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Dell’unità dell’immaginazione 2*
Le immagini appartengono tutte alla stessa famiglia? [PARTE SECONDA]


di Philippe Cabestan


(Traduzione di Giuseppe Crivella)



26 maggio 2018


La coscienza di immagine

La percezione dell’immagine è un modo determinato della percezione [1]

Pertanto, poiché la coscienza d’immagine dipende dalla coscienza percettiva, essa non può essere confusa con la Phantasie. In che modo va intesa una tale affermazione? Fink può davvero ritenere che l’immagine [Bild] sia un correlato percettivo e quindi la coscienza di immagine un tipo di presentazione, dando così ragione al senso comune allorché questo vede un film, una fotografia, un quadro, guardandolo e quindi percependolo?

Che la confusione tra la Phantasie e la coscienza d’immagine sia frequente si spiega per Fink risalendo alla struttura elementare della coscienza di immagine. In effetti lo sguardo analitico fa spesso astrazione del supporto reale della coscienza d’immagine, ovvero di ciò che Husserl nelle Vorlesungen 1904-1905 chiama immagine fisica in opposizione all’immagine-oggetto (Bildobjekt) e l’immagine-soggetto (Bildsubjekt) [2]. Tuttavia l’immagine [Bild] deve essere definita come «caporali² «l’insieme unitario, omogeneo quanto al senso, di un supporto reale e del mondo di immagine che esso porta» [3]. L’immagine, più precisamente, implica sempre e in maniera essenziale un supporto reale, ovvero la cosa, la tela, il quadro e in maniera più precisa la realtà nella misura in cui essa coincide con il mondo d’immagine, con l’irrealtà presentata nell’immagine nel senso completo del termine: la tela sulla quale il paesaggio è rappresentato, l’acqua nella quale l’albero si riflette. L’errore è quindi di omettere [übersehen] il supporto, ciò che si lascia comprendere agevolmente nella misura in cui l’interesse tematico della coscienza di immagine è orientato esclusivamente sul mondo d’immagine e non sul supporto stesso, la cui dissimulazione [Verdeckheit] è di conseguenza il modo autentico del suo dato, o ancora il modo fenomenale della sua presenza nella coscienza d’immagine [4]. Tale omissione e tale dissimulazione — che non è tuttavia l’invisibilità — aprono la via alla confusione che questo articolo di Fink si propone proprio di dissipare tra la Phantasie e la coscienza d’immagine; dimenticando il supporto nell’immagine, si omette il carattere percettivo della coscienza d’immagine. In tal modo e contrariamente a ciò che ci lascia intendere la lingua francese, mai l’immaginazione — nel senso della Phantasie — ci darà un’immagine [5].

Dalla definizione della coscienza d’immagine ricordata nel passaggio precedente risulta che la concezione dell’immagine come di un modo determinato di percezione non deve essere intesa nel senso che alla percezione di un supporto verrebbe ad aggiungersi un atto di immaginazione che riposi su di esso; come se, dal punto di vista noematico, al dato percettivo, ovvero al supporto, venisse a connettersi il mondo di immagine. E se la coscienza di immagine è esattamente coscienza percettiva è perché, come ci dice Fink,
l’intuitività del mondo d’immagine è essenzialmente una intuitività impressionale presentativa, la coscienza di immagine è una coscienza presentante [6].
Così, nel caso di una percezione di un oggetto reale, come in quello della percezione d’immagine, c’è sempre intutività impressionale, dal momento che l’immagine implica sempre un supporto. Inoltre, come per qualsiasi altra percezione, la percezione o coscienza d’immagine è presentante. Mentre i differenti tipi di presentificazione, come abbiamo visto, sono delle presentificazioni del passato, del presente, del futuro o del possibile, il mondo dell’immagine è presente e accessibile in se stesso [7]. Analizzando il quadro intitolato Il falegname di Ferdinand Hodler [8], Fink mostra che un presente è costantemente al principio del mondo d’immagine e che un passato e un futuro appartengono a tale presente: il falegname brandisce la sua ascia e s’appresta a colpire il tronco dell’albero la cui taglia indica già l’età avanzata ecc...

Tuttavia è chiaro che tale presente del mondo della percezione d’immagine non si confonde con il presente della percezione di un oggetto del mondo reale. Si tratta di due temporalità distinte; e la stessa cosa vale per lo spazio dell’immagine che, pur distinguendovi una sfera di prossimità e un orizzonte aperto, nondimeno è del tutto diverso dallo spazio del mondo reale. Ciò significherebbe che l’irrealtà della Phantasie e della Bildbewusstsein sono della stessa natura? La coscienza d’immagine è presentante, essa è un modo di percezione ma il mondo d’immagine è evidentemente irreale. L’immagine della coscienza d’immagine è proprio una presentazione ma presentazione del presente di un irreale nello spazio irreale. Per comprendere tale specificità della percezione dell’immagine bisogna distinguere l’irrealtà in una coscienza d’immagine, l’irrealtà della Phantasie e l’irrealtà delle presentificazioni in generale; e non bisogna confondere il come-se neutro della Phantasie che risulta da un tipo di modificazione di neutralità, il come-se neutro della Phantasie e il come-se della presentificazione, dal momento che esso non risulta, l’abbiamo visto, da una modificazione di neutralità, ma dal contrasto nello stato di veglia, tra il presentificato e il presentato [9].

L’immagine non è una pura irrealtà, ma essa è secondo il suo senso ontologico un ente individuale concreto. Anche l’irrealtà nell’immagine è il momento astratto, poiché inseparabile da una realtà determinata: il supporto; l’irrealtà designa il non-essere co-appreso negli oggetti presi di mira essi stessi come l’incisione di Dürer. Di contro, nelle presentificazioni in generale o immaginazioni [Imaginationen] — noi lasciamo provvisoriamente da parte in questo passaggio la specificità della Phantasie — l’irrealtà ha un significato del tutto diverso. In effetti nella presentificazione «caporali² «i vissuti mostrano un irreale, un non-presente come se esso fosse lì, presente» [10], vi è apparenza di presentazione e il carattere dell’irrealtà suppone il contrasto con il presente della percezione di un ego sveglio — nel sogno, come abbiamo visto, tale carattere scompare. L’irrealtà dell’immagine rimanda all’essenza degli oggetti tematici e l’irrealtà della presentificazione, quindi della Phantasie, all’essenza della temporalità. In altri termini la Phantasie, la Wiedererinnerung ecc sono sinonimi d’irrealtà poiché essi sono presentificazioni [Vergegenwärtigungen] di ciò che precisamente non è presentato [gegenwärtigt] in una coscienza originaria e l’irrealtà deriva proprio dall’essenza della temporalità. Da parte sua l’immagine [Bild], sprovvista di tale modificazione propria alle presentificazioni, è irreale perché in essa appare un’oggettità intenzionale che è per essenza irreale, che è un’apparenza nel senso in cui l’arte è il mondo dell’apparenza. Anche se la formula è approssimativa, non confondiamo l’apparenza della presenza nel caso della presentificazione — si tratta infatti di un’apparenza che il contrasto con l’intuitività originaria di un ego sveglio dissipa per rivelare l’irrealtà, il carattere come-se della presentificazione — e la presenza dell’apparenza nel caso della coscienza d’immagine e quindi la coscienza del carattere irreale, come-se — ma si tratta di un come-se neutro, la cui neutralità dipende da un tipo di modificazione di neutralità — dell’immagine.

Per accostarsi a questa modificazione di neutralità che caratterizza la coscienza d’immagine, non dobbiamo in alcun modo fare come Husserl; dobbiamo piuttosto distinguere con attenzione la neutralità di compimento [Vollzugsneutralität] e la neutralità del tenore [Neutralität des Gehalts] [11]. In effetti Fink nota in questo §29 che la modificazione di neutralità descritta da Husserl in Ideen I è molto spesso la neutralità del compimento; Husserl tuttavia sembra confondere a volte le due tipologie. Per esempio, il §111 — consacrato a partire dal titolo alla modificazione di neutralità e la Phantasie [Neutralitätsmodifikation und Phantasie] — analizza con attenzione l’incisione di Dürer, quindi non una presentificazione che dipenderebbe dalla Phantasie e dalla neutralità di compimento, ma al contrario l’immagine di una coscienza d’immagine [Bildbewusstsein] in cui la modificazione di neutralità in opera, secondo Fink, è la neutralità del tenore – dobbiamo riconoscere che noi oltrepassiamo un po’ se non lo spirito la lettera del testo di Fink che è, quanto alla neutralità stessa della Phantasie, più prudente rispetto a quanto non lo lasci intendere la nostra presentazione sistematica.


Se, in una maniera generale, la modificazione di neutralità significa mettere tra parentesi, privare di validità, addirittura di autenticità, nel caso della neutralità di compimento la costituzione è apparente come nel caso della Phantasie o quando la credenza nell’esperienza è sospesa o ancora, altro modo della neutralità di compimento, quando il lutto, la compassione, ecc non sono realmente provati e sono neutralizzati; di contro, nella neutralità del tenore che si incontra nella coscienza d’immagine, così come nell’appercezione del gioco, non si tratta di una costituzione apparente, ma di una costituzione dell’apparenza, ovvero, detto nella maniera astratta, della costituzione di una semplice realtà e di un’irrealtà simultaneamente co-donata.

Tale teoria della modificazione di neutralità s’inscrive in una sequenza di distinzioni che Fink raccorda a quelle dell’esistenza e dell’essenza colta fenomenologicamente. In effetti, se si distinguono il quod e il quomodo, il nucleo di senso noematico e i suoi caratteri tetici, è possibile allora considerare la neutralità del tenore come neutralità del quid e la neutralità del compimento come quella del quomodo. Rileggendo in tale prospettiva le Logische Untersuchungen Fink riconnette la neutralità del compimento alla teoria della modificazione quantitativa, mentre la neutralità del tenore «caporali² «non è, nella terminologia delle Logische Untersuchungen, una modificazione qualitativa, ma piuttosto una modificazione della materia [Materie]» [12]. Noi abbiamo quindi tre forme di irrealtà: l’irrealtà delle presentificazioni, la cui coscienza del carattere come se suppone il contrasto; l’irrealtà della Phantasie o presentificazione, la cui neutralità dipende dalla neutralità di compimento e concerne la modificazione presentificante; e d’altra parte la coscienza d’immagine, la cui irrealtà risulta da una neutralizzazione del tenore.

Possiamo allora comprendere che, come l’appercezione del gioco, la coscienza d’immagine dipende da ciò che Fink chiama atti mediali. Bisogna intendere in tal senso gli atti specifici che instaura un medium reale per l’apparizione di un’irrealtà. Nel caso dell’immagine il supporto è il medium dell’apparire del mondo d’immagine, l’incisione dell’apparire del cavaliere, della morte e del diavolo, e lo spazio del mondo d’immagine con i suoi oggetti e le loro proporzioni coincide con lo spazio del supporto. Così, come una finestra è una sorta di interfaccia tra un mondo interiore e un mondo esteriore e permette d’appercepire fuori il paesaggio, nello stesso modo l’immagine presenta una faccia reale – dissimulata o omessa in forza dell’interesse tematico dello spettatore – e una faccia irreale nella misura in cui delle determinazioni che formano il tenore della faccia reale sono neutralizzate. Queste due facce sono inseparabili nella coscienza d’immagine e Fink chiama tale aspetto la “doppio apice graziato” “finestrità” [Fensterhaftigkeit] dell’immagine.

Cerchiamo ora di ricapitolare l’opposizione finkiana tra la Phantasie e la coscienza d’immagine. La Phantasie rimanda all’orizzonte del possibile. Inoltre essa può essere definita come presentazione di un de-presentato o presentificazione e, a differenza del sogno, essa possiede quell’irrealtà che caratterizza gli altri tipi di presentificazione. Tale possibile non è tuttavia un possibile quale quello della Vorerinnerung o del ricordo del presente, il cui carattere posizionale non è in questione; si tratta di un possibile immaginario, non figurativo, il cui carattere posizionale è neutralizzato. Ma tale irrealtà, che la Phantasie condivide con tutte le presentificazioni compiute da un ego sveglio, è di natura totalmente differente da quella dell’immagine [Bild]. L’immagine, in effetti, è una presentazione e la coscienza d’immagine una coscienza percettiva: bisogna allora dire che noi percepiamo, guardiamo un’incisione e l’immagine, a differenza della Phantasie , è inseparabile da un supporto reale. Il come se — in quest’ultimo caso indipendente dalla temporalità — risulta da una modificazione di neutralità non del compimento ma del tenore.


La famiglia dell’immagine

Mein Sohn, was birgst du so bang dein Gesicht?
Siehst, Vater, du den Erlkönig nicht?
Den Erlkönig mit Kron und schweif.
Mein Sohn, es ist ein Nebelstreif [...]
Mein Vater, mein Vater, und hörest du nicht,
Was Erlkönig mir leise verspricht?
Sei ruhig, bleibe ruhig, mein Kind!
In dürren Blättern säuselt der Wind. [13]

All’inizio della sua opera, Saraiva si lamenta del fatto che L’imaginaire di Sartre passi per un commento della teoria husserliana dell’immagine così come essa si trova esposta in Ideen I e cita la frase di Paul Ricœur che, in nota alla sua traduzione, scrive «caporali² «il miglior commento sull’immagine si trova ne L’imaginaire di Sartre» [14].

Di fatto, ne L’imagination Sartre si richiama esplicitamente a Husserl in merito al quale scrive:
per ciò che concerne il problema dell’immagine, Husserl non si accontenta affatto di fornirci un metodo: troviamo in Ideen I le basi di una teoria delle immagini totalmente nuova.
Ma Sartre aggiunge immediatamente dopo:
a dire il vero, Husserl affronta la questione solo di sfuggita e d’altronde, come si vedrà, noi non siamo affatto d’accordo con lui in tutti i punti [15].
Noi non troviamo ne L’imaginaire un semplice sviluppo —– in fin dei conti estremamente ridotto se si pensa all’esposizione di più di cento pagine delle lezioni del 1904-1905 — della teoria dell’immaginazione di Ideen I. Il lavoro di Sartre è a tutti gli effetti un saggio di fenomenologia e, più precisamente, di «psicologia fenomenologica»; ciò significa che si tratta innanzitutto per Sartre, indipendentemente da ogni riduzione trascendentale, di costituire sul piano mondano e riflessivo un’«caporali²«eidetica dell’immagine» [16]. La concezione sartriana della psicologia fenomenologica non coincide neppure con quella di Husserl e, come abbiamo visto, con quella di Fink, che gli rimprovererebbe il suo carattere mondano, mentre la riduzione psico-fenomenologica deve mettere fuori gioco il mondo che vale per l’anima. Su questo punto Sartre è più vicino ad Heidegger che criticò in maniera precisa tale aspetto della riduzione psico-fenomenologica scrivendo a tal proposito:
che cosa significa “doppio apice graziato”“mettere tra parentesi”? È questa la riduzione? Se sì, io non possiedo nell’anima pura l’a priori dell’anima in generale [17].
In maniera affine, Sartre, scettico quanto alla possibilità stessa della riduzione trascendentale, rifiuta tale messa tra parentesi del mondo che permetterebbe di sgomberare il suolo della psicologia fenomenologica.

Al fine di indicare in che misura Sartre si svincoli da Fink e sviluppi una concezione dell’immaginario che gli è propria, noi vorremmo in un primo tempo tentare di comprendere in che modo Sartre possa riunire i differenti tipi d’immagine in una sola e stessa famiglia, che dipenderebbe interamente dalla funzione irrealizzante della coscienza, ovvero della coscienza immaginante [imageante]. In tal modo noi incontreremo la questione della hyle o materia dell’immagine, che occupa nella teoria sartriana dell’immaginazione un posto centrale, passandola poi ad esaminare in un secondo tempo [18].



Immagini materiali e immagini mentali

Riprendiamo le caratteristiche dell’immagine acquisite, secondo Sartre, a partire dai soli dati della riflessione concernente l’immagine mentale. Sartre ne trattiene solo quattro che si applicano, come vorremmo mostrarlo, tanto alle immagini materiali quanto alle immagini mentali [19].

Innanzitutto l’immagine non è una cosa nella coscienza, un simulacro, ma essa è una coscienza specifica la cui struttura è intenzionale; essa è quindi un rapporto e l’immagine è una certa maniera, distinta dalla percezione, di entrare in relazione con un oggetto; io posso percepire Pierre, io posso immaginarlo: l’oggetto è sempre lo stesso ma non il rapporto. Da questo punto di vista Sartre denuncia «caporali² «l’illusione d’immanenza», illusione del senso comune, degli psicologi e dei filosofi come Hume, i quali pensano in termini di spazio e quindi cosificano l’immagine — come se essa potesse essere delineata indipendentemente da ogni coscienza intenzionale — e pertanto introducono l’immagine (questa cosa) nel (lo spazio del) la coscienza — si vede da subito come, in tale prospettiva fenomenologica, l’idea di immagine incosciente sia assurda, come essa sia un puro prodotto dell’illusione di immanenza: l’immagine sarebbe una cosa nello psichismo che deriverebbe sia dal sistema cosciente che da quello inconscio. Al fine di non restare intrappolato in tale illusione, Sartre propone l’espressione di «caporali² «coscience imageante» che ha il doppio merito di non fare più dell’immagine una cosa come nell’espressione coscienza d’immagine e di sottolineare l’attività e la spontaneità di questa coscienza.

Inoltre, seconda caratteristica, se l’oggetto, come nella percezione, si dà nella coscienza imageante per Abschattungen bisogna sottolineare che l’immagine, a differenza della percezione, non mi istruisce su nulla; io posso osservare un’immagine quanto più a lungo possibile: io vi troverò solo ciò che vi ho messo io, ciò che io ne so. L’osservazione di un’immagine è una «caporali² «quasi-osservazione». In tal modo Sartre tocca quella «dottrina dell’immaginazione che ci rifiuta il potere, tanto celebrato, di contemplare la forma e il colore degli oggetti assenti», in difesa della quale Alain propone la famosa esperienza del conteggio delle colonne del Pantheon a partire dalla sua immagine, esperienza che Sartre stesso ricorda ne L’imaginaire. Ma Sartre rifiuterebbe naturalmente la definizione di Alain per cui l’immaginazione sarebbe una percezione falsa. La coscienza è o imageante percettiva [20].

Si potrebbe obiettare che tale seconda caratteristica — la povertà essenziale dell’immagine che la rende sempre oggetto di una quasi-percezione — si applica solo alle immagini mentali e non alle immagini materiali che pare siano facilmente e realisticamente osservabili. Così, contemplando l’incisione di Dürer, io vi posso scoprire questo o quel dettaglio, che fino ad allora mi erano sfuggiti, e mi è facile, partendo da una fotografia, contare le colonne del Pantheon. Non dobbiamo allora limitare il fenomeno della quasi-osservazione alle immagini povere di materia, ovvero, ammettendo che l’immagine mentale si compia grazie a una materia, alle sole immagini mentali? Povertà dell’immagine e povertà della materia sarebbero correlative e in tal caso il fenomeno di quasi-osservazione sarebbe una caratteristica della sola immagine mentale.

L’imaginaire ci dice che vi è una quasi-osservazione allorché «caporali² «sulla materia (viso dell’imitatore, linee del disegno schematico) troviamo solo ciò che noi vi mettiamo» [21]. Il altri termini la povertà dell’immagine e il fenomeno di quasi-osservazione concernono ugualmente le immagini materiali, per il compimento delle quali interviene nello stesso modo ciò che Sartre chiama «caporali² «savoir imageant». Ugualmente la contemplazione di un’incisione implica un savoir imageant che viene a colmare le carenze della copia, ovvero la povertà dell’analogon: per esempio, l’imprecisione dell’incisione non mi permette di vedere in dettaglio il frontone triangolare del Pantheon che tuttavia io posso rappresentarmi a partire dalla conoscenza di quest’ultimo. Certo, è possibile concepire il caso-limite di una coscienza d’immagine materiale libera da ogni savoir imageant e tale è il caso in cui assumiamo un’attitudine estetica in relazione a un oggetto reale, ovvero quando l’oggetto funziona come analogon di se stesso: allora non è necessario alcun savoir imageant al fine di completare la povertà materiale dell’immagine e il fenomeno di quasi-osservazione svanisce [22]. La povertà della coscienza imageante è quindi proprio funzione della ricchezza o della povertà della sua materia e quindi per nulla una proprietà specifica della Phantasie.

A causa della sua importanza e delle considerazioni contraddittorie di Sartre relative ad essa, la terza caratteristica merita che ci si soffermi più a lungo. In maniera generale, Sartre rifiuta tale concezione che costituisce l’immagine sul modello della percezione per poi rimpiazzarlo al posto di quest’ultima «caporali² «come se qualcosa (riduttore, sapere, ecc) intervenisse in seguito […]. L’oggetto in immagine sarebbe quindi costituito dapprima nel mondo delle cose, per essere poi in un secondo momento scacciato da questo mondo» [23]. Certo, Sartre non pensa a Husserl e il termine /riduttore/ nella frase citata rimanda essenzialmente a Taine e alla sua teoria dell’immagine. Ma tale osservazione potrebbe valere nello stesso modo, ci pare, per la teoria husserliana della Phantasie, dal momento che la modificazione di neutralità ritira l’immagine dal mondo delle cose — inteso nell’accezione ampia di mondo delle cose reali presenti e passate — a cui l’immagine appartiene in un certo modo e dal momenti che essa è legata al ricordo, in quanto essa è definita in Ideen I come una presentificazione posizionale neutralizzata, come una modificazione di neutralità del ricordo in senso ampio [24].

A tale concezione che introduce riduttore, sapere o, aggiungeremmo noi, modificazione di neutralità, L’imaginaire oppone due argomenti: da una parte tale tesi non quadra con i dati della descrizione fenomenologica, essa non corrisponde all’esperienza; dall’altra parte essa manca — e questa è una delle tesi essenziali di Sartre ne L’imaginaire — il carattere sui generis della coscienza imageante che si distingue radicalmente – così che l’una non sarebbe altro che una maniera qualsiasi di derivare dall’altra — intrinsecamente e immediatamente dalla coscienza percettiva, cosa che spiega il fatto in base al quale di solito non si confondono le due tipologie [25]. Inoltre, come dovremo mostrarlo in maniera più precisa, l’oggetto della coscienza imageante non è sempre neutralizzato, e questo dipende dal carattere tetico dell’intenzione.

C’è in ogni immagine una determinazione posizionale che non potrebbe confondersi con quella della percezione, la quale pone il suo oggetto come realmente esistente: «caporali² «la coscienza imageante pone il suo oggetto come niente» [26].

Al fine di cogliere correttamente la concezione sartriana della tesi specifica della coscienza imageante, bisogna scomporre in maniera astratta l’atto di posizione in due momenti che sono in realtà inscindibili [27]. Diventa allora possibile distinguere da un lato un primo atto posizionale, o tesi fondamentale, che è quello di ogni coscienza imageante, compresa la coscienza ipnagogoica come la coscienza onirica, e da questo punto di vista la coscienza imageante si oppone alla coscienza percettiva come la coscienza del segno; dall’altro lato un secondo atto legato sinteticamente al primo, che permette di specificare in base a una delle sue quattro forme possibili l’atto posizionale della coscienza imageante.

A differenza della coscienza imageante o della coscienza percettiva, la coscienza del segno è sprovvista di ogni carattere posizionale —– Sartre scrive: «leggere su un’etichetta ufficio del vice-presidente significa non porre nulla» [28].

Nel caso della percezione, la coscienza percettiva pone il suo oggetto come realmente esistente e l’oggetto è presente in persona; il tavolo che io percepisco è là in persona con evidenza. Al contrario, in ogni coscienza imageante gli oggetti non sono presenti in persona alla mia intuizione; in tal modo essa pone un oggetto come un nulla. Ma ciò non significa che l’oggetto della coscienza imageante non esiste, che non gli si conferisce alcun tipo d’esistenza; semplicemente l’oggetto della coscienza imageante esiste come irreale.

Bisogna ricordare la formula di Sartre: l’immagine è «il modo in cui l’oggetto si dà, assente, attraverso una presenza» [29]. L’imaginaire non riprende dunque qui esattamente la famosa definizione kantiana dell’immaginazione [Einbildungskraft] come «potere di rappresentarsi nell’intuizione un oggetto anche in sua assenza» [30]. Sartre sottolinea la presenza, presenza dell’irreale grazie al suo analogon, mentre Kant ricorda che l’immaginazione può offrire l’intuizione di un oggetto senza la presenza di quest’ultimo, e che ogni intuizione sensibile non è per questo l’indicazione di una presenza — la quale per l’autore delle tre critiche può essere solo la presenza di un oggetto della percezione. Facendo eco alla concezione sartriana, bisogna piuttosto comprendere la formula pascaliana relativa all’immagine «caporali² «che porta presenza e assenza». Commentando tale caratterizzazione dell’immagine in opposizione al segno Martineau scrive:
tale /e/, tale coordinazione è eloquente: esso significa che, nel suo ritratto, la presenza di Mallarmé e l’assenza di Mallarmé non costituiscono affatto un’alternativa [31].
Ma, secondariamente, sottolineare che l’immagine è un misto di presenza e assenza non basta per definire la tesi dell’immagine. Rimane da precisare la natura di questa assenza, di questo niente che abita l’oggetto della coscienza imageante. Per esempio, la coscienza onirica, come ogni coscienza imageante, presenta sulla base di questo atto posizionale di una presenza-assenza un carattere più specifico. In effetti Sartre, all’inizio de L’imaginaire, distingue quattro maniere per una coscienza imageante di porre l’oggetto come irreale. L’atto posizionale della coscienza imageante può porre l’oggetto irreale sia come inesistente (e questo è il caso della coscienza di chimera o di centauro), sia come assente (Pietro non è là) o come esistente altrove (Pietro è in Cina); può anche non porre l’esistenza dell’oggetto posto come irreale. Tale atto — per la descrizione del quale Sartre recupera la teoria husserliana della sospensione o della neutralizzazione della tesi [32] — è una neutralizzazione della tesi relativa all’oggetto posto come irreale dalla coscienza imageante. È il caso, per esempio, quando, di fronte a delle foto di persone che io non conosco e il cui viso non mi dice nulla, io le guardo senza operare alcuna posizione d’esistenza sebbene, nello stesso tempo, io ponga questi stessi soggetti come irreali [33]. Mutatis mutandis, è la stessa cosa per ciò che concerne il sogno. Sartre nota che spesso i suoi sogni «caporali² «si presentano come una storia che io leggo o che mi viene raccontata» [34]. In tal caso la tesi presenta esplicitamente un carattere neutralizzato: ciò che è posto nel sogno come irreale non è posto né come irreale esistente, né come irreale inesistente, né come irreale assente o esistente altrove, ma l’esistenza di ciò che è posto come irreale è messa tra parentesi. Più generalmente, possiamo considerare che in tutti i sogni — se è vero, come scrive Sartre in conclusione, che il sogno «caporali² «è prima di tutto una storia» e che esso è vissuto come una finzione [35] — l’esistenza di ciò che è sognato è neutralizzata.

Noi non potremmo assimilare l’immagine alla percezione – neppure a un ricordo e tanto meno a un ricordo neutralizzato o ancora a una presentificazione neutralizzata. Immagine e percezione dipendono da due coscienze radicalmente distinte che non presentano la stessa tesi. Mentre la coscienza percettiva pone il suo correlato come esistente realmente, la coscienza imageante pone il suo oggetto come un irreale e inoltre come un irreale la cui posizione d’esistenza deve essa stessa essere determinata secondo il caso in questione.

Infine, quarta caratteristica, la coscienza imageante, a differenza della coscienza percettiva che si manifesta come passività, si dà a se stessa come una spontaneità che produce e conserva il suo oggetto in immagine [36]. Di nuovo, quest’ultima caratteristica si applica per caso proprio a tutte le immagini della coscienza imageante nel senso ampio in cui lo intende Sartre? Si potrebbe obiettare che nel caso delle immagini materiali la coscienza imageante non è una pura spontaneità ma manifesta una passività che è come a metà strada tra la Phantasie e la percezione. Bisognerebbe allora rispondere distinguendo dapprima la pura spontaneità nel senso trascendentale esposto nella Trascendence de l’ego, e in tal caso la coscienza in quanto spontaneità «caporali² «è ciò che essa produce e non può essere null’altro» [37], e la spontaneità nel senso della psicologia fenomenologica, che si definisce quindi nell’attitudine naturale in opposizione alla passività della coscienza percettiva [38]. In seguito converrebbe aggiungere che l’immagine mentale — stiamo per vederlo ora in maniera più dettagliata — come l’immagine materiale possiede una materia; e che, in un caso come nell’altro, immanente o trascendente, tale materia non intacca davvero la spontaneità nel senso della psicologia fenomenologica, della coscienza imageante, se è vero che non è mai l’incontro di una materia che provoca la produzione di un’immagine.

Narciso, si dice, contempla e muore innamorato della sua immagine, sebbene il suo sguardo non incontri che riflessi sulla superficie dell’acqua. Se le quattro caratteristiche prese in considerazione sono proprio mutatis mutandis quelle di ogni coscienza imageante, bisogna iscrivere questi riflessi, così come tutto quello che si chiama immagine materiale, nel registro dell’immagine in generale e non dovrebbe sorprenderci il fatto che tali caratteristiche si applichino a tutte le immagini, dal momento che esse sono delle determinazioni essenziali messe in luce dalla riduzione eidetica in cui le immagini appartengono a una sola e stessa famiglia.

Tuttavia non abbiamo stabilito in tal modo il vero fondamento dell’unità della coscienza imageante. Resta da precisare in che misura sia possibile assimilare il supporto materiale della coscienza d’immagine alla materia dell’immagine mentale che, apparentemente e fenomenologicamente almeno, ne è sprovvista.


* Saggio apparso in ALTER, Revue de Phénoménologie, n. 4/1996, “Espace et imagination”, pp. 69-122. Per gentile concessione dell’autore. Il saggio di Cabestan è tradotto qui in tre parti. Per la parte priima clicca qui: Cabestan I, La terza parte verrà pubblicata in seguito.

[1]. E. Fink, Vergegenwërtigung und Bild, in Jahrbuch für Philosophie und Phänomenologische Forschung XI, 1930, Max Niemeyer Verlag. J-P Sartre, L’Imagination, PUF, Paris 1936, p. 90.
[2]. E. Husserl, Phantasie, Bildbewusstsein, Erinnerung: zur Phänomenologie der Anschaulichen Vergegenwärtigung, Husserliana XXIII, Den Haag, M. Nijhoff, 1980.
[3]. E. Fink, op. cit., p. 89.
[4]. Naturalmente un interesse tematico per il supporto è sempre possibile, come quando ci si interroga in merito a quadro per il trattamento dei materiali, in merito a una pièce teatrale sugli sfondi, i costumi, la messa in scena, ecc...
[5]. Al fine di evitare ogni equivoco sottolineiamo che questa fenomenologia dell’immagine concerne le immagini formate dall’attività umana: opere d’arte, fotografie, film, ecc...come quelle che non dipendono da essa: riflesso di un albero nell’acqua, ombre, miraggi (Fata Morgana). «caporali² «Non bisogna quindi confondere in tale prospettiva il miraggio (Fata Morgana, Luftspiegelung) che suppone —– come nel caso dell’oasi che percepisco in pieno deserto —– un supporto naturale (la rifrazione ineguale dei raggi luminosi negli strati d’aria a temperature diverse), e l’allucinazione definita tradizionalmente, sebbene in maniera opinabile, se è vero — come lo mostra Sartre ne L’imaginaire — che l’allucinazione fa capo alla conscience imagenate, nei termini di una «caporali² «percezione patologica di fatti che non esistono affatto, in assenza di ogni stimolo esterno».
[6]. E. Fink, op. cit., p. 90.
[7]. Il ricordo del presente si raccorda al presente e non al passato o al futuro; tuttavia si tratta proprio di una presentificazione nella misura in cui non appare l’oggetto stesso e dove si tratta del presente che non è accessibile in quanto tale.
[8]. Ferdinand Hodler (1853-1918) pittore svizzero.
[9]. Non dimentichiamo che in questo studio per Fink «caporali² «il problema principale di tutta la ricerca è la questione del senso fenomenologico dell’irrealtà», E. Fink, op. cit., p. 81.
[10]. Ivi, p. 82.
[11]. Ivi, § 29.
[12]. Ivi, p. 86. Cfr. la V Ricerca Logica, § 39, nonché R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl, ed it a cura di C. La Rocca, Il Mulino, Bologna 1992, pp. 158-159.
[13]. «caporali² «Perché, figlio mio, nascondere così paurosamente il tuo volto?/ Padre, non vedi forse tu il Re degli elfi?/ Il Re degli elfi con il suo seguito e la sua corona?/ Figlio mio, è un banco di nebbia [...]. Padre mio, Padre mio, che cosa? Tu quindi non senti/ Ciò che il Re degli elfi mi promette a voce bassa?/ Calma, calma, figlio mio, sii tranquillo!/ È il vento che mormora nel fogliame secco...» W. Goethe, Erlkönig.
[14]. E. Husserl, Ideen I, p. 348.
[15]. J-P Sartre, L’Imagination, PUF, Paris 1936, p. 143.
[16]. Ibid.
[17]. Husserliana IX, p. 127 e sgg.
[18]. Segnaliamo la tesi di Noudelman e, in particolare, il capitolo 2 intitolato L’image della prima parte del suo libro, F. Noudelman, Sartre. L’incarnation imaginaire, L’Harmattan, Paris 1996.
[19]. J-P Sartre, L’Imaginaire, Gallimard, Paris 1940, pp. 17-36.
[20]. Alain, Le système des beaux-arts, Gallimard, Paris 1976, p. 345. nota del libro I, cap. III sulle immagini, e pagina 25 per la definizione dell’immaginazione come percezione falsa. J-P Sartre, L’Imaginaire..., p. 174.
[21]. Ivi, p. 107.
[22]. Ivi, p. 372.
[23]. Ivi, pp. 31 e 171.
[24]. E. Husserl, Ideen I, § 111, «caporali² «Näher ausgeführt, ista das Phantasieren überhaupt die Naturalitätmodifikation der “setzenden” Vergegenwärtigung, also der Erinnerung im denkbar weitesten Sinne».
[25]. Di fronte alla difficoltà per Sartre di spiegare dei fenomeni come l’allucinazione, il sogno e certe patologie dell’immaginazione, ovvero dei casi in cui il soggetto scambia l’immagine per la realtà, Sartre stesso osserva: «caporali² «avendo assimilato l’immagine alla sensazione, Taine non ha alcun problema nello spiegare l’allucinazione: in effetti, la percezione è già un’allucinazione vera. Egli incontrerà delle difficoltà allorché bisognerà spiegare in che modo tra tutte le allucinazioni, alcune vere, altre false, noi sappiamo distinguere immediatamente le immagini e le percezioni. Al contrario, noi non rischiamo forse di trovare proprio nel problema dell’allucinazione la nostra pietra di inciampo?», J-P Sartre, L’Imaginaire..., pp. 286-287.
[26]. Ivi, p. 30.
[27]. Cosa che Sartre non fa esplicitamente, cfr. J-P Sartre, L’Imaginaire..., pp. 32 e sgg. L’imaginaire dà l’idea di contraddirsi e di attenersi all’idea che l’immagine sia una sintesi intenzionale e difficilmente esprimibile (p. 52). Per esempio, Sartre scrive che neutralizzare significa non porre l’oggetto come esistente, ma egli precisa in una nota a pie’ pagina che tale sospensione della credenza rimane un atto posizionale (p. 32). In che modo quindi la coscienza posizionale in tali condizioni può porre e non porre il proprio oggetto? Nello stesso modo, Sartre afferma che in ogni immagine, compresa quella che non pone il proprio oggetto come esistente neutralizzato, c’è una determinazione posizionale (p. 32). Se invece si distinguono due momenti, è possibile affermare senza contraddizione che la coscienza imageante pone il suo oggetto come irreale, mentre la coscienza percettiva lo pone come reale e la coscienza di segno è sprovvista di ogni carattere posizionale (p. 52) e, d’altra parte, che l’oggetto posto come irreale, esiste altrove (Pierre a Taiwan) o piuttosto che esso non è posto come esistente: la tesi presenta due aspetti ed il secondo ha senso solo sulla base del primo. Tale dualità è sottesa all’analisi dell’immagine-ritratto di Carlo VII (p. 53) e si ritrova nella doppia funzione delle labbra del re corrispondente alla doppio momento dell’atto posizionale: «caporali² «così queste labbra hanno una doppia funzione simultanea: da una parte esse rinviano a delle labbra reali, da tempo polvere, e prendono senso solo da qui; ma, da un’altra parte, esse agiscono direttamente sulla mia sensibilità, poiché esse sono un trompe-l’œil, poiché le macchie colorate del quadro si offrono agli occhi come delle labbra».
[28]. Ivi, p. 52.
[29]. Ivi, p. 170.
[30]. «caporali² «Einbildungskraft ist das Vermögen, einen Gegenstand auch ohne dessen Gegenwart in der Anschauung vorzistellen», I. Kant, Critica della Ragion Pura, Analitica trascendentale, I, cap. II, § 24. [31]. E. Martineau, Le plan de l’image, articolo di prossima pubblicazione. L’autore scrive: «caporali² «l’immagine non ha nulla a che vedere con un segno, precisiamo, un segno designativo. In effetti essa non presenta affatto questa configurazione che si chiama rinvio […]. Il fatto che questo ritratto di Manet sia il ritratto di Mallarmé non vuol dire che esso rinvii a Mallarmé. Poiché giustamente nel suo ritratto il poeta è là, in immagine. /In immagine/ si oppone a /in carne ed ossa/, rispetto al Mallarmé percepito il Mallarmé in immagine è irreale. Ma attenzione alle confusioni: ciò che è là in maniera irreale non è là in misura minore […]. Il vuoto si rivela come essenzialmente pieno», p. 3.
[32]. Sartre non recupera in effetti la concezione husserliana della neutralizzazione nella misura in cui per lui la sospensione di credenza che caratterizza certe coscienze imageantes rimane un atto posizionale, là dove per Ideen I la coscienza risulta sia posizionale, sia neutralizzazione o modificazione neutralizzante di un atto posizionale, cfr. E. Husserl, Ideen I, §§ 103-114. Facendo così Sartre si oppone alla tesi di Ideen I che presenta l’immaginazione come una modificazione di neutralità applicata al ricordo in quanto presentificazione.
[33]. J-P Sartre, L’Imaginaire..., p. 55. Accade la stessa cosa quando contemplo l’incisione di Dürer (p. 55). Quando contemplo una macchia sul muro ed esclamo “doppio apice graziato” “è un uomo accovacciato!”, io opero, dice Sartre, «caporali² «una doppia neutralizzazione di tesi: la macchia non è posta come dotata di proprietà rappresentative», l’uomo accovacciato immaginato non rimanda ad un uomo accovacciato determinato che sarebbe esistito o esisterebbe altrove, mentre nel caso di un ritratto, al contrario, io posso dire: “doppio apice graziato” “ecco Pierre che attualmente è in Cina, e «caporali² «l’oggetto dell’immagine non è posto come esistente», l’uomo accovacciato è posto come un irreale” (cfr. p. 79).
[34]. Ivi, p. 320.
[35]. Ivi, p. 338.
[36]. Kant scrive in una prospettiva assolutamente simile, anche se egli pensa la sensibilità come ricettività o passività, che ogni nostra intuizione [Anschauung] sia sensibile [sinnlich], che l’immaginazione [Einbildungskraft] appartenga alla sensibilità [Sinnlichkeit], ma che la sua sintesi sia un esercizio della spontaneità, la quale sarebbe determinate e non solo determinabile come il senso [Sinn]. I. Kant, Critica della Ragion Pura, Analitica trascendentale, 1, cap II, § 24.
[37]. J-P Sartre, La transcendence de l’ego, Vrin, Paris 1988, p. 62.
[38]. J-P Sartre, L’Imaginaire..., p. 35.


Philippe Cabestan, Professore per le “Classes préparatoires aux Grandes Ecoles” (CPGE) a Janson-de-Sailly, membro degli Archivi Husserl di rue d’Ulm. Le sue ricerche vertono principalmente su questioni di fenomenologia, antropologia e psicanalisi. Tra le sue tante pubblicazioni ricordiamo: Le vocabulaire de Sartre (con A. Tomès, 2001), Qui suis-je? Sartre et la question du sujet (2015), Introduction à la phénoménologie (2017).

J. M. W. Turner, Sfera (data imprecisata)
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