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Darwin e il fervente musulmano
di Leonardo Tonini


13 maggio 2016



Insegnando in una scuola serale, mi capitò come studente un fervente musulmano. Era un uomo di circa 40 anni (si era, come ho detto, al serale e ci venivano studenti lavoratori), molto intelligente, con una folta barba nera e gli occhi furbi da arabo, come direbbe Lawrence. [1] Parlava molto bene l’italiano ed era colto e informato; era, come molti suoi connazionali, un uomo che aveva già compiuto studi al suo paese e veniva alla scuola serale per “avere qualcosa in mano”. Io insegnavo, oltre che i prolegomeni della grammatica italiana, anche la vita ambiziosa di qualche letterato italico e la storia dal precipuo punto di vista di noi europei. Si era al primo anno e l’Europa era lontana, non restava che interpretare le civiltà mediterranee, e prima di esse, l’origine della vita sulla terra e l’ominazione. Tutto chiaramente a spanne, con una velocità e con una imprecisione disarmanti. Non che a me piacesse questa fretta di arrivare a Roma, nucleo e fulcro della nostra brava scuola riformata, ma il ministero dettava legge. Ben presto si arrivò a Darwin, il non ancora depennato dai libri di testo. In verità, l’allora ministro Gelmini ci aveva provato, ma le era andata male, persino molti ambienti della Chiesa protestarono.

Io ho uno strano rapporto con Darwin, mi definirei un dilettante appassionato, distante ugualmente dal professionista come dalla gran massa che pensa ancora di discendere dalle scimmie odierne: ho un amico che ogni tanto mi dà qualche dritta sull’evoluzionismo e sono un lettore dei libri divulgativi di Stephen Jay Gould, che invito tutti a leggere. È un argomento che mi appassiona. Lo dichiarai come apertura alla lezioncina che mi ero preparato e il musulmano, sorridendo, mi disse: io non credo in Darwin. Risposi che non era il caso di credere, ma di capire; risposta che davo sempre a qualche ragazzino delle scuole diurne che per famiglia di religione islamica o testimone di Geova o perché frequentava ambienti creazionisti, si diceva scettico. Qui però avevo davanti un osso duro: io posso capire Darwin, mi disse, se lei mi interroga, io studio e le riporto quello che Darwin ha detto, ma non ci credo: io credo nel sacro Corano. Non seppi controbattere. Spiegai ugualmente quello che avevo preparato, cercammo insieme di interpretare il capitolo del libro di testo che parlava della teoria, due paginette striminzite, più due sulla figura di Darwin e qualche grafico che spiegava la classificazione di Linneo e i fringuelli delle Galapagos. Però il mio entusiasmo era tutto di facciata, una folta barba nera rimordeva la mia coscienza.

Ne parlai con la collega di biologia che tagliò corto: io non ci provo nemmeno a parlare con certa gente, non capisce e non vuole capire, sono ciechi a qualsiasi prova. Questa enunciazione conteneva molti difetti. Dire che certa gente non capisce voleva dire avere dei pregiudizi su una ben determinata, quanto arbitraria, categoria di persone. Peggio era sostenere che certa gente non voleva capire, il che presuppone una fede nella teoria dell’evoluzione non minore di quella del mio studente per il Corano. Ma il fallimento completo per una biologa era credere che bastassero delle prove, per quante se ne possano trovare, per trovare conferma a una teoria scientifica. Ovviamente, tacqui le mie riserve.

La faccenda del non credere a Darwin, quando a me pareva cosa evidente, mi costernava. Mi chiesi il perché e mi risposi che in fondo io ero un insegnante e avevo per lo meno il dovere di credere giusto quello che andavo insegnando, come avrei potuto, se no, trasmettere? Non si parlava, poi, di credere o di avere fede, o di persuadere gli scettici, ma di comprendere. Di certo, come insegna il mio Gould, la teoria dell’evoluzione ha una portata così ampia e profonda da non essere per nulla una cosa pacifica, e qui sta il suo fascino. Ma lascio la parola a Gould:
[…] essa è, al suo attuale livello di sviluppo, abbastanza solida da garantire soddisfazioni e fiducia ma, allo stesso tempo, abbastanza poco sviluppata da offrire il tesoro di un mistero. [2]
Quando lessi la prima volta queste due righe, ne rimasi colpito, avevo sempre pensato a una teoria come a una cosa chiusa e definitiva, una formula matematica indiscutibile o da rigettare completamente. Mai avevo supposto l’evoluzione di una teoria, e che, quindi, anche la stessa teoria dell’evoluzione potesse avere un’evoluzione. Ora che avevo appreso questa possibilità, la possibilità stessa mi appariva ovvia.

Ecco, la faccenda dell’ovvietà. Per me, la teoria dell’evoluzione è ovvia. È un pregiudizio il mio, non la capisco nemmeno in tutti i suoi cascami, però avverto la forza della sua evidenza. Lamarck sosteneva che è l’ambiente a modificare il carattere e che questo veniva trasmesso alle generazioni. Più precisamente, la sua idea era che fosse l’uso di un determinato organo a modificarne la forma. L’ambiente imponeva uno sforzo di adattamento all’individuo e detto sforzo piegava l’organo alla necessità. Insomma, la giraffa, nel suo tendere alle tenere foglie dell’alta acacia, allunga le vertebre del collo, ed ecco che i giraffini nascono già con il collo più lungo. Le cose però non vanno come dice Lamarck. Darwin sostiene che l’ambiente incida sulle generazioni e non sugli individui. Di tanti che nascono, solo alcuni arrivano all’età riproduttiva, i più adatti, i quali trasmettono il loro patrimonio genetico alla figliolanza. Patrimonio sempre mescolato dall’unione sessuale, e, infatti, si parla anche di selezione sessuale, oltre che di selezione ambientale, una gara dove l’individuo ha qualche responsabilità in più e non subisce solo le avversità del destino.

Come sappiamo che Lamarck aveva torto e Darwin ragione? Per molti motivi, per molte prove e per molte evidenze e anche per qualche controversia, ma, in definitiva, per un motivo molto semplice: la teoria dell’evoluzione di Darwin spiega molte più cose o, se vogliamo, risolve molti più problemi della teoria di Lamarck, che, invece, si scontra con la realtà dei fatti. Nella scienza, infatti, non si parla di verità di una teoria, ma di funzionalità.

Per il mio studente, però, ovvio era il Corano e la teoria di Darwin era una mistificazione. Mi regalò un’edizione in italiano del Corano, libro difficile e affascinante. Si parla di Mosè, di Gesù, della creazione del mondo, ma tutto è detto come in prima persona, come se fosse lo stesso Dio a parlare e non come nel Vangelo, per esempio, dove vengono riportate le parole di Gesù da una pluralità di testimoni. Il cristiano, in definitiva, ricerca la voce di Dio dentro di sé e si affida alla parola del Vangelo per trovare la giusta strada. Parola fatta di parole riportate da testimoni, alcuni anche testimoni di testimoni e che direttamente non hanno conosciuto il Messia. [3] Il musulmano, invece, cerca Dio fuori di sé, nel mondo. Per aiutarlo c’è una sorta di manuale che non spiega come fare, ma è esso stesso Dio.

Scendendo ancora un po’ nel dettaglio, si possono dire altre cose. Il Vangelo è un libro di testimonianza e i testimoni sono pensati come veridici in quanto testimoniano le parole e gli atti di Gesù di Nazareth, il quale, oltre che uomo, era anche egli stesso Dio. Credo si tratti di una epifania di Dio in forma umana, ma non voglio dire eresie. Il Cristo, secondo i cristiani, porta all’umanità un nuovo messaggio, il Vangelo, appunto. Il Corano, se uno minimamente si informa, e come sa ogni musulmano, non è stato scritto da Maometto, il quale pare non sapesse scrivere, ma da quattro suoi discepoli. Quattro come gli evangelisti, verrebbe da dire, solo che i discepoli di Maometto si accordarono per un unico testo, mentre gli evangelisti scrissero ognuno il loro vangelo. Un’altra importante differenza sta nella lingua, i cristiani leggono solo traduzioni del Vangelo, tranne qualcuno che si inerpica sul testo greco che pure riporta la parola di qualcuno che non parlava in greco, ma in aramaico; mentre il Corano è scritto nella lingua di Maometto. [4]

Sapevo ora cosa rispondere al mio studente. Il Corano e la teoria di Darwin non sono in contraddizione, dissi, è il problema che è posto male. Non si tratta di decidere questo o quello, il Corano o Darwin, ma di pensare questo per quello, cioè Darwin e la sua teoria dell’evoluzione per comprendere la realtà. È la realtà che è Dio o, se vuoi, è Dio il reale e, come tale, non è mai interamente comprensibile. Anche il Corano è reale, è lì, ce lo abbiamo davanti, lo apriamo e lo leggiamo. La sua divinità sta nella sua realtà, nel fatto che esiste. Ora tu non mi dirai che comprendi tutto il Corano? gli chiesi, e lui mi rispose che nessun uomo riuscirebbe a comprendere un solo versetto del Corano in tutta sua vita, se non lo aiuta Allah. Bene, risposi, però quello che capivi 20 anni fa è meno o più di quello che capisci adesso del tuo libro. Convenne che era di più perché nel frattempo era cresciuto lui. Ecco, gli dissi per finire, la realtà è la realtà proprio perché, come il Corano, non ha mai finito di dirci quello che ci deve dire. E la teoria di Darwin è un tentativo dell’uomo, di noi uomini, di capire come funziona la realtà delle cose. Che poi uno chiami questa realtà Dio, natura, universo o in altri modi, poco cambia. Lui mi guardava perplesso. Fece un’obiezione: perché, mi disse, devo cercare la verità in una teoria di un vecchio inglese se ho già il mio Corano? Puoi bruciare la biblioteca di Alessandria come ha fatto quel tale che chiamava blasfemo tutto quello che non era Corano, [5] oppure leggere i libri per cercare di capire meglio il Corano, come Averroè o Avicenna, gli risposi, a te la scelta. Vidi il mio studente sorridere e annuire con la testa.

Il giorno dopo era il suo compleanno e arrivò in classe con un vassoio di pasticcini marocchini fatti da sua moglie. Erano spettacolari, un vero miracolo, sembravano non fatti da mano umana. Appena mi ripresi dallo stordimento iniziale, ancora scosso dal sapore celestiale di quei manufatti, pensai che le discussioni dividono gli uomini, mentre i pasticcini li uniscono. Ma, ancora una volta, il problema era mal posto: non possiamo mangiare sempre pasticcini, per quanto buoni essi siano, dobbiamo lasciare al corpo il modo di averne ancora il desiderio; per ammazzare il tempo, non c’è miglior modo che confrontare i nostri differenti punti di vista.


[1] Non David Herbert ma Thomas Edward.
[2] Il pollice del panda, nel Prologo.
[3] Ammettendo che di Messia si tratti e che il personaggio storico del Nazareno sia esistito, cosa per nulla pacifica.
[4] I musulmani credono che il testo stesso del Corano non possa essere cambiato e che non sia mai cambiato, in realtà antichi papiri trovati nello Yemen (i famosi Corani di San ‘ā’) mostrerebbero che il testo coranico è un assemblaggio di testi coevi, se non addirittura precedenti, a Maometto.
[5] Amr ibn al-‘Āş, nel VII secolo dell’Era cristiana.


Monfredo de Monte Imperiali Liber de herbis, Dibattito immaginario tra Averroè e Porfirio, XIV secolo

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