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Gran Bretagna:
Ambivalenze politiche e aporie spaziali*
di Roberto Fai

27 giugno 2016


A partire dalla scoperta del Nuovo Mondo, con la piena circumnavigazione della terra, sarà il grande Mare Oceano a dettare le leggi della supremazia nel mondo. D’ora in poi, a muovere via via la storia, non saranno più quei paesi europei e continentali, affacciati ad un mare ‘interno’ — nostrum — come il Mediterraneo, ma quel popolo, quelle popolazioni espressioni di vere e proprie “schiume di mare”. Saranno, quest’ultime, ad essere direttamente destinate ad imporre così il proprio incontrastato dominio sul libero Oceano: un altro, immenso, sconfinato mare. Al punto che, ad esempio, quella dell’Inghilterra fu davvero una sorta di «conversione elementare».

Con accenti suggestivi, Carl Schmitt ha saputo infatti raccontare la Entankerung dell’Isola britannica — il suo disancoraggio —, la conversione al suo vero elemento: il mare. Con una radicale e inedita conseguenza: «A partire da questo momento, l’Inghilterra non può essere più considerata come appartenente al continente europeo. Essa ha reciso il suo connubio con il continente per celebrare quello con l’oceano. [...] Essa ha levate le ancore e da quel tempo si è staccata da terra. Da parte della terra che essa era, si è trasformata in una nave, per non dire in un animale marino» (C. Schmitt, Il mare contro la terra, 1941). Infatti, la madrepatria Inghilterra mai conoscerà “Stato” alla maniera del vecchio Continente, ma solo l’ansia dell’andare: «L’isola stessa però, la metropoli di un tale impero mondiale, costruito sulla esistenza meramente marittima, venne in tal modo sradicata e deterrestrizzata. Essa è in grado, come una nave o come un pesce, di nuotare verso un’altra parte della terra giacché è ormai solamente il centro mobile di uno sconnesso impero mondiale esteso su tutti i continenti». (C. Schmitt, Terra e mare, 1942).

Potremmo dire che, in fondo, parte da qui, si radicalizza e andrà “compiendosi” quel processo cui potremmo dare il titolo di talassizzazione del “politico” e che segnerà, tra fine Ottocento e per il ’900, l’affermarsi pieno della nuova potenza geopolitica americana. Sarà sempre Carl Schmitt a indicare il senso destinale di quell’ulteriore “de-cisione” che, dall’Inghilterra, non potrà che approdare al Nuovo Mondo. Non a caso, l’Inghilterra resta, anche per Schmitt, pur sempre un’isola: prenderà il largo, si trasformerà in nave, ma mai diventerà, né potrà diventare un “continente oceanico”. Essa inaugura certamente lo scardinamento di un ordinamento che abbia una sua pura e mera “localizzazione”, ed ogni rapporto costitutivo con la spazialità, ma a decretare la fine di un ordinamento localizzato, a sancire ed incarnare appieno lo spirito sradicato saranno gli Stati Uniti. Sarà l’Impero americano ad incarnare il volto dell’Utopia realizzata nella tecnica: l’unico potere, quest’ultimo, in grado di erigersi a potenza infinita. Verrà scrivendo, infatti, Schmitt che, «l’Inghilterra stessa, a seguito dello sviluppo moderno, è diventata troppo piccola e per questo non è l’isola nel senso sino ad ora invalso. Gli Stati Uniti d’America sono invece la vera isola adeguata ai tempi […]. L’America è l’isola più grande dalla quale l’appropriazione inglese del mare sarà eternizzata» (C. Schmitt, Terra e mare, cit.). Ed è stato così che l’America è diventata Mondo: utopia perfetta, realizzata, senza origine né memoria, né passato, né domande di “autenticità”. Liquidità compiuta: perenne attualità di uno spazio infinito.

La Gran Bretagna porta così impressa nei suoi codici costitutivi, ancora nel nostro tempo, quell’appartenenza ‘geopolitica’ che sta a metà strada tra la sua “collocazione spaziale” sulla soglia del vecchio Continente europeo e lo sguardo mentale rivolto agli Usa, alla sua cultura, ai suoi canoni, ai suoi “valori” — nel doppio senso: ideali e “materiali”. Infatti, basterebbe seguire ancora Carl Schmitt quando scriveva (Il Nomos della Terra, 1949) che «L’isola britannica restò parte di quell’Europa che costituiva il centro dell’ordinamento planetario, ma nello stesso tempo si staccò dal continente europeo, venendo a costituire una posizione storica intermedia, grazie alla quale fu per tre secoli of Europe, not in Europe».


* Il presente articolo riprende e sintetizza alcuni passi tratti dal volume: R. Fai, Frammento e sistema. Nove istantanee sulla contemporaneità, Mimesis, Milano 2013 [cap. 3, “Potenza del mare e justissima tellus”]



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