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Il tonfo pandemico dell’Italian Theory
Eccezione, dono e immunologia

di Marco Baldino

1 giugno 2020




Parlo di Italian Theory perché nel libro di Dario Gentili, Italian Teheory. Dall’operaismo alla biopolitica, Esposito e Agamben, di cui ci occupiamo qui, coprono la voce «Biopolitica» [1].

L’articolo «L’invenzione di un’epidemia», di Giorgio Agamben, comparso il 26 febbraio 2020 sul sito della casa editrice Quodlibet [2], è un buon esempio di come sia possibile elaborare teorie filosofiche eleganti, che al lato pratico, quando cioè si tratta di interpretare fenomeni reali, si squagliano come neve al sole. La rigogliosa prosa di Agamben, che trae anche i migliori a elogi non sempre giustificati, si infrange contro l’epidemia di covid-19. Agamben assume come veri alcuni dati: che solo il 10-15% possa sviluppare una polmonite letale dimostrerebbe, a suo dire, la natura interessata delle politiche poste in atto dai governi e, in articolare, dal governo italiano, e confermerebbe la sua teoria dello stato d’eccezione: l’epidemia non c’è, è un’invenzione (dello stato? dei politici? dei poteri forti? del capitale?) il cui vero scopo è quello di fungere da pretesto per ampliare oltre ogni limite divieti, interdizioni, sospensioni, militarizzazione, ecc. ecc.

Jean-Luc Nancy, ex amico di Agamben (l’espressione è di Nancy), risponde criticando questa tesi [3], ma soprattutto aggiunge qualcosa che è sfuggito sia ad Agamben sia a Roberto Esposito, autore di un terzo articolo, critico nei confronti di Nancy [4], nel quale Esposito dice una cosa un po’ sgradevole: Nancy, ex amico di Esposito (l’espressione è sua), sarebbe prigioniero di una distonia fatale nei confronti di Foucault, avrebbe cioè letto troppo Derrida e così sarebbe pervenuto, suo malgrado, a un ingiustificato rifiuto del paradigma della biopolitica [5], il cui senso è che quando il potere si appropria della vita biologica, il che sarebbe avvenuto grosso modo nel corso del XIX secolo, le misura sanitaria diventa il paradigma del potere (Foucault). Esposito, però — è giusto notarlo — respinge la tesi che sia la sovranità a produrre la “nuda vita”, che è invece la posizione di Agamben, e sostiene, all’opposto, che è la vita a produrre la sovranità. Personalmente, ritengo che il concetto di sovranità sia obsoleto e andrebbe abbandonato, ma di ciò altrove. Ciò che Nancy ha messo in luce è però che il paradigma dello stato d’eccezione, che Agamben recupera da Carl Schmitt, non si applica al caso in questione e non vi si applica perché la civiltà, il suo paradigma, è mutato, la popolazione è composta per lo più di anziani e ciò che emerge con una certa virulenza è semmai un certo risentimento generazionale dei giovani nei confronti degli anziani: niente stato d’eccezione.

Ora, come già detto, Agamben assume alcuni dati percentuali a base del suo discorso, ripeto: solo il 10-15% ha bisogno di ricovero e solo il 4-5% ha necessità di una terapia intensiva (la realtà della pandemia ha purtroppo disintegrato questo argomento). Numeri che non richiederebbero, a suo dire, le misure di sicurezza messe in atto dai governi. Per Agamben il contagio non esiste, è solo uno stratagemma in più, uno stratagemma biopolitico per riaffermare lo stato d’eccezione, cioè per estendere le politiche securitarie, e quindi per ridurre ulteriormente gli spazi di libertà per meglio assoggettare gli individui al potere sovrano. Secondo Agamben lo stato d’eccezione non sarebbe tanto un “eccezione” ma la regola, nel senso che il “sovrano” è sempre al di sopra e al di là del diritto e quindi tale da esercitare costantemente un potere arbitrario nel senso di Schmitt.

Che roba è questa? Io sapevo che per Foucault la biopolitica non incarna affatto il potere sovrano, cioè il potere di vita e di morte, ma reintroduce semmai, nella nuova universalità politica prodotta dalla Rivoluzione francese, la funzione omicidiale grazie alla mediazione della biologia (biopolitica), nel senso che per salvare o “difendere la società”, il potere lascia morire o mette a morte l’elemento malato, biologicamente infettante, che ammorba il corpo sociale. Questa prassi è chiamata da Foucault «razzismo di stato». [6]

Ora veniamo alla cronaca. Il premier inglese Boris Johnson, il 13 marzo 2020, si è lasciato sfuggire le seguenti dichiarazioni: nella maggior parte dei casi si avranno solo sintomi lievi. Occorrerà tuttavia raggiungere il 60-80% dei contagi per sviluppare l’immunità di gregge. Noi non dobbiamo fare assolutamente nulla. La teoria di Boris Johnson, elaborata dagli esperti del suo staff, implica però che per raggiungere l’autoimmunizzazione della popolazione, tenuto persino conto delle ricadute, si dovrebbe accettare la morte di centinaia di migliaia di persone, si parla di 4-500.000 morti nel Regno Unito e, visto che Trump è un altro sostenitore di questa teoria, di oltre 2.000.000 negli Stati Uniti [6]. «Bisognerà veder morire molti nostri cari», dice Johnson candidamente. Ora, la sua dichiarazione, il premier inglese (qui e là condivisa da altri leader politici, Lukashenko per esempio, e Trump), se l’è rimangiata, per tutta una serie di motivi, tra i quali il fatto che lui stesso si è ammalato e ha rischiato seriamente di morire. Dal canto suo Trump sostiene che 100.000 morti sarebbero una perdita tutto sommato accettabile. Queste non sono dichiarazioni biopolitiche nel senso di Foucault. Sarebbe ridicolo pensare che l’elemento malato e infettante sia l’anziano. Si tratta semmai di ciò che Nancy adombra: gli anziani si mangiano parte del PIL senza lavorare, ristagnano sui posti di lavoro cui i giovani aspirano, votano senza pathos del futuro e se Covid-19 si porta via qualche pensionato non è in fondo un gran male — i social ridondano di queste idiozie. Lasciar morire i vecchi, portatori della spesa sanitaria, per consentire ai giovani, schiacciati sotto il peso dalla spesa previdenziale, di rinascere dalle ceneri della pandemia, è il senso di quella “grande scrematura” di cui ha parlato Giuliano Ferrara, a cui rendiamo merito.

La biopolitica nel senso di Foucault è piuttosto l’allungamento della speranza di vita: voi giovani diventerete vecchi! Il problema è che il messaggio: “vivrete a lungo, potrete invecchiare”, implica una contraddizione palese: perché i giovani possano invecchiare è infatti necessario che i vecchi muoiano. La biopolitica, strano paradosso, ha fatto degli esseri umani degli immortali nel senso del peso economico sul bilancio degli enti di previdenza; ha consentito ai giovani nati negli anni ’40 e ’50 del XX secolo di invecchiare. Cosicché ora il nemico è quel giovane di ieri che la biopolitica ha costituito come immortale previdenziale. La biopolitica, potremmo dire, ha fatto un gran lavoro, ha fatto miracoli. Ebbene, una conseguenza della pandemia è che lo stato d’emergenza (emergenza e eccezione non sono sinonimi), con le sue quarantene, con i suoi divieti, procede a securizzare i giovani mostrando che i vecchi non sono immortali, sono anzi sacrificabili. Basti pensare al fenomeno delle RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali). Ma tutto questo non ha nulla a che vedere con la sovranità, né nel senso di Foucault (potere di vita e di morte), né nel senso di Schmitt (decisione dello stato d’eccezione), bensì con una sorta di risentimento generazionale.

Roberto Esposito, nella sua trilogia (Communitas, Immunnitas, Bios) [7] contempla il caso dei contagi e la necessità che gli stati provvedano a una biopolitica che operi in difesa della vita, all’immunità, all’immunizzazone. Secondo Esposito sussiste tuttavia un rischio di rivolgimento delle pratiche di immunizzazione contro gli stessi individui, tale cioè da renderli sostanzialmente soggetti al potere sovrano. Ancora la sovranità. E questo a causa di un oscuro meccanismo che egli pone, con un compiaciuto gusto retro, alla base delle società umane. Un nucleo arcaico, un’oscura dialettica tra una comunità del dono (chi non ricorda la tesi di Baudrillard che alla sfida simbolica contenuta nel dono, alla fine non si può rispondere che con la morte?) e una sovranità demonica che solo apparentemente salva, mentre in verità trascina le sprovvedute masse nella rete del grande Satana: il potere sovrano. Una sorta di Anticristo alla Livio Fanzaga.

Ora, se in alcuni paesi come gli Stati Uniti, l’Olanda, l’Ungheria, la Bielorussia, la biopolitica insiste sulla prassi dell’immunità di gregge, ovvero della sacrificabilità degli anziani, in altri paesi, come l’Italia, la Spagna, la Francia e, caso assai notevole, la Cina, vengono messe in atto politiche irriducibili all’idea di potere sovrano perché hanno come linea guida quel “far vivere tutti” che immunizza senza assoggettare o, comunque, senza assoggettare troppo (a Foucault, tel que je l’imagine, piacerebbe senz’altro questa formula) e che rimane estranea all’applicazione della funzione omicidiale.

Fatemi mettere un po’ d’ordine: Agamben sostiene che la biopolitica, nel senso di Foucault, cioè nel senso che sarebbe lei stessa a costituire il corpo sociale come un corpo biopolitico, non è che una strategia per meglio assoggettare le masse al potere sovrano. Il potere sovrano è inteso però alla maniera di Schmitt, cioè come un potere arbitrario che si esercita per un certo periodo di tempo, per esempio in caso di guerra — si tratta cioè di un’eccezione. La grande innovazione di Agamben consiste nel ritenere che lo stato d’eccezione si sia oggi imposto come la norma [8]. Esposito trae invece da Foucault il concetto di potere sovrano, potere di vita e di morte, e ritiene che non sia la sovranità a produrre la nuda vita, ma, al contrario, la vita, insieme ad altri dispositivi immunitari, a determinare storicamente la sovranità — il che gli conferisce quanto meno uno punto di realismo. Tuttavia la biopolitica, ovvero l’insieme delle pratiche immunitarie, sarebbe anche per Esposito una strategia con cui il potere sovrano tende ad assoggettare le masse.

In Italia chi decide dello stato d’eccezione è il parlamento, che supporta, nel solco della Costituzione, e quindi dello stato di diritto, l’azione di governo. Lo stato d’eccezione qui non conferisce poteri arbitrari, ma sviluppa procedure volte a “salvare tutti”, senza distinzione di religione, razza, lingua, opinioni politiche. Ci sono delle disfunzioni, certo, ma sono disfunzioni, non strutture del potere. Arbitro non è un capo a cui vengono attribuiti pieni poteri, come in Ungheria, ma la Costituzione. Ed è per questo che in Italia la decretazione è lenta, perché l’Italia è uno stato di diritto. C’è una burocrazia, certo, che possiamo persino odiare, ma che procede sulla base della legge. E proprio perché è uno stato di diritto l’Italia confuta la tesi agambeniana dello stato d’eccezione: l’emergenza non crea eccezione alla sovranità della Legge. Anzi, con questa opzione mostra che la nuda vita emerge come presupposto. Il che, se vale il principio hegeliano della verifica storica, confuta quell’altra tesi agambeniana che sia la sovranità a produrre la nuda vita (per assoggettarla). Quanto ad Esposito, possiamo osservare che è l’“emergenza”, cioè la pandemia, a rivelare l’anteriorità della nuda vita rispetto alle pratiche di immunizzazione. E che pensare che tali pratiche possano mirare a trarre surrettiziamente in soggezione gli anziani, sarebbe strettamente ridicolo. Quanto all’idea di un arcaico rapporto fra dono e dannazione (vedi sopra: “il grande Satana”) come fondamento della comunità, credo si possa osservare che si tratta di un gioco ermeneutico che riporta in vita interessanti tesi etnografiche, alle quali ha dato una certa valenza politica Jean Baudrillard tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, quando risultava chiaro a tutti che la koinè marxista si stava decomponendo, e che accanto alle tesi della seduzione quale succedaneo postmoderno della rivoluzione, sono state spazzate via dai successivi quarant’anni di storia e di storia delle idee.

Dunque, né dono né plusvalore, né seduzione né rivoluzione. Qualcos’altro. Che cosa? Nessuna messa a morte e nessun assoggettamento aggiuntivo: salvare tutti, persino in Cina — affermazione che richiede qualche precauzione, comunque sia. Alla sovranità, che era la forma del potere nell’età classica, cioè nei secoli XV-XVIII (Naissance de la biopolitique), oggi assistiamo piuttosto a una diffusione di authorities, che hanno il loro principio non in ciò che sta sopra, ma in ciò che sta sotto. L’Autorità, a differenza della Sovranità, non può sussistere senza riconoscimento “dal basso”. Inoltre ha senso l’obiezione di Nancy: la civiltà va ripensata sulla base dei rapporti generazionali. E in secondo luogo, va pensato il nuovo peso che vi assumono le generazioni anziane.

NOTE

[1]. D. Gentili, Italian Theory. Dall’operaismo alla biopolitica, Il Mulino, Bologna 2012.
[2]. G. Agamben, «L’invenzione di un’epidemia», Quodlibet, 26 febbraio 2020.
[3]. R. Esposito, «Curarasi a oltranza», Antinomie, 28 febbraio 2020.
[4]. J.-L. Nancy, «Eccezione virale», Antinomie, 27 febbraio 2020.
[5]. A. Guerrera, «Coronavirus, Boris Johnson shock: “Moriranno molti nostri cari”. Londra punta a 60% di contagi per sviluppare “immunità di gregge”», La Repubblica, 14 marzo 2020.
[6]. Di norma gli studiosi rimandano, come prima apparizione del termine “biopolitica”, alla breve enunciazione formulata da Foucault nel volume La volonté de savoir (Gallimard, 1976). In quello stesso anno Foucault tenne un corso al Collège de France dal titolo piuttosto anodino: «Il faut defendre la société?», ma il cui tema era la discussione della nascita della biopolitica dallo spirito dei Lumi. Credo che bisognerebbe tenere presente questo corso, anzitutto e prima de La volonté de savoir. Nel corso del 1979, Naissance de la biopolitique, Foucault non parlò di biopolitica, ma di governamentalità neoliberale.
[7]. R. Esposito, Communitas. Origine e destino della comunità, Einaudi, Torino 1998; Immunitas. Protezione e negazione della vita, Einaudi, Torino 2002; Bíos. Biopolitica e filosofia, Einaudi, Torino 2004.
[8]. G. Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 1995; Mezzi senza fine. Note sulla politica, Bollati Boringhieri, Torino 1996; Stato di eccezione, Bollati Boringhieri, Torino 2003.

Dino Buzzati


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