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Merleau-Ponty di fronte a Husserl e Heidegger.
Illusioni e ribilanciamenti*
di Emmanuel de Saint Aubert

(Traduzione di Elisa Lucarelli)

10 aprile 2020



I.
RILEGGERE MERLEAU-PONTY

È vero che per molti di noi è difficile riconoscere ciò che dobbiamo a Merleau-Ponty: la nostra interpretazione di Husserl e di Sartre, ma anche di Heidegger e di Derrida furono influenzate da lui. È altrettanto vero che per molti di noi, e per la comunità filosofica nel suo complesso, il ricordo di “ciò che ha detto e desiderato” è sbiadito troppo in fretta. Il miglior omaggio che la nostra generazione possa rendere a questo pensatore che ha marcato in modo così decisivo il nostro debutto nello studio della filosofia è dunque quello di rileggere i suoi scritti. Un’impresa di questo genere non avrà come solo esito una migliore comprensione di Merleau-Ponty - cosa che comunque gli dobbiamo - ma metterà in evidenza tutto ciò che la fenomenologia, anche nei suoi esiti più recenti, ha ricevuto e tuttora riceve da lui.
(Rudolf Bernet) [1]


A) Consuetudini e tranelli di una ricezione tradizionale

È consuetudine, in Francia, presentare Merleau-Ponty come un filosofo completamente impregnato dell’opera di Husserl e Heidegger, che delinea il suo percorso a partire dai due grandi pilastri della fenomenologia. Ormai non si contano più i “Merleau-Ponty tra Husserl e Heidegger” o i “Merleau-Ponty al di là di Husserl e Heidegger” poco, ormai, ci si stupisce dinanzi al ritratto del fascino esercitato dal Nachlaß husserliano, né davanti all’idea che Le visible et l’invisible sarebbe il frutto di una lunga frequentazione del secondo Heidegger.
Le ragioni che stanno alla base di queste opinioni comuni e diffuse — la cui coerenza interna costituisce già di per sé un problema — sono numerose e le meno consistenti dal punto di vista filosofico non sono necessariamente le meno determinanti. Merleau-Ponty è annoverato tra i fenomenologi; già questo contribuisce e chiarificare la situazione (l’equivoco interpretativo); ma soprattutto, trovandoci difronte ad un pensiero di poco successivo ad Husserl e contemporaneo ad Heidegger, si è tentati di leggere Leib là dove Merleau-Ponty parla di chair, rendendo progressivamente tale concetto uno dei punti cadine del suo pensiero; e di intendere la virata ontologica e i constanti riferimenti all’Être degli ultimi scritti un calco del Sein, se non del Seyn heideggeriano.
Alcuni dei suoi testi hanno iniziato non pochi studenti alla fenomenologia, ed è questo debito, solo parzialmente riconosciuto ma dal peso incalcolabile, che ha determinato le sfumature inconsapevolmente merleau-pontiane di una parte della recezione francese di Husserl e Heidegger. Numerosi sono gli studiosi che hanno fatto dei rilievi circa il rigore e la correttezza di tali sfumature, ma il loro scrupolo filologico verteva, giustamente, sull’interpretazione data di Husserl o di Heidegger, mettendo in evidenza gli errori di volta in volta commessi da Merleau-Ponty; come se quest’ultimo fosse innanzitutto un discepolo o un erede che si prefiggesse il compito di commentare e tramandare un pensiero.
Vi è, senza dubbio, in tutto ciò una logica universitaria che ha una sua ragion d’essere. Si può supporre, in questa situazione dai toni molto più conflittuali che internazionali, un certo complesso francese in rapporto al prestigio del pensiero tedesco, filtrato da un velo di vergogna, se non di disprezzo, di fronte ad una tradizione e ad uno stile tipicamente francese. Merleau-Ponty, che non ha mai avuto queste debolezze, aveva già da solo messo in luce la portata del suo debito, in tutte le sue sfaccettature, nei confronti della tradizione dell’esistenzialismo francese rappresentata da Léon Brunschvicg, dell’esperienza dell’esistenzialismo di Gabriel Marcel prima e di quello sartriano-beauvoiriano poi, tacendo i riferimenti a Bergson, o a Pascal e Maine de Biran. Questi riferimenti furono però troppo pochi e ben mascherati dai procedimenti di scrittura attraverso cui Merleau-Ponty ci ha ingannato o, più, probabilmente, ha ingannato se stesso.
Merleau-Ponty è un filosofo, non un professore di filosofia. Ciò non intende essere il banale richiamo presente nelle prime righe di ogni articolo enciclopedico a lui dedicato; quest’espressione vuole, al contrario, sottneare che egli ha cercato di sviluppare un pensiero autonomo e che, almeno a tratti, vi è riuscito. Egli si è certamente dedicato con un eccesso di eleganza, talvolta con un’ironia così sottile da sembrare venata da una nociva prudenza, alla dialettica che consiste affermare il suo pensiero nello spiraglio tra la definizione e la critica di quello altrui.
Quando Merleau-Ponty si oppone ad un determinato filosofo, i rifacimenti dei manoscritti tendono speso a celare l’identità dell’avversario dietro termini piuttosto generali (empirismo, realismo, intellettualismo, idealismo). Merleau-Ponty maschera, si maschera, e attribuisce volentieri ad altri ciò che è frutto del suo pensiero, affermando di seguirlo secondo la direttrice delle proprie intuizioni. Si riscontra questo meccanismo nel suo rapporto con Husserl e Heidegger, ma anche con Machiavelli, Montaigne, Bergson, e tanti altri. fino a Sartre, talvolta presentato sotto le vesti più inattese.
È «l’impostura professionale del filosofo» [2], ««il filosofo e la sua ombra», l’ombra di Merleau-Ponty, che raggiungerà il massimo grado di proiezione nel settembre del 1951, in una conferenza volta a tirare le somme dei contributi più rilevanti nel panorama filosofico degli ultimi cinquant’anni [3]. In questa sede Merleau-Ponty attribuisce a mezzo secolo di ricerche di tutti i filosofi ciò che è effettivamente il suo personale contributo filosofico: il concetto di chair, prontamente spiegato non alla luce della fenomenologia, né della filosofia stessa, bensì mediante la psicoanalisi e la letteratura. Quello stesso concetto di cui Merleau-Ponty dirà, qualche mese prima di morire, che esso «non ha nome in nessun’altra filosofia» [4].


B) Inediti sorprendenti

La morte improvvisa del filosofo ha contribuito a determinare alcune deformazioni nella ricezione del suo pensiero. La conoscenza degli inediti è stata condizionata da una scelta editoriale che ha portato, nel 1964, alla pubblicazione di un insieme di manoscritti isolati dal loro naturale contesto, i quattro capitoli de Le visible et l’invisible e una parte delle note di lavoro [5] (diverse migliaia di foglietti, compresi tra il 1945 e il 1961). Quando nel 1992 gran parte degli inediti sono divenuti consultabili (cioè trentuno anni dopo la morte del filosofo) la prima iniziativa intrapresa è stata la pubblicazione di un corso su Husserl e Heidegger, a discapito di altri corsi o manoscritti molto più originali che sono stati dimenticati nei fascicoli d’archivio.
Questa situazione editoriale sta volgendo verso un assai più felice esito grazie alle recenti e prossime pubblicazioni che permettono di individuare più chiaramente la continuità interna e le linee di forza che attraversano il pensiero di Merleau-Ponty. Coloro che si prendono il tempo e la cura di immergersi, per degli anni, nell’universo dei documenti inediti e nella biblioteca dell’autore, scoprono poco a poco un filosofo al lavoro, ricostruiscono una vera e propria mappatura delle influenze, filosofiche e non, ma anche dei poli oppositivi, che lo hanno sostenuto. Va d’altra parte detto che questo approccio genetico mancava in Merleau-Ponty, la cui opera suscita un interesse tanto grande un po’ ovunque nel mondo.
È impossibile, nel contesto di un breve articolo, dar conto del panorama completo dei numerosi riassestamenti dovuti alle recenti ricerche e ancora meno ripercorrerne il meccanismo dimostravo e rigoroso. Privilegeremo dunque qualche aspetto significativo e i percorsi che hanno permesso di destabilizzare le rappresentazioni comuni. Sia ben chiaro che nessuno potrebbe sostenere che Husserl e Heidegger siano autori secondari in Merleau-Ponty: ribilanciamento non significa rovesciamento, tanto più se si pensa che Merleau-Ponty non è mai stato condizionato dalle gerarchizzazioni retrospettive, e un po’ accademiche, in autori maggiori e minori.
L’esame dei materiali della vita intellettuale di Merleau-Ponty conduce ad una serie di costanti superamenti. Così, tra gli oltre 4000 fogli che costituiscono il patrimonio degli inediti depositati alla Bibliothèque Nationale de France, non se ne trovano che 4 dedicati a note di lettura relativi ad Husserl (datati al 1960) e 25 relativi ad Heidegger (appunti probabilmente risalenti all’inizio del 1961, cioè appena qualche mese prima delle morte). Tuttavia Merleau-Ponty aveva l’abitudine di prendere appunti, spesso piuttosto ricchi: 120 pagine sono dedicate ad un solo libro di Rudolf Arnheim, alcune decine ad un testo di Piaget, altrettante ad una lettura di Metzger, volendosi limitare volontariamente a qualche esempio scelto dal cosiddetto periodo “ontologico”, cioè quello compreso tra il 1957 e il 1961. La sera del 3 maggio 1961 Merleau-Ponty scomparve lasciando sulla sua scrivania i lavori in corsi: lo studio su Descartes e sui suoi commentatori prendono, per così dire, tutto lo spazio: il solo volume di note di lettura relativo a Descartes ammontava a circa 150 pagine.

I ricercatori che hanno lavorato sul fondo inedito prima dei numerosi danni causati dal trasferimento in microfilm, che cioè hanno potuto avvalersi della classificazione originaria del materiale, hanno individuato un vasto progetto Être e monde, legato a quello de Le visible et l’invisible. Être e monde, titolo tanto ambizioso quanto Sein und Zeit, L’Être et le neant, Être et avoire, L’Être et l’essence: ecco il grande lavoro ontologico di Merlea-Ponty che includeva manoscritti fondamentali quali L’introduction à l’ontologie e La Nature ou le monde du silence. Descartes e Sartre, ma anche la Gestalttheorie o Piaget, trovano in esso una collocazione ben più rilevante di quella riservata alla speculazione Heideggeriana, tratteggiata in pochi accenni.
Se si passa poi dai documenti relativi al periodo compreso tra 1957 al 1961 allo studio dei testi e degli inediti del periodo compreso tra il 1933 e il 1957, si comprende progressivamente quanto il quadro delineato per il periodo più tardo sia effettivamente rappresentativo di tutto il lavoro filosofico di Merleau-Ponty. Un lavoro sostenuto da due scenari critici essenziali — quello anti-cartesiano e quello anti-sartriano — e da un’attenzione costante accordata ad alcuni ambiti non-filosofici, in primo luogo la psicologia della forma, la neurologia, la psicoanalisi e la psicologia dello sviluppo, senza mai trascurare l’arte e la letteratura. Questa attenzione è, d’altra parte, considerata fondamentale per la costruzione di un’ontologia moderna, come nota Merleau-Ponty criticando l’attitudine di Heidegger rispetto alle scienze e alle psicologie contemporanee.


II.
LA CHAIR DEL’UOMO

A) Un radicamento pre-husserliano.

La direttrice del pensiero merleau-pontiano è guidata da un capo all’altro dalla critica del cartesianesimo, ben presto complicata dal suo rapporto non meno conflittuale rispetto a Sartre. Il punto di partenza della sua speculazione nasce da una riflessione circa la questione dell’unione dell’anima e del corpo, e, passando attraverso una serrata critica del dualismo antropologico, sposta il baricentro dell’analisi dalla questione dell’incarnazione a quella della chair. L’esigenza di chiarificazione che sta alla base del dualismo paradossalmente rende incomprensibile l’unità dell’essere umano e non riesce a riflettere la radicalità delle sue relazioni con il mondo e con l’altro. Si tratta dunque di affrontare filosoficamente quest’unità e queste relazioni, malgrado tutte le difficoltà presenti nel pensare insieme la nostra coesione individuale, i nostri rapporti con gli altri e i nostri radicamenti ontologici. Merleau-Ponty lo fa instaurando un costante confronto con Descartes, assumendo il «tremblement vite surmonté» [6] che sarebbe stato il suo difronte alla «confusione» della chair: la mescolanza dell’anima e del corpo, che si esprime in sentimenti confusi — fenomeni di fronte a cui l’intelletto stesso è confuso — è dunque estraneo alle competenze della filosofia. È questa mescolanza strutturata su tre livelli — quest’incomprensibile che noi siamo, lo sconfinamento del mondo estesiologico e libidinale, e il pensiero né chiaro né distinto di questo mistero ontologico e le sue strane fenomenizzazioni — che costituisce il nucleo dello scenario cartesiano di Merleau-Ponty [7]. Tale scenario fondamentale deve molto al clima di contestazione degli anni Trenta. Lo studio di questo periodo permette di scoprire i prodromi di una filosofia della carne nell’opposizione feroce del giovane filosofo all’idealismo di Léon Brunschvicg, sotto la germinale influenza di Gabriel Marcel e Max Scheler. Innanzitutto Merleau-Ponty accusa la tradizione cartesiana e kantiana di aver liquidato alcune domande filosofiche fondamentali, che riguardano proprio l’unione dell’anima e del corpo piuttosto che le relazioni dell’uomo con ciò che è altro al sé: la vita percettiva, la sfera sessuale, l’ambito dei sentimenti, l’attitudine religiosa o ancora l’arte.

Grazie a Gabriel Marcel, Merleau-Ponty forgia le prime armi contro l’ontologia cartesiana dell’oggetto. La problematica marcelliana dell’incarnazione lo spinge a riabilitare l’ontologia dell’esperienza sensibile e a riaffermare la sua collocazione — io sono il mio corpo — ponendo così le basi per una futura filosofia della carne. La controparte epistemologica di questa stessa problematica, la nozione di mistero, gli offre il piacere della trasgressione sistematica dell’opposizione proiettiva tra esterno ed interno e lo spinge così verso il pensiero della profondità e una scrittura dello sconfinamento. Grazie a Max Scheler, egli individua nella tradizione idealista ciò che ha generato il vuoto antropologico contemporaneo, che non sa più riconoscere nell’amore o nell’odio degli atti orientati, ma solo degli affetti, degli stati di piacere o dispiace, considerati come chiusi e privati del loro senso, mancando così una dimensione fondamentale del desiderio, la sua natura intenzionale.
È proprio leggendo Scheler, ben prima di leggere Husserl, che il giovane filosofo francese ha il suo primo contatto con la fenomenologia. La nozione di intenzionalità, di cui Merleau-Ponty coglie l’importanza grazie all’approccio scheleriano dell’intenzionalità affettiva, è un elemento cardine della sua nascente filosofia. La Phénoménologie de la perception si frastaglia in tanti tentavi originali e incompiuti, che negli anni successivi tenderanno a dissolversi in favore di una descrizione dei legami effettivi a cui dà forma, e i quali formano la carne. Questa ricerca raggiunge il suo apice con la figura del chiasma, ispirato alle analisi di Paul Valéry sull’amore. Ispirato dal «tremblement» di un Valéry liberato dall’intellettualismo, Merleau-Ponty tenta ancora una volta di raccogliere la sfida delle confusioni cartesiane, contro un’ontologia cartesiana dell’oggetto, estesa ormai anche al pensiero di Leibniz. Il chiasma del desiderio — ultima metamorfosi di questa filosofia del legame — è esplicitamente rivolto contro l’idea di armonia prestabilita e mira a riuscire laddove Leibniz ha fallito: nel descrivere l’unità individuale e relazionale dell’essere umano.


B) L’infrastruttura esistenzialista della concezione della chair

Fragile unità, mai prestabilita né garantita, sempre minacciata dallo sconfinamento della violenza e del non-senso. E se Merleau-Ponty è estremamente lontano da ogni forma di umanesimo esplicativo come da ogni teologia positiva — di cui la filosofia di Leibniz sarebbe un esempio — egli lo deve in parte all’influsso determinante della complessa vague dell’esistenzialismo francese a cui ha dato il suo contributo in prima persona (sarebbe più corretto parlare di esistenzialismi francesi) [8].
Il fulcro di questa dimensione trasversale del suo pensiero va collocato negli anni 1945-49, periodo ancora poco conosciuto di cui restano numerosi documenti inediti, sfortunatamente non depositati alla Bibliotèque Nationale de France. In questa fase ricca di transizioni, e quasi totalmente priva di riferimenti ad Husserl e Heidegger, Merleau-Ponty si accinge a definire due concetti chiave del suo pensiero: la chair e l’empiétement [9].

Gli inediti indagano queste nuove nozioni in rapporto ad una serrata critica della morale kantiana e nel clima appassionato dell’esistenzialismo beauvoiriano e sartriano. A dispetto dell’apparente complicità tra Merleau-Ponty e questi, egli va preparando una critica radicale: le origini della carne, lontane da ogni ascendenza husserliana, sono orientate verso un segreto sabotaggio del L’Être et le Néant. Merleau-Ponty utilizza tutte le sfumature semantiche presenti nella lingua francese del termine chair per operare una riscrittura sviante, fino ad attuare un rovesciamento delle analisi sartriane della carne e del desiderio.
Qui come altrove, chair non è affatto la traduzione di Leib [10]. Merleau-Ponty non pensa automaticamente chair quando legge o scrive Leib, e, per converso, non pensa né obbligatoriamente né unicamente Leib quando scrive chair. Egli non si è mai preoccupato di operare una distinzione esplicita tra chair e Leib, come se, per lui, il problema di un eventuale confusione terminologica non si potesse porre: non perché egli avesse radicalmente separato le due nozioni — questo sarebbe assurdo — ma perché non ha mai considerato la chair come un concetto preso in prestito, poiché egli non la definisce solamente a partire da Husserl, né in relazione ad un orizzonte puramente husserliano. La lettura di Husserl nutre un cammino personale che ha le sue origini altrove e che segue un proprio percorso.
Gli anni 1945-49 segnano, anche per Merleau-Ponty, l’ora del bilancio morale e politico riguardo la guerra e l’Occupazione, ma è anche il momento di un bilancio più personale sulla sua giovinezza. Questa rivalutazione della storia e di se stesso determina la scoperta della modernità, ben presto condensata nella figura dell’empiétement [11]. L’uomo moderno incompleto e mostruoso, il mondo moderno come avversità, il pensiero ossessionato dal non-senso: la frattura generalizzata dell’empiétement ha definitivamente rovesciato le certezze dell’età classica.
I sogni di purezza che colmano l’uomo, raggiungendo anche gli ambiti della filosofia e della politica, non sarebbero altro che un ripetuto rifiuto della violenza e dell’ambiguità inscritte nella nostra istituzione carnale; questa violenza di secondo grado impedirebbe alla nostra negatività di portare il suo frutto: la coesistenza. Non vi è né libertà né amore senza l’empiétement dell’uno sull’altro; ma questo non sancisce affatto il loro fallimento, al contrario, esso sarebbe la condizione della loro possibile riuscita. Da qui la singolare alleanza tra pessimismo ed ottimismo che caratterizza la versione Merleau-Pontiana dell’esistenzialismo.

L’empiétement et la chair costruiscono una filosofia i cui presupposti umanistici danno ben presto vita ad un’ontologia [12]. Oltre all’empiétement carnale — «le sang des autres&», motivo ricorrente negli anni 1945-49 — Merleau-Ponty comincia a tematizzare un empiétement epistemologico, che egli riveste ben presto di un significato ontologico. In una sorprendente anticipazione del L’Oeil et l’Esprit, alcuni inediti datati 1948-49 prefigurano, in particolare attraverso la descrizione surrealista del sang de choses, la critica finale rivolta all’ontologia cartesiana dell’oggetto.
Le cose sono ferite dalla nostra apertura percettiva e desiderante, anche «les objets saignent», detto in altri termini resistono allo statuto cartesiano e piagettiano dell’oggetto. Anche qui si nasconde una falsa prossimità con Sartre, in un insieme di interventi in cui queste idee si profilano nel segno di una riscrittura rovesciata di qualche testo preciso di quest’ultimo. Con una significativa complicità con le “psicoanalisi” bachelardiane, Merleau-Ponty comincia a manipolare i propri éléments ontologici, agli antipodi dell’immaginario sartriano.
Contro la psicoanalisi esistenziale della fine de L’Être et le Neant, contro l’uomo mollusco che si fa pietra de L’homme et le choses, contro L’Imaginaire e il suo dualismo reale/immaginario, egli volge il suo pensiero verso una descrizione de la texture imaginare du réel, che andrà a costituire uno degli orizzonti al contempo più significativi e più originali della sua ontologia. Husserl e Heidegger sono assenti da questa fase di gestazione dell’ontologia merleau-pontiana, come lo saranno dal suo frutto più tardivo e maturo, opera che «dice tutto purché la si sappia decifrare» [13], testamento ontologico involontario di Merleau-Ponty.


III.
LA CHAIR DELL’ESSERE

Secondo un’opinione ancora condivisa da alcuni, l’ontologia degli ultimi manoscritti dipenderebbe largamente da un influsso diretto di Heidegger [14], presentando un netto arretramento rispetto all’ambito antropologico e psicologico. Non è affatto vero. Quest’ontologia non si fonda affatto su una conversione tardiva, che vedrebbe l’abbandono del primato della percezione, la trasposizione di un pensiero del corpo fenomenale in un pensiero della carne svicolato dalla questione dell’uomo. Essa non è la ritrascrizione ontologica di una psicologia e di una fenomenologia, dopo uno spostamento definitivo presieduto dall’ombra di Heidegger.
Merleau-Ponty rivendica costantemente lo statuto ontologico della sua riflessione dal 1946, in risposta alle obiezioni fatte a Phénoménologie de la Perception. Sin dalla sua pubblicazione, quest’opera ha sollevato delle critiche di fondo che consistevano nel rimproverare alle sue analisi di restare fenomenologiche, cioè psicologiche, senza arrivare a scalfire la questione dell’essere. L’autore risponde affermando che non egli non fa differenza tra fenomenologia e ontologia, che per lui filosofia e psicologia sono strettamente legate e che la sua intenzione è sempre stata quella di guadagnare, attraverso la percezione, una via d’accesso all’essere.
Lungi dall’insinuare una frattura, queste obiezioni spingono Merleau-Ponty a radicalizzare il suo pensiero e a formulare meglio l’originalità del suo progetto: quello di un’ontologia indiretta che continui ad elaborare una filosofia concreta la quale miri ad oltrepassare i nostri impenitenti dualismi, accordando una costante attenzione ai fatti primitivi, quelle esperienze che coinvolgono le relazioni del corpo alla vita totale. Nel suo stesso progredire il paesaggio critico dell’autore si completa: individuando nei sui detrattori un profilo cartesiano, egli scopre anche ciò che aprirà un ulteriore scenario, meno elaborato del precedente ma altrettanto severo. Uno scenario anti-heideggeriano che è inequivocabile e che, anche se non spicca per la sua precisione ermeneutica, essendo talvolta ingiusto e sbrigativo, dovrebbe spingerci a riconsiderare l’idea che ci si è potuti fare degli ultimi scritti [15].


A) Quale influenza di Heidegger?

Un esame attento dell’opera pubblicata, degli inediti e della biblioteca mostra che Merleau-Ponty aveva letto poco dell’opera di Heidegger, prima di avvicinarvisi a partire dal 1958, dunque tardi e con una certa fretta, quando ormai il suo pensiero aveva già raggiunto la piena maturità. Questo, d’altra parte, non gli ha mai impedito di arrischiarsi regolarmente in giudizi generali, che riflettevano di volta in volta attitudini stereotipate: (a) sia che abbia un giudizio complessivamente favorevole ma vago, il quale lasci trasparire una conoscenza superficiale di Heidegger; (b) sia che egli lo critichi brutalmente, in qualche affermazione senza dubbio perentoria che però è rivelatrice dell’economia del suo pensiero; © sia che egli rediga, senza una vera e propria analisi critica, una sintesi del pensiero di Heidegger; (d) sia che egli mantenga un rapporto tangente e silenzioso, condividendo con il filosofo tedesco una prossimità stilistica soprattutto sul piano metaforico.
Tutte queste attitudini prevalgono e si succedono tra loro: (a) in Phénoménologie de la perception, (b) negli anni tra il 1954 e il 1958, (c) durante il corso su Heidegger, (d) negli anni tra il 1959 e il 1961. In ciascuno di questi atteggiamenti il rapporto è o troppo intenso o troppo debole perché si possa parlare di un vero e proprio confronto filosofico. Merleau-Ponty in molteplici contesti ha assunto una posizione esplicitamente anti-heideggeriana, tanto da assumere la forma di un progetto. Nella preparazione de La prose du monde (1951) viene già menzionato [16]; l’opposizione è sobriamente accennata due anni più tardi proprio nella prima lezione al Collège de France [17] e sviluppata in modo più approfondito nei corsi del 1956 e 1958.
Tuttavia, la verve critica di questi testi dipende più da un dibattito franco-francese (soprattutto con Beaufret) che da una conoscenza di prima mano dell’opera di Heidegger. Al termine del suo secondo corso sulla Natura (gennaio-giugno 1958), Merleau-Ponty apprende di aver ottenuto una riduzione dell’orario di insegnamento per l’anno universitario seguente così da potersi dedicare ad una spinosa problematica: definire lo statuto della sua ontologia. Il frutto di questo lavoro sarà il volume Être et monde dell’autunno seguente contenente il manoscritto Introduction à l’ontologie; per presentare questo testo, egli sente la necessità di collocarlo nel panorama contemporaneo, che include inevitabilmente Heidegger.

Era giunto il momento in cui risultava necessario leggere più scrupolosamente quest’autore. Gli ultimi due trimestri del 1958 costituiscono, dopo molto tempo, il periodo più lungo che Merleau-Ponty dedica a questa lettura [18]. Tale tempo è però limitato e condiviso con altre letture, la scrittura di Être et monde (nell’autunno), la pubblicazione dell’importante testo Le philosophe et son ombre e la preparazione del corso dedicato a La philosophie aujourd’hui di cui i due terzi non riguardano affatto Heidegger. Nonostante il fatto che questa lettura sia quantitativamente consistente, si colloca in un lasso di tempo di qualche mese, periodo per altro già saturato da una nuova fase espressiva.
Merleau-Ponty non ha né il tempo materiale né la concentrazione per impegnarsi in un vero confronto. I testi della sua biblioteca presentano segni di lettura, ma praticamente nessuna annotazione: le poche note presenti, brevi e più tarde, consistono prevalentemente in passaggi copiati in tedesco senza alcun commento personale, questo non corrisponde affatto alla prassi di studio di Merleau-Ponty. Le lezioni dedicate ad Heidegger nella primavera del 1959 (le sole che abbiano mai avuto come soggetto questo autore) sono tenute in contemporanea al fervido lavoro che vedeva impegnato il filosofo per la stesura dei primi capitoli de Le visible et l’invisible e per la pubblicazione dell’importante testo Bergson se fasaint. Anche se di qualità, questo corso lascia perplessi se si considera la differenza di trattamento rispetto ai corsi dedicati ad altri autori [19].
Nonostante un evidente cambio di tono, i manoscritti successivi al 1958 continuano ad arricchire lo scenario aperto contro Heidegger. Merleau-Ponty non ha avuto il tempo di portarne a termine l’elaborazione ed è senza dubbio consapevole dei limiti della sua posizione critica. Il filosofo francese sembra non trovare appigli in un pensiero al contempo così prossimo al proprio per quanto concerne lo stile di certe descrizioni, ma così lontano per quanto riguarda l’ontologia “di alta quota”, la distanza dal sensibile, dalla carne e dalla dialettica.

Da qui si origina lo strano rapporto che alterna condanne complessive, sintesi che limano qualunque asperità, e una condivisione di metafore, senza però redigere mai un vero e proprio commento. Merleau-Ponty comincia a leggere Heidegger quando la sua ontologia è ben definita a partire da orizzonti propri, in un momento in cui egli è più in fase espressiva che recettiva. Questo però non gli impedisce di essere attento allo stile dell’altro, ma, proprio al contrario, si abbandona alle risonanze che quest’ultimo risveglia in lui inspirandolo nel suo lavoro di scrittura. Così facendo questa osmosi verbale si prolunga in un’osmosi di senso, ma il fenomeno resta locale, imbrigliato in un progetto complessivo di tutt’altra natura, e, qualora fosse arbitrariamente isolato, può facilmente essere frainteso.
In nessun momento Merleau-Ponty ha riconosciuto la prossimità tra la sua metaforica e quella di Heidegger, nemmeno in passaggi eclatanti, né tanto meno un’analogia tra le due strutture che offre talvolta l’illusione di una vicinanza tra i due immaginari. È necessario dare una collocazione a questa analogia, senza doversi per principio riferire a Heidegger: se ci si dedicasse a cercare la fonte di ogni figura utilizzata da Merleau-Ponty e a seguirne l’evoluzione — cosa che renderebbe necessario lo studio complessivo di tutti gli inediti che si collocano tra la Phénoménologie de la Perception e Le visible et l’invisible — ci si ritroverebbe immancabilmente al di qua di ogni riferimento ad Husserl e ad Heidegger, e ad altre letture, filosofiche e non.
Senza alcuno stupore, senza rilevare alcuna novità, Merleau-Ponty incrocia presso Heidegger questo analogo che egli coltiva, per sua parte, in una fenomenologia del visibile e dell’invisibile già matura. Ciò lo spinge a ritenere alcuni aspetti della scrittura heideggeriana come metafore del suo pensiero, correndo il rischio di condurre il lettore a considerare la sua scrittura come una glossa del pensiero di Heidegger. Anche quando questo artificio si rivela fecondo per gettare luce sulla filosofia di quest’ultimo, rimane non meno equivoco rispetto al pensiero di Merleau-Ponty, poiché riattiva a ritroso il suo rapporto con la scrittura heideggeriana. Questo ci dispensa con poca fatica dal ricercare la genesi e la consistenza di queste metafore presso Merleau-Ponty stesso, nella cronologia dei suoi testi e nell’economia del suo pensiero.


B) Ontologia e non-filosofia.

L’ontologia incompleta di Merleau-Ponty vive all’orizzonte di una serie di indagini che si intersecano: ontologia indiretta, ontologia della fatticità, ontologia della Natura, psicoanalisi ontologica, endo-ontologia, ontologia della nascita, per riprendere qualche espressione scelta dal filosofo. Anch’essa si dirige verso il riconoscimento di una forma di co-appartenenza dell’uomo e dell’essere — ma sempre in rapporto a campi della non-filosofia, contrariamente a ciò che avviene in Heidegger — e attraverso la ricerca dell’abilitazione ontologica del corpo fenomenale nel concetto di chair, la quale resiste alla comprensione intellettualistica che talvolta se ne ha, quella di una carne privata di ogni sensibilità per l’aspirazione di situarla nell’empireo di un purismo ontologico.
Sostenuta da un capo all’altro da suoi scenari fondanti, quello (anti) cartesiano e sartriano (che si sostengono reciprocamente e convergono negli ultimi scritti), l’ontologia carnale merleau-pontiana descrive la nascita e la negatività comuni all’uomo e al mondo, a me e all’altro, con un’attenzione considerevole alla vita percettiva e alla vita desiderante, progressivamente sempre più legate.
Comprendere la portata ontologica che Merleau-Ponty conferisce alla chair richiede principalmente di ricostruire il suo lungo dialogo con le ricerche d’ispirazione neurologica sullo schema corporeo — che continuerà fino alla fine a giocare un ruolo determinante per la maturazione del concetto di chair — e di prendere in esame il suo rapporto, piuttosto libero, con la psicologia dell’infanzia e la psicanalisi. Merleau-Ponty orienta l’antropologia psicanalitica verso una considerazione sempre più radicale dell’intercorporeità e verso un gage» lacaniano.

Al contempo le conclusioni finali della sua fenomenologia della percezione, nutrite da un rinnovato interesse per la Gestalttheorie, conducono ad una riscrittura critica del concetto di donazione “in carne ed ossa” husserliano, e, più ancora, ad un ultimo confronto con la concezione sartriana dei rapporti tra reale e immaginario. In opposizione al lungo dominio dell’immaginario dell’estensione proiettiva cartesiana, partes extra partes, che sottintende un’ontologia costruita in vista di una purificazione di ogni legame carnale, la filosofia della carne richiede una base immaginaria, le sue proprie strutture spaziali. Non una nuova mathesis, ma una struttura rinnovata che coniughi la spazialità fluida del vivente, la logica di un’immagine del corpo in perenne ristrutturazione, che vive nella e dell’intercorporeità a partire dalle profondità inconsce della nostra apertura al mondo.
Così Merleau-Ponty infine ritrova nelle strutture della topologia matematica ciò che il suo lavoro fenomenologico ricercava da molti anni: il tesoro delle figure della carne, che sono anche, e soprattutto, sia le figure di ciò che anima la carne — il desiderio — sia quelle che la carne esprime, l’essere. Egli può allora affermare ancor più nettamente ciò che nella prassi faceva già: dispiegare un’ontologia a partire dalla topologia della chair [20].

Questa topologia, compresa nell’accezione bourbakista attraverso i lavori di Piaget su la strutturazione dello spazio nel bambino, non ha alcuna relazione con la topologia di Zur Seinfrage [21]. Essa è, al contrario, l’esempio perfetto dello stretto legame che Merleau-Ponty ha sempre voluto intessere tra ontologia e non-filosofia. I tre anni di corsi consacrati al concetto di Natura (1957,1958 e 1960) illustrano perfettamente questa congiunzione, in tal senso altrettanto importante è il corso del 1953 Le monde sensible et le monde de l’expression, situato a metà percorso tra la Pénoménologie de la perception e Le visible et l’invisible.
Questo corso-cerniera, preparato durante il primo anno al Collège de France, è imprescindibile per la maturazione del percorso propriamente fenomenologico di Merleau-Ponty; nonostante questo, Husserl viene semplicemente nominato qua e là, e Heidegger è relegato in una lunga nota al margine di una pagina, oggetto di una critica tanto violenta quanto sbrigativa. Per converso il corso è ricolmo di riferimenti precisi, ed è accompagnato da una bibliografia di ricerca impressionante (da cui Husserl e Heidegger sono assenti). La prossima pubblicazione di questo corso contribuirà a restituire un quadro più preciso di quale sia stato il lavoro del filosofo, di quale fosse il suo panorama di frequentazioni tra gli autori francesi, inglesi e tedeschi, e metterà in luce come spesso i filosofi cedano il passo a neurologi, psicologi della forma, psicoanalisti, critici d’arte.
Attualmente lo stato della ricerca necessaria a conferire all’interpretazione di Merleau-Ponty un grado di scientificità pari a quello che è riservato agli altri filosofi è piuttosto avanzato: esso non consiste solamente nel dedicare una maggior attenzione al testo e al suo contesto e in un’analisi dettagliata degli inediti (comunque necessaria, dato che si tratta di un filosofo morto prematuramente e che stava preparando da 14 anni la sua opera più importante). Si tratta anche di riconsiderare alcuni aspetti fondamentali, dando in particolare il giusto peso all’atmosfera intellettuale francese, dal momento che ci troviamo difronte ad un uomo molto coinvolto nel dibattito del suo tempo [22].

Da qui nasce la necessità di rileggere quest’autore a partire dalle sue referenze culturali (e non dalle nostre): indagare la sua biblioteca, individuare le sue letture, avvalersi delle sue note per riconoscere l’importanza di ciascuna di esse, senza irrigidirci per principio nelle gerarchie retrospettive tra autori maggiori e minori, tra filosofi e non-filosofi. Trattandosi appunto di letture ed influenze, se il ribilanciamento verte principalmente su autori francesi, deve però aprirsi anche numerose fonti tedesche, ma anche ad autori inglesi, strani parenti poveri dei complessi studi su Merleau-Ponty, i quali dominano molti corsi importanti tenuti al Collège de France.
La ricostruzione dell’effettivo contesto di Merleau-Ponty trasforma spesso, molto spesso, il rapporto con Husserl e Heidegger in una relazione indiretta, anche laddove il confronto sembra più immediato e fecondo, fino a toccare alcuni passaggi de Le philosophe et son ombre o del corso su Heidegger del 1959, incomprensibili senza aver presente nel dettaglio il conflitto con Sartre. La stessa cosa vale per le iniziali critiche ad Heidegger, che sono non sono riferite tanto al filosofo in questione, quanto alla rilettura che ne fa Beaufret; la medesima logica riguarda le critiche radicali e tarde rivolte ad Husserl: queste non concernono in alcun modo il testo husserliano, sono piuttosto risposte alle obiezioni che Aron Gurwitsch rivolgeva a Merleau-Ponty [23].
È sorprendente, per quanto riguarda il famoso “toccante-toccato” — dove l’ascendenza husserliana di Merleau-Ponty sembra raggiungere l’apice — esaminarne la genesi e constatare la torsione impressale, anche in questo caso, non in rapporto ad Husserl ma al trattamento del binomio vedente-visto e del tema dello specchio in Wallon, Lacan, Schilder e Metzger (il tutto, una volta di più, orientato contro Descartes e contro Sartre). Il percipiente-percepito non è in Merleau-Ponty il naturale esito della generalizzazione del toccante-toccato husserliano — che a malapena affiora dalle analisi di Phénoménologie de la perception [24] — è piuttosto riletto e ritematizzato a partire da un vedente-visto [25] di stampo più psicologico e psicoanalitico che fenomenologico.

Al di là dei fatti, della storia e dell’erudizione, è verso un’interpretazione più fine del senso intrinsecamente merleau-pontiano della fenomenologia e dell’ontologia che questi necessari ribilanciamenti finiranno per sfociare. E allora il figliol prodigo di Husserl e Heidegger si rivelerà essere né figlio né tanto meno prodigo. Siamo difronte ad una fenomenologia che si basa su una critica radicale della coscienza [26], su una concezione dell’intenzionalità corporea a partire dalla quale la nozione stessa di intenzionalità finisce per dissolversi, su una ricezione della psicologia dello sviluppo e della psicanalisi la cui convergenza con la fenomenologia viene riaffermata come evidente e fondamentale, su una riscrittura del fenomeno della donazione “in carne ed ossa” le cui dinamiche portanti sono il desiderio e l’immaginario e che rifiuta vigorosamente lo schema del riempimento [27].
Siamo difronte ad un’ontologia che non è ossessionata dal denunciare la metafisica e tornare ai greci, ma dall’opporsi alla psicanalisi esistenziale di Sartre e ad un’ontologia del oggetto che troverebbe il suo perfetto compimento in Leibniz, un’ontologia che si ispira in modo del tutto inatteso al progetto bachelardiano di una psicanalisi degli elementi o a quello del surrealismo di Breton, che intende intrecciare le proprie direttrici ontologiche con una letteratura marcatamente francese (Proust, Valéry, Claudel, Claude Simon.), che ritiene di poter accogliere dalla scienza contemporanea alcune tra le sue più importanti virtualità ontologiche (penetrando fin nella fisica moderna e nella topologia matematica), che finisce per riconoscere alla Gestalttheorie un posto più centrale che mai, e che certamente sfocia in una forma di differenza ontologica, intrattenendo con Heidegger un’analogia che non è più che formale.
Nessuno ignora che Merleau-Ponty sia sempre stato fondamentalmente restio verso ogni sistema filosofico, ma è sorprendente osservare retrospettivamente realizzata, in una scrittura concettuale astratta se non sistematica, una filosofia che rivendichi «le refus méthodique des explications» [28] e aspiri, non senza malizia, a «tenir pour vrai» [29] un «bon scepticisme» [30] sulla traccia di Montaigne e Pascal [31].
Attraverso questa fenomenologia e la sua apertura ontologica, sono, in effetti, la concezione e la prassi della filosofia di Merleau-Ponty che meritano di essere rivalutate nella loro originalità e nella loro potenza critica, comprendendo a qual punto i percorsi del suo pensiero siano informati da una convergenza tra il punto di vista della Gestalt e quello della psicanalisi, e quanto la sua scrittura si discosti volontariamente dalla pratica classica del concetto per ricercare un altro percorso verso l’universale. Uno sguardo e uno stile che tentano di rispondere alle esigenze proprie di una filosofia della chair, alle strutture tipiche di un’intelligenza della chair «notion dernière, pensable par elle-même» [32], che la filosofia non sarebbe mai giunta a tematizzare, come se questa fosse originariamente condannata ad un’ignoranza attiva che rinvia sempre la chair a qualcosa d’altro da sé.

NOTE

[*] Merleau-Ponty face à Husserl et Heidegger: illusions et rééquilibrages, in Revue Germanique Internationale, n. 13 Phénoménologie allemande, phénoménologie française, sous la direction de Jean-Claude Monod, 2011, pp. 59-73. Per gentile concessione dell’autore.

[1] R. Bernet, Perception et vie naturelle (Husserl et Merleau-Ponty), in La vie du sujet. Recherches sur l’interprétation de Husserl dans la phénoménologie, PUF, Paris 1994, pp. 163-164.
[2] M. Merleau-Ponty, Le philosophe et son ombre, in Signes, Gallimard, Paris 1960, p. 227.
[3] M. Merleau-Ponty, L’homme et l’adversité (conferenza del 10 settembre 1951); ripreso in Signes, op. cit., pp. 284-308.
[4] M. Merleau-Ponty, Le visible et l’invisible, Gallimard, Paris 1964, p. 193.
[5] Noi dobbiamo molto al prezioso lavoro di trascrizione e pubblicazione di Claud Lefort (a cui si dovrebbe aggiungere, tra gli altri, i manoscritti de La prose du monde): senza di lui la nostra conoscenza di Merleau-Ponty non sarebbe avanzata di molto, ed è stato logico cominciare dalla pubblicazione dai documenti sufficientemente completi o giudicati più interessanti; ma si tratta appunto di un inizio.
[6] L’oeil et l’esprit, Gallimard, Paris 1964, p. 56.
[7] E. de Saint Aubert, Le scénario cartésien. Recherches sur la formation et la cohérence de l’intention philosophique de Merleau-Ponty, Vrin, Paris 2005.
[8] Lo stesso Merleau-Ponty insisterà su questo punto nel 1959. Cfr. M. Merleau-Ponty, La philosophie de l’existence, in Dialogue, vol. V, n° 3, 1966, pp. 307-322; ripreso in Parcours deux 1951-1961, Verdier, Lagrasse 2000, pp. 247-266.
[9] Per uno studio dettagliato di questo periodo, cfr. E. de Saint Aubert, Du lien des êtres aux éléments de l’être, Vrin, Paris 2004.
[10] Merleau-Ponty non utilizzerà mai questi due termini in modo interscambiabile. Nei suoi corsi su Husserl come altrove, Merleau-Ponty traduce raramente Leib, e mai con chair. Al contrario, su più di 500 occorrenze di « chair » nel corpus, nei corsi consacrati ad Husserl la parola è presente solo tre volte, ed è impiegata nell’espressione en chair et os, traduzione standard per Leibhaftigkeit. Per un’analisi dettagliata dei rapporti tra chair e Leib in Merleau-Ponty, cfr. E. de Saint Aubert, Du lien des êtres aux éléments de l’être, op. cit., pp. 148-158.
[11] Si pensava inizialmente che questa figura tipicamente merleu-pontiana provenisse, a partire dagli anni 1950-1951, da una traduzione dell’uso husserliano dei verbi überschreiten e übergreifen (segnatamente nella famosa trasgression intentionelle, intentionale Übergreifen, della quinta Meditazione cartesiana). Un’analisi più approfondita ci ha spianti a risalire indietro nel tempo e indica tutt’altra fonte e anche una problematica molto più originale.
[12] E. de Saint Aubert, Du lien des êtres aux éléments de l’être, op. cit., sezione B.
[13] J-P Sartre, Merleau-Ponty vivant, Les Temps Modernes, anno XVII, n° spéciale 184-185, ottobre 1961, p. 372.
[14] Questa interpretazione non è affatto priva di fondamento, nonostante sia stata contestata, già da molto tempo, da Jean-Paul Sartre, Claude Lefort, Mikel Dufrenne e Marc Richir.
[15] Per uno studio più ampio di tutti questi differenti aspetti, cfr. E. de Saint Aubert, Vers une ontologie indirecte. Sources et enjeux critiques de l’appel à l’ontologie chez Merleau-Ponty, Vrin, Paris 2006.
[16] Inedito, B.N., vol. III, f. [204].
[17] M. Merleau-Ponty, Le monde sensible et le monde de l’expression (gennaio-maggio 1953), corso inedito, B.N., vol. X, f. [18] (I2).
[18] Per un inventario dettagliato dei testi di Heidegger letti da Merleau-Ponty e la cronologia di queste letture, cfr. E. de Saint Aubert, Vers une ontologie indirecte, op. cit., cap. 3.
[19] Esso presenta un’inusuale proporzione tra il vasto numero di citazioni e la quasi totale assenza di commento. In un brogliaccio complessivamente ben strutturato, Merleau-Ponty espone in maniera suggestiva l’evoluzione del pensiero di Heidegger, con l’abilità pedagogica che gli è propria. Solo raramente ci sono dei passaggi che risvegliano la vecchia attitudine del confronto globale e intuitivo, dei corto-circuiti che lo riconducono al suo pensiero senza che però si instauri un vero e proprio dialogo. Merleau-Ponty crea l’illusione di padroneggiare questo pensiero, di essere d’accordo su tutto per poi discostarsene con un solo gesto, come tutto fosse evidente e non gli ponesse alcun problema, come se Heidegger fosse in un universo parallelo, cioè senza un vero punto di contatto e a un’impalpabile distanza. Questa trasparenza, questa assenza di corpo a corpo, non sono nello stile di un filosofo che, come qualunque altro, non comprende che dibattendo ciò che comprende, comprende in modo proporzionale al suo investimento critico. Le sole prese di posizioni presentate dagli ultimi inediti, contemporanei o posteriori alla sua lettura di Heidegger, mostrano, in realtà, la prosecuzione dello scenario critico elaborato contro quest’ultimo, in particolare nel manoscritto Itroduction à l’ontologie in cui non usa la stessa prudenza usata al Collège de France.
[20] Cf. nostro articolo Sources et sens de la topologie chez Merleau-Ponty, in Alter, n° 9, 2001, pp. 331-364.
[21] Frankfurt, Klostermann, 1956.
[22] Tra questi aspetti fondamentali, la dimensione della filosofia politica di Merleau-Ponty e del suo contesto non è affatto la meno rilevante: dagli anni Trenta, nel fermento di una giovane generazione di intellettuali cristiani che criticano vigorosamente la borghesia e lo stile repubblicano del momento (in cui si deve segnalare l’influeza di Mounier e la partecipazione agli esordi di Esprit, ma anche l’influenza di Scheler e de L’homme du ressentiment a cui Merleau-Ponty consacrerà uno studio notevole); nel contesto della seconda guerra mondiale (che inaugura nell’autore de La guerre a eu lieu un pensiero della modernità e del non-senso che segnano profondamente tutto lo sviluppo della sua filosofia), nel contesto del marxismo in chiave francese, delle accese polemiche suscitate dalla pubblicazione di Humanisme et terreur, dei tentativi di dare delle risposte lungamente messi a punto ne Les aventures de la dialectique, senza dimenticare, chiaramente, tutto il lavoro intrapreso con la silenziosa responsabilità editoriale di Temps Modernes.
[23] A. Gurwitsch, Théorie du champ de la conscience, trad, M. Butor, de Brouwer, Paris 1957.
[24] Un solo riferimento, discreto e isolato: Phénoménologie de la perception, Gallimard, Paris 1945, p. 109.
[25] Vedente-visto di cui Husserl rifiutava esplicitamente l’idea nella II sezione di Ideen II, punto da cui Merleau-Ponty traeva originariamente l’idea del toccante-toccato. Cf. E. Husserl, Ideen II, seconda sezione, § 37, Hua IV.
[26] Anche in questo caso la critica si rivolge più contro Ruyer e Sartre che direttamente contro Husserl.
[27] Ancora una volta, più contro Sartre che contro Husserl.
[28] M. Merleau-Ponty, L’homme et l’adversité, op. cit., p. 306.
[29] Intervista del settembre 1951, che segue L’homme et l’adversité, in M. Merleau-Ponty, La connaissance de l’homme au XXe siècle, ripresa in Parcours deux 1951-1961, op. cit., p. 331.
[30] M. Merleau-Ponty, La philosophie dialectique (Collège de France), B.N., vol. XIV, f. [212](2), corso del 27 febbraio 1956.
[31] Nel 1958, in un contesto non dissimile da quello di Introduction à l’ontologie, Merleau-Ponty annuncia la «possibilité prochaine d’un grand et sain scepticisme» (intervista con Madeleine Chapsal del 17 febbraio 1958, p. 299 nell’edizione Parcours deux 1951-1961, op. cit.). Cfr. anche il vrai scepticisme analizzato in Lecture de Montaigne (dicembre 1947), in M. Merleau-Ponty, Signes, op. cit., pp. 250-266.
[32] M. Merleau-Ponty, Le visible et l’invisible, op. cit., p. 185.

Ella Bergmann-Michel, Senza titolo (1934)
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