Kasparhauser





Rivista di cultura filosofica

2017


Home


Monografie


Culture Desk


Ateliers


Chi siamo


Info



Farla finita con guerra
di Leonardo Tonini


21 gennaio 2017



Bisogna farla finita con la guerra. Per fare questo è importante cercare di trovare una motivazione e un reale interesse che porti l’umanità verso questo traguardo. Bisogna innanzi tutto domandarsi perché sarebbe preferibile smetterla con la guerra e se davvero ci convenga come soluzione un mondo in pace, dove i conflitti vengano risolti per così dire “a tavolino” e non con gli armamenti. Bisogna prendere il problema senza infingimenti ideologici, buonisti, pacifisti. L’ideologia è, secondo Marx, quell’apparato di idee che serve a mantenere lo status quo. [1] Essere pacifisti vuol dire non guardare in faccia il problema, non vedere il piano della necessità etica della guerra, a vantaggio di una irreale moralità che lascia, nei fatti, tutto intatto. Vorrei provare a prendere il problema da un punto di vista filosofico.

Una cosa è bene rilevare, la guerra è stata un enorme propulsore dell’umanità, non solo da un punto di vista tecnologico, ma di espansione dell’umanità. Come per il clima, la causa della guerra ha fatto sì che gli uomini si spostassero e colonizzassero il globo. Questo è avvenuto con modalità attive (guerra di conquista) e con modalità passive (deportazioni, fughe da zone di guerra).

Secondariamente, la guerra ha sempre avuto in tutte le economie, da quella primitiva a quelle finanziarie capitaliste di oggi, un notevole peso. Nell’URSS si era arrivati che il 12-17% del PIL [2] era mosso per cause militari, e gli Stati Uniti di oggi spendono più dei primi 7 stati con le più alte spese militari nel resto del mondo. [3]

Terzo, la guerra è sempre stata un motore sociale di primaria importanza. Con la guerra, domini che parevano insensibili al tempo sono finiti nella polvere, imperi sono crollati, classi sociali ai margini hanno avuto posizioni egemoni.

La domanda quindi è: perché quindi non sussumere la guerra come elemento inevitabile, necessità dell’umanità? perché non accettare che l’umanità non è perfetta e che, come avviene per gli animali in Natura, si tratti in fondo di lotta per la sopravvivenza?

Io credo che non possiamo accettare questo scenario per vari motivi. Il primo è di ordine giuridico e possiamo, sintetizzando, chiamare: problema dell’innocente.

L’innocente è colui che subisce l’appartenenza a una categoria. Molti ebrei che durante il nazismo nemmeno sapevano di esserlo, non erano di religione ebraica, non erano vicini a movimenti o partiti ebraici, sono finiti ugualmente nei campi di concentramento. E così in ogni epoca e sotto ogni latitudine, l’uccisore si è trovato a uccidere una categoria prima che una persona, il negro, l’omosessuale, l’ebreo, il comunista, così come il bianco, l’arabo, il fascista, eccetera.

A questo proposito non voglio parlare di diritti umani, ma di giurisdizione. Un diritto è una faccenda filosofica che va al di là del singolo caso. Migliaia di morti non ledono la validità del diritto alla vita, ma questo ha solo, come ogni diritto, una efficacia di ispirazione, un potere non coercitivo — cosa che è propria del diritto (se no, entrerebbe in contraddizione con se stesso).

Ammazzare un essere umano perché lo si identifica con una categoria vuole dire considerare la categoria come più importante del singolo essere umano. Questo fatto non trova giustificazione perché significa rendere immagine mentale qualcosa che non può essere ridotto alla sua descrizione. È credere alla narrazione che ci viene propinata; è un comportamento psicotico danneggiare una persona in funzione della nostra allucinazione e non considerare l’unicità di quell’individuo.

Per unicità intendo appunto il suo non poter essere descritto, la non possibilità di trovare una descrizione esaustiva e definitiva di un individuo. Ecco perché far rientrare una determinata persona in una categoria e considerare poi questa categoria come più importante dell’individuo, non trova giustificazione giuridica.

Altro problema è che la guerra presuppone una volontà di dominio di una parte sull’altra, la quale è appunto basata sulla fede che sia possibile farlo. Questa fede, che è opposta ma uguale nelle due parti, genera appunto il conflitto. Ma appunto la fede oltre a essere irrazionale è portata a fallire perché nasconde la sua vera essenza che è la pretesa di voler stabilire un ordine nel caos. Caos non in senso negativo, ma come libero e incomprensibile, e inesausto, mutamento degli eventi. L’impossibilità cioè di poter mettere il fluire degli eventi, il futuro, in un ordine prestabilito e prevedibile.

Il terzo problema è che nessuno fa una guerra da solo, si tratta appunto di creare un apparato che trovi le risorse necessarie per muovere guerra a un altro apparato. Quindi si ha che la guerra non è figlia dell’uomo, ma dell’apparato. Apparato che ha come finalità non la guerra in sé, ma il mantenimento di se stesso, la durata e lo sviluppo di se stesso. Quindi, da capo, non ha giustificazione che un organismo burocratico tecnologico fatto di individui porti alla distruzione di individui da ambo le parti del conflitto. La Germania alla fine della seconda guerra mondiale ebbe più morti tra i propri concittadini non ebrei che tra gli ebrei. Ogni apparato che va in guerra mette in pericolo gli individui che dice di voler proteggere.

A questo punto mi si potrebbe dire che sì, in linea teorica potrebbe essere come dico, ma la realtà è un’altra, che la guerra c’è sempre stata e che non saranno certo le mie approssimative parole a fermarla. Al che io posso rispondere che il nemico dell’umanità è la guerra, e che questa è una verità incontrovertibile, anche se sono gli umani che la fanno. Ma la fanno perché non si rendono conto di essere innocenti di fronte a essa. Anche il padre che mette la cintura di esplosivo al figlio è vittima della pretesa di voler stabilire un ordine del caos, della fede che ciò sia possibile e compie un’azione che ha come primo risultato il mettere in pericolo l’apparato che si vorrebbe difendere. Ma ogni esempio è estremo, così il pilota d’aereo che dice a se stesso di colpire dei bersagli e non degli individui e chi incita alla violenza dagli schermi di un computer e chi, infine, si identifica in una appartenenza quale essa sia, pur di non accettare la continuamente risorgente aleatorietà della vita.

Quindi, che fare? Come intellettuali, ritengo non un male imporsi l’imperativo di farla finita con la guerra, e creare quindi un apparato concettuale che contrasti il meccanismo dell’odio. Un meccanismo che si sviluppa oggi dai concetti di appartenenza e di identità e da un modus del pensiero che tende a semplificare e a non prendere in considerazione la complessità. Trasformando, quindi, i conflitti in uno schema binario (bianco/nero, giusto/sbagliato ecc.) La critica a questo sistema binario, semplificatorio, potrebbe essere una delle sfide della filosofia nei prossimi anni. Bisogna, io credo, togliere agli individui qualsiasi pretesto che giustifichi una azione violenta e organizzata su altri individui messa in atto con il presunto fine di mantenere un apparato visto come insostituibile — e che ha invece come unico effetto positivo quello di rimpinguare le casse dell’industria degli armamenti.


[1] Lettera di Karl Marx a Ludwig Kugelmann del 17 aprile 1871, riportata in L. Althusser, “Gli apparati ideologici dello Stato”, citato in E. Doyle McCarthy, La conoscenza come cultura: la nuova sociologia della conoscenza, trad. di A. Zanotti, Meltemi, Roma 2004.
[2] Studio condotto da John M. Collins, per il Congressional Research Service degli Stati Uniti, nel 1985.
[3] Stockholm International Peace Research, aprile 2016. (663.255.000.000 dollari a fronte di 567.000.000.000 di Cina, Arabia Saudita, Russia, Regno Unito, India, Francia, Giappone).



Thomas Cole, The Course of Empire: Destruction, 1836

Home » Ateliers » Etica

© 2017 kasparhauser.net