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Jacques Rancière e il significato politico dell’estetica
di Jacopo Francesco Mascoli


23 dicembre 2017


La partizione del sensibile è uno degli snodi fondamentali all’interno del pensiero di Jacques Rancière ed effettuarne una problematizzazione teoretica rappresenta un’occasione davvero proficua per comprendere la posta in gioco e le novità introdotte dal filosofo francese. Scrive Rancière che “la politica ha per oggetto la proprietà degli spazi e i possibili del tempo”. [1] Uno degli esisti senza dubbio più interessanti a cui il filosofo francese era giunto nel Disaccordo [2] era la nozione di partizione del sensibile [3]: una nuova costituzione di uno spazio comune conflittuale in cui vengono, in un certo senso, imposti oggetti e voci che comunemente non sarebbero affatto riconosciuti. La posta in gioco dell’uguaglianza e dell’inuguaglianza si gioca tutta all’interno del cuore della configurazione di ciò che può e non può essere visto, del mondo in cui il visibile può includere o escludere. Tutto questo rappresenta una vera e propria “partizione del sensibile”: un nuovo modo di cercare di creare un inedito luogo conflittuale all’interno dell’esperienza sensibile.

Alla base della politica vi è quindi un’estetica che non va assolutamente intesa come l’estetizzazione della politica di ascendenza benjamiana, per il quale «Il fascismo tende [...] a un’estetizzazione della vita politica. Alla violenza esercitata sulle masse, che vengono schiacciate nel culto di un duce, corrisponde la violenza da parte di un’apparecchiatura, di cui esso si serve per la produzione di valori culturali». [4] Questa estetica, secondo Rancière, deve piuttosto essere pensata in senso kantiano, come sistema delle forme a priori che costituiscono ciò che ci è dato da percepire, come dispositivo di esposizione delle cose che possono emergere appieno nella loro autonomia. Un’estetica che diviene quindi un preciso “modo di articolazioni tra i modi di fare, le forme di visibilità di questi modi di fare e le modalità di pensiero delle loro relazioni”. [5]

Non si tratta semplicemente di inserirsi nel tradizionale discorso avanguardista, cioè come “caso tipico [di] surdeterminazione, cioè di un gran numero di cause convergenti su un unico effetto” [6], che è solito intendere l’arte come pratica conquistatrice dell’emancipazione del soggetto. Piuttosto, si intende sottolineare una nuova articolazione specifica dell’arte ascrivibile a quello che Rancière chiama regime estetico dell’arte. In questo, l’arte si libera da ogni regola, da ogni gerarchia tra i soggetti e tra i vari generi. Il regime estetico non vuole creare una serie di rappresentazioni artistiche consone alla posizione sociale del soggetto ma, al contrario, intende sottolineare la totale sovversione proprio di questo ordine. “Il regime estetico delle arti disfa la correlazione tra soggetto e forma della rappresentazione”. [7] Roberto De Gaetano scrive che «il carattere operativo del pensiero si può iscrivere direttamente in un atto politico, nella scrittura letteraria, nella configurazione di una immagine e ciò che distinguerà questi modi di partizione del sensibile sarà il loro rispondere o a una logica poliziesca o a una politica». [8] Nel primo caso, per “polizia” possiamo intendere una partizione del sensibile che costituisce una società fondata su una concordanza di funzioni, luoghi e modi di essere. Si viene a costruire una società platonicamente [9] intesa in cui ognuno rispetta le proprie prerogative, le proprie funzioni, le proprie occupazioni, in cui non c’è spazio per alcun vuoto. In particolare, Rancière considera Platone l’inventore dell’archi-politica che «espone in tutta la sua radicalità il progetto di una comunità fondata sulla realizzazione integrale e sull’integrale sensibilizzazione dell’archè della comunità, che sostituisce interamente la configurazione democratica della politica. Sostituire interamente la configurazione significa fornire una soluzione logica al paradosso della parte dei senza-parte […] l’archi-politica è la completa attuazione della physis in nomos, il divenire sensibile totale della legge comunitaria. Nel tessuto della comunità non possono esserci tempi morti, né spazi vuoti». [10] Per “politica” si può quindi intendere ciò che fa “perturbare questa disposizione aggiungendovi una parte dei senza parte”. [11] L’operazione privilegiata della politica è il dissenso (litige) inteso come la costruzione di una vera e propria eterotopia [12] all’interno di un mondo già costituito: «Le utopie consolano — die Foucault —: se infatti non hanno luogo reale si schiudono tuttavia in uno spazio meraviglioso e liscio; aprono città dai vasti viali, giardini ben piantati, paesi facili, anche se il loro accesso è chimerico. Le eterotopie inquietano, probabilmente perché minano segretamente il linguaggio, perché vietano di nominare questo e quello, perché spezzano e aggrovigliano i nomi comuni, perché devastano anzitempo la sintassi e non soltanto quella che costruisce le frasi, ma anche quella meno manifesta che fa tenere insieme (a fianco e di fronte le une alle altre) le parole e le cose». [13] L’uguaglianza dunque destituisce ogni gerarchizzazione di soggetti, atti e parole. Da qui, ancora una volta, potremmo comprendere meglio l’interesse che Rancière ha manifestato negli ultimi anni per l’estetica e per le declinazioni letterarie e cinematografiche: il romanzo francese ottocentesco ha dato voce a chi non l’aveva, ai soggetti anonimi, agli oggetti materiali tradizionalmente esclusi dalla narrazione letteraria; [14] il cinema si è sviluppato a partire da sentieri già solcati dalla fotografia dando visibilità all’inanimato o all’insignificante. [13]

Tuttavia, ipotizzare che Rancière si sia fatto carico di un passaggio dalla politica all’estetica è fuorviante per due motivi. Anzitutto, già a partire dal distacco dal maestro Althusser, [15] Rancière ha dimostrato di voler rifiutare la rigida separazione fra le discipline e si è mosso fra agli archivi operai, la pedagogia di Jacotot, [16] la filosofia della storia e il pensiero politico post-democratico; [17] inoltre si è sempre concentrato su quel possibile scavo dell’esperienza in cui le dinamiche politiche si nutrono di parole e immagini. Un processo dialettico in cui il sensibile può essere continuamente riconfigurato, rimodellato da processi e attori politici, sociali e artistici che si contendono “ritagli di mondo e del mondo”. [18] Proprio questi ritagli, queste scene che si sviluppano nell’argomentazione rancièriana permettono una ragguardevole problematizzazione teoretica che abbatte ogni possibile divaricazione tra le alte vette del pensiero e la bassa prosaicità del sensibile. Rancière cerca le linee spezzate, i frammenti della controstoria della modernità facendo emergere quel dialogo sotterraneo e dimenticato tra politica e orizzonte della vita comune.


[1] J. Rancière, La partizione del sensibile. Estetica e politica, trad. di F. Caliri, DeriveApprodi, Roma 2016, p. 15.
[2] J. Rancière, Il disaccordo, trad. di B. Magni, Meltemi Editore, Roma 2007.
[3] L’espressione francese “partage du sensible” era stata tradotta originariamente da Beatrice Magni “pluralità del sensibile”. In questo testo utilizzeremo invece l’espressione “partizione del sensibile” che ha ormai soppiantato completamente la precedente.
[4] W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa, trad. di E. Filippini, Einaudi, Torino 1991, p. 46. Per una disamina completa del versante estetico della concezione rancièriana si veda, fra gli altri, Aisthesis Scene del regime estetico dell’arte, a cura di P. Terzi, Orthotes, Napoli-Salerno 2017.
[5] J. Rancière, La partizione del sensibile. Estetica e politica, cit., p. 9.
[6] Cfr. R. Strassoldo, “Il sistema dell’arte: nascita, trasfigurazione, apoteosi e imbalsamazione”, in D. Bertasio (ed.), Arte o spettacolo? Fruitori, utenti, attori, Franco Angeli, Milano, 2006, p. 204). Sempre nel medesimo saggio l’autore si sofferma in particolare sulla presunta vocazione politica di queste avanguardie: «Secondo gli ideologi dell’avanguardia […] le avanguardie artistiche sono per principio di sinistra, democratiche e progressiste: cioè, tese all’eguaglianza, all’emancipazione delle masse, e così via. Si tratta di un mito costruito a posteriori, nell’ambito della strategia complessiva del movimento comunista di egemonia sul ceto artistico-intellettuale». Ivi. p. 207.
[7] J. Rancière, La partizione del sensibile. Estetica e politica, cit., p. 45.
[8] R. De Gaetano, “Introduzione”, in R. De Gaetano (ed.), La Politica delle immagini. Su Jacques Rancière, Pellegrini Editore, Cosenza 2011, p. 9.
[9] Per un excursus di Rancière su Platone, che comunque rappresenta uno dei suoi principali interolocutori, si veda in particolare il capitolo “Dall’archi-politica alla meta-politica” in J. Rancière, Il disaccordo, cit., pp.79-108.
[10] Ivi, pp. 83-85.
[11] J. Rancière, Ai bordi del politico, trad. di A. Inzerillo, Cronopio, Napoli 2011, p. 190.
[12] M. Foucault, Le parole e le cose, trad. di E. Panaitescu, Rizzoli, Milano 1970, pp. 7-8. Un’altra formulazione sistematica della nozione di eterotopia è presente in M. Foucault, Utopie Eterotopie, a cura di A. Moscati, Cronopio, Napoli 2006. Per quanto concerne nello specifico l’utilizzo di questa nozione da parte di Rancière si veda: J. Rancière, La partizione del sensibile. Estetica e politica, cit., pp. 59-60. In generale il rapporto fra Foucault e Rancière è fecondo e ricco di spunti interessanti. Non è possibile in questa sede farne un’analisi approfondita. In particolare si veda: J. Rancière, Aisthesis scene del regime estetico dell’arte, cit., pp. 12-14. Id., La Methode de l’égalité. Entretien avec Laurent Jeanpierre et Dork Zabunyan, Bayard, Montrouge 2012, p. 119.
[13] Cfr. P. Godani, “Letteratura e politica in Jacques Rancière”, in R. De Gaetano (ed.), Politica delle immagini. Su Jacques Rancière, Pellegrini Editore, Cosenza 2011.
[14] Cfr. J. Rancière, Scarti. Il cinema tra politica e letteratura, a cura di Andrea Inzerillo, Pellegrini Editore, Cosenza 2013 e Id., La favola cinematografica, a cura di Bruno Besana, ETS, Pisa 2006. In questo, Rancière è vicino alla tesi che presenta Walter Benjamin nei confronti della fotografia di Karl Blossfeldt, tra i primi a sviluppare fotografie dettagliate e particolareggiate di alcune specie botaniche. Cfr. W. Benjamin, Ombre corte. Scritti (1928-1929), a cura di G. Agamben, Einaudi, Torino 1997.
[15] Cfr. J. Rancière, Le leçon d’Althusser, Gallimard, Idées (n° 294), 1975.
[16] Cfr. J. Rancière, Il maestro ignorante, a cura di A. Cavazzini, Mimesi, Milano 2008.
[17] Per una panoramica della traiettoria teorica e politica di Rancière rimando al saggio di D. Palano, Lo scandalo dell’uguaglianza. Alcuni appunti sull’itinerario teorico di Jacques Rancière, in «Filosofia politica», n. 3, dicembre, 2011.
[18] J. Rancière, Ai bordi del politico, cit., p. 189.

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