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Osho e l’omosessualità
di Leonardo Tonini


25 giugno 2016



Ieri, su consiglio di un amico, mi sono preso e letto un libro di Osho, il filosofo indiano più conosciuto in occidente. Conoscevo la sua storia, ma non avevo mai letto un testo suo dall'inizio alla fine. Un libro edificante, [1] pieno di idee interessanti e esempi che riportano i concetti più ineffabili al quotidiano, alla vita pratica. Io avevo qualche pregiudizio su di lui perché Osho è un marchio registrato da una multinazionale [2] che ne cura gli interessi e che diffonde il suo verbo alquanto acriticamente, e che appunto non ha lo scopo di studiare il pensiero del maestro, ma di diffonderlo pedestremente. Insomma, tutto questo potrà risultare antipatico a qualcuno (e mi metto nel gruppo), ma non è una buona scusa per non prenderlo nemmeno in considerazione. In fondo, Osho è uno dei più importanti pensatori della modernità e ha una influenza come pochi altri filosofi. [3] Può non piacere, possiamo storcere il naso finché vogliamo, ma evitarlo è un po’ come non voler studiare Pinocchio di Collodi perché è un libro per bambini. Fosse anche solo un fenomeno di costume, sarebbe un fenomeno di costume che da mezzo secolo ha diffusione globale. Evitarlo perché non si è laureato a Heidelberg, mi sembra riduttivo.

In Germania è uscita recentemente l’edizione critica del Mein kampf [4] di Adolf Hitler, ed è stata una mossa interessante. Si è voluto cioè far analizzare il libro da studiosi così da farlo uscire dal demi-monde dei nostalgici e dei revisionisti. Non si è voluto, come ha sostenuto qualcuno, dare importanza a un libro nefasto, ma solo trattarlo da libro, al pari degli altri, per decostruirlo e ricondurlo alla sua giusta importanza di documento storico, di un periodo storico ben preciso. Si è voluto, in definitiva, poter rispondere a chi ne fa la bibbia di chissà quale antistorico avvento. Perché non dovremmo fare altrettanto con i libri di Osho?

Mi sono goduto la lettura del libretto, invero abbastanza smilzo, fino al capitolo dove il nostro maestro parla di omosessualità. Il simpatico Osho premette subito che non vuole porre un giudizio sulla questione e che accetta il fatto che molti siano omosessuali, è sempre accaduto. Poi, ponendosi sempre come colui che sa, che non ci vuole indottrinare ma semplicemente dirci come stanno in realtà le cose (lasciando a noi la libertà di cambiare o non cambiare il nostro pensiero atteggiamento alla luce di quanto ci ha appena rivelato), ecco che definisce l’omosessualità una perversione e uno stato immaturo della sessualità umana. Naturalmente ne dà una spiegazione coerente con la sua personale teogonia. I bambini di 10 anni sono tutti omosessuali, è una fase della vita, poi si cresce. L’omosessuale è una persona che non è cresciuta, lo si vede anche a occhio dall’aria fanciullesca che hanno molti di loro (gli occhi da cerbiatto, le mossette, la voce stridula). Una persona che ha superato questa fase è etero sessuale perché solo così può partecipare dell’amore fisico che è l’unione di Yin e Yang, femminile e maschile. Senza questa unione non può avvenire la vita, cioè l’energia che permea l’universo non può passare da noi alla nostra discendenza, è ferma, bloccata. Quindi, conclude, se tu vuoi essere omosessuale io non ti giudico, ma adesso sai perché sbagli e se lo vorrai ti posso aiutare a guarire.

Ci sono molti pregiudizi nelle parole di Osho. Già il fatto che dica di accettare qualcosa, è un pregiudizio. Accettare è come tollerare, è una concessione che innalza chi la fa e umilia chi la riceve. Anche chiamare perversione l’omosessualità [5] è considerare una norma e ritenere che questa norma sia giusta, corretta, sana, valida, morale, diversamente da ciò che da questa norma si allontana. Il pregiudizio più grande di Osho, e che non è limitato solo a questo argomento, è però un altro — la gerarchia valoriale. Da una parte, infatti, dice di accettare tutti i livelli (altra parola ambigua) della natura umana e lo dice con parole alate: il loto nasce dal fango e quindi senza il fango non avrei il fiore. Ma dall’altro presuppone l’esistenza e la correttezza di un tragitto che va dal fango al fiore di loto. Nel suo sistema di valori, la masturbazione sta in basso (lo dice nello stesso articolo), poi c’è l’omosessualità appunto, quindi l’amore etero e per finire l’amore spirituale e universale. Un adulto che si masturbi ha chiaramente dei problemi, dice.

Il fatto è che se anche volessimo dare ragione a Osho, nel dire per esempio che gli omosessuali sono immaturi, ci dovremmo porre sempre delle domande che non trovano risposta nelle parole di Osho. Chi ci dice in definitiva che non essere immaturi sia meglio? A rigore: chi ci dice che essere sterili (non avere discendenza) sia peggiore o migliore di non esserlo? Dove sta scritto che preservare l’umanità sia un bene in sé? sarebbe molto utile per noi, d’accordo, e magari anche gradevole, ma se pretendiamo, come pretende Osho, di porre delle basi di verità a un enunciato, o anche solo semplicemente dotarlo di senso, bisogna andarci molto cauti.

La pretesa oggettività delle affermazioni di Osho, la coerenza interna alle sue teorie di organizzazione del mondo e della vita, è motivata da un episodio che capitò al nostro all’età di 22 anni, l’illuminazione. Questo è l’atto fondativo di tutto il suo pensiero, cioè non l’atto da cui prende avvio per deduzione logica il suo cosmo, ma che ne dà giurisdizione in quanto rivelazione, che lo fornisce di autorevolezza. Il suo ragionamento è: quello che ho detto è vero in quanto io ho avuto l’illuminazione. Ora, che cos’è l’illuminazione? Non si può spiegare a parole e meno che mai a chi non l’ha vissuta su di sé. Essa è “L’istante in cui la goccia si fonde nell’oceano, nell’attimo stesso in cui l’oceano si riversa nella goccia”, [6] per usare le sue parole. Non che sia preclusa a nessuno, se si seguono le giuste tecniche e si ha un maestro valido, ci si può arrivare. Chiaramente, io l’illuminazione non l’ho avuta e quindi posso solo prendere per buone le parole di Osho, ma qualche dubbio, frutto della mia mente ottenebrata mi rimane. Per esempio, com’è che una mente tanto illuminata mi scrive nel 1970 una cosa che sa così tanto dell’epoca in cui è stata scritta? come mai cioè chiama perversione l’omosessualità proprio come si diceva allora che fosse? e come mai mi parla di gerarchia come chiunque sia avvezzo fin dall’infanzia all’esistenza delle caste? come può sostenere che l’illuminazione non si può dire, ma le conseguenze di questo atto ineffabile si possono dire? Ancora: come è possibile che una esperienza eccezionale serva da dirimente per esperienze quotidiane?

Si potrebbe affermare che i discorsi di Osho costituiscano un gioco linguistico, accettato da tutti quelli che credono nella illuminazione e nella conseguente superiorità morale ed esperienziale di chi l’ha ricevuta. Il gioco linguistico della credenza religiosa, cioè dell’esistenza di un certo evento, o una serie di eventi, non verificati e però accettati, senza possibilità che vengano falsificati. Lo facciamo un po’ tutti, in continuazione, anche perché non è che stiamo a verificare scientificamente tutto quello che riteniamo giusto, un po’ di approssimazione, o meglio una sintesi, è necessaria alla vita. Il pericolo però è di trarre delle conseguenze logiche dal nostro sistema ideologico, e far pagare a qualcuno queste conseguenze — senza chiedere notizia a questo qualcuno della sua Weltanschauung. Se, per esempio, prendiamo per buona la teoria che esistano razze umane superiori e inferiori, è probabile che qualcuno possa ritenere come dannose certe razze e decidere di eliminarle, per la buona salute dei migliori. Così come ritenere l’omosessualità una malattia e proporsi come cura. [7]

Ora io non prendo partito contro Osho. Lo trovo, nonostante quello che ho scritto, interessante e anche edificante e consolatorio, e non è detto che sia un male esserlo. Ma lo trovo umano. Cioè fallibile, contrariamente a quello che lui abbia pensato di sé e di quello che pensano i suoi adepti. Non cestino tutto quello che dice solo perché sui gay mi presenta un modo di vedere che non era neppure progressista ai tempi in cui lo scrisse. Sarebbe come giudicare Heidegger per il discorso di rettorato, e fermarsi a quello. E volutamente metto Osho sullo stesso piano del filosofo di Meßkirch, prendo cioè i libri di entrambi come testi e nulla più.


[1] Osho, Segreti e misteri dell’eros, Feltrinelli, Milano 2016.
[2] La OSHO International Foundation, con sede a NY.
[3] Il Wittgenstein delle religioni, lo definirà Peter Sloterdijk suo discepolo negli anni ’70 col nome di Dhyan Peter.
[5] Nel DSM-I (1952): disturbo sociopatico della personalità, in quanto presupponeva la volontà dell’omosessuale di opporsi alla società e alle tradizioni morali; nel DSM-II (1968): deviazione sessuale, insieme alle perversioni (pedofilia, necrofilia, feticismo, vouyerismo, travestitismo, transessualismo). Dal DSM-III (1974): non è più una patologia. [6] Dai Cenni sull’autore, postilla al testo.
[7] Scritta la bozza di questo articolo, mi arriva la notizia della strage di Orlando.



Sergio e Bacco, icone VII secolo, Kiev Museum

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