIZIONE DI QUESTI ARGOMENTI?

R: Credo che oggi rivesta un’importanza particolare che esista una divulgazione di livello scientifico, cosa che ci tengo ad evidenziare. Siamo in un’epoca di specializzazione spinta e il compito istituzionale di storici e archeologi accademici è quello di fare, nei testi e nelle conferenze, presentazioni asciutte e molto concentrate sul dato, rivolgendosi in modo specifico ai colleghi e dando per scontate le loro conoscenze di base e dei contesti storici generali. E’ quindi naturale che i lavori di più alto livello siano poco maneggiabili, e spesso poco disponibili, non solo al grande pubblico ma anche agli studiosi di discipline collaterali che potrebbero dare interessanti contributi, se solo conoscessero l’esistenza di certi argomenti.

Ad esempio, ricollegandomi alla tua domanda precedente, proprio Gobekli Tepe ha visto un primo tentativo di interpretazione in termini di psicologia del profondo, in una pubblicazione specialistica, da parte dell’analista junghiano svizzero Theodor Abt : contributi di questo tipo sarebbero preziosi e non possono venire che dall’esterno del mondo della storiografia. Altro esempio, il lavoro del Max Planck Institute sull’identificazione genetica della provenienza di grano e farro moderni proprio dal nucleo turco di questa civiltà, tramite analisi del DNA. [1]

L’analisi di un sito fondamentale come Gobekli avrebbe bisogno di tanti altri specialisti, ma se il materiale e la storia del sito non vengono presentati in termini comprensibili, nel loro contesto storico piu generale e con l’evidenziazione dei dettagli scientificamente più importanti, ritengo sia difficile che si possa sviluppare l’interdisciplinarità più ampia possibile.

Stesso discorso relativamente alla (ir-)realtà storica degli eventi biblici: quanti conoscono i testi biblici in dettaglio e sono in grado di apprezzare degli indicatori archeologici di cui non conoscono la rilevanza? Ecco, il mestiere del divulgatore di livello scientifico lo interpreto così: ritenere il lettore in grado di capire qualsiasi dato e considerazione, purché non venga lasciato affogare nel dato stesso e purché si compensi la sua limitata conoscenza dei contesti esponendoglieli con un’opera che dagli sguardi più ampi e comprensivi stringa progressivamente l’obiettivo su dettagli sempre più specifici, lasciando la libertà di fermarsi al grado di dettaglio scelto senza perdere la comprensione generale del fenomeno.


[1] Haun et al., “Site of Einkorn Wheat Domestication Identified by DNA Fingerprinting”, Science, vol. 278, 1997.


BIBLIOGRAFIA MINIMA

M. Liverani, Oltre la Bibbia, Laterza, Roma-Bari 2003.
Th. Romer, L’Invention de Dieu, Seuil, Paris 2014.
K. Schmidt, Costruirono i primi templi, trad. di U. Tecchiati, Oltre Edizioni, Sestri Levante 2011.
I. Finkelstein, N.A. Silbermann, Le tracce di Mosè, trad. di D. Bertucci, Carocci, Roma 2001


Massimo Izzo è egittologo, archeologo orientalista e ingegnere. Nato a Napoli nel 1961, opera con i suoi corsi e conferenze su tutto il territorio italiano ed in particolare tra le Marche e l’Emilia Romagna. In qualità di ingegnere ed egittologo ha fatto parte della missione archeologica dell’Università di Pisa in Egitto a Dra abu El-Naga, tomba tebana TT14, presso Luxor, sotto la direzione della Prof.ssa Marilina Betrò. Dall’anno accademico 2005/2006 inizia l’insegnamento come docente di Storia e Archeologia Orientale presso l’Università dell’Età Libera di Pesaro ed altre istituzioni devolute alla divulgazione. Gli ambiti di ricerca e di insegnamento spaziano dall’egittologia all’archeologia del vicino oriente antico, inclusa l’archeologia biblica, e con una specializzazione temporale dal neolitico all’età del ferro. Attualmente impegnato nella redazione di libri di divulgazione scientifica, in particolare sull’archeologica biblica ed il neolitico vicino-orientale. Sito web: http://corsi-egittologia-orientalistica.blogspot.it/



Gobekli Tepe, Turchia, 9500 a.C., Pilastro decorato, Struttura D, Pil.18, calcare, altezza 5,5 mt. (Copyright DAINST.org)


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