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come si accede al pensiero





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2012


Philosophical culture quarterly


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Ancor più radicalmente: come vengono create le situazioni in cui una scelta può dirsi arbitraria o lecita?
di Silverio Zanobetti



Le situazioni in cui una scelta può dirsi arbitraria o lecita vengono create e tale creazione è molto complessa e pervasiva e ha poco a che fare con il dualismo stato/teocrazia e moralità/coscienza personale. Credo, proprio per quello che ho detto or ora, che non si possa, nonostante l’etica della compassione, prescindere dalla ragione nella determinazione dei modi di un agire morale (anche se l’agire morale può determinarsi in opposizione ad un orientamento conforme a ragione): su questo è d’accordo anche Nietzsche. Bisognerebbe evitare l’errore, sostiene Nietzsche, di definire il problema morale in un ambito puramente logico-ontologico (con conseguente interazione tra logico e ontologico). La morale del razionalismo e del nichilismo (ermeneutica, pensiero debole, il nichilismo insito nell’approccio di Severino) parla di errore pratico scaturente da un errore teoretico. Ma allora l’etica non sarebbe più qualcosa che ha a che fare con gli individui viventi e il loro agire, bensì con qualcosa che i viventi formulano sui modi della definizione linguistica del loro agire. Al contrario, se il pensiero è “un passaggio di Vita che attraversa il vivibile e il vissuto”, ciò non è un’affermazione postmoderna, spontaneista, esornativa e a-critica. In un pensiero si vuole sempre una forma di Vita, ma una forma perdio sì. Forma qui non sta per l’universalità astratta e trascendente quanto per la genesi reale dei processi di attualizzazione e di differenziazione dei singoli individui empirici. Anche il particolare empirico è astratto, tra parentesi.

Il significato etico delle azioni è nello stesso tempo metafisico, cioè oltrepassa il semplice apparire delle cose e dunque anche ogni possibilità dell’esperienza: perciò deve essere nel più stretto rapporto con l’intero esserci del mondo e con il destino dell’uomo. Schopenhauer evita ogni descrittivismo etico e ogni formalismo etico. Una ragion pratica a cui è inerente un precategoriale. Abbandonare anche ogni intuizione dell’originario (semplice empatia, sentimento, emozione ecc.). Il precategoriale può essere definito, partendo dalle considerazioni di Schopenhauer, come comprensivo della ragione medesima, come luogo in cui la ragione medesima cade, dunque più ampio e fluido rispetto alla stessa nozione in Husserl, ad esempio. Una ragione disvelata, non fondativa, né autorefernzialmente categorizzata, non riconducibile a schemi linguistico-concettuali ben chiari e distinti. Un precategoriale come luogo del conflitto tra le individualità molteplicità e del conflitto interno ad ogni individualità, conflitto tra Eros e Thanatos. Questo luogo è la referenza della scelta per l’agire e della scelta per l’agire etico, un luogo pulsionale per una motivazione, in cui la pulsione viene anche “detta” e perciò mediata, ricondotta a ragione. In Schopenhauer la scelta per l’agire non risiede in un dato solamente razionale, ma non risiede neanche nell’indicibile sentire, intuire ecc.. Il precategoriale è mediazione tra l’astrattezza del concetto e l’intuizione di ciò che precede il concetto. In quel luogo volitivo e pulsionale c’è la motivazione per una scelta dell’agire, ed è nella dimensione concettuale che risiede l’orientamento per una scelta inerente al prendersi cura o meno della relazione, dell’insuperabile conflitto nella identità ontologica.

In Schopenhauer l’etica nel suo pensare l’esistenza è il trascendere l’immediato-viversi da cui comunque non si può prescindere. L’etica si costruisce a muovere da una premessa che alla vita guarda obliquamente, cioè tramite il coglimento di uno spazio esistenziale nel suo pensare su se stesso. Si tratta di una premessa inerente ad un procedimento conoscitivo in cui la ragione, quale funzione progettuale dell’ente riveste un ruolo centrale. Nel suo essere funzione di progetto, sulla scorta dell’agire nel presente e del pensare il presente, ed anche sulla scorta della memoria di un agito e di un pensato, la ragione depotenzia l’immediato-viversi dell’esistenza, ma non per dimenticare la vita bensì per cogliere la vita al di là delle forme di presenza di questa. Questo procedimento è imprescindibile per l’etica di Schopenhauer e per quella di Nietzsche, perché nel definirsi di un orientamento per l’agire, di un progetto, anche si determina quale situazione generale di trascendimento; senza questo esercizio di ragione, non vi sarebbe la possibilità di oltrepassare l’idea stessa di una differenza intesa come esclusivamente individuale, sarebbe impossibile prendersi cura della relazione – secondo le connotazioni del concetto di precategoriale; secondo un’idea di mediazione tra un prima e un dopo rispetto alla ragione, tra un vitale ed un meditato autopensarsi. Il procedimento razionale sospende la conflittualità nella presenza dell’apparire dell’Essere ed obliquamente allude alla quiete conflittuale dell’Essere stesso. Ecco perché Schopenhauer definisce l’etica territorio della quieta meditazione in cui si è in grado di sopportare e superare “le tempeste della realtà in atto” e di sollevarsi al di sopra dell’“influsso del presente”. L’etica come segno della distanza, nell’errare, rispetto all’erranza, quella distanza che in quanto distanza consente di orientare l’erranza medesima. Non è una distanza come prius rispetto all’esistenza (per evitare il logicismo alla Severino) ma neanche come posteriore rispetto all’esistenza (mera immanenza del razionalismo).

Eros e thanatos

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