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Andrej Tarkovskij: Il tempo scolpito e l’eredità perduta | Kasparhauser 15
A cura di Guidfo Cavalli e Lorenzo Lasagna




Introduzione

Luglio 2017


A trent’anni dalla sua scomparsa, abbiamo voluto raccogliere alcune riflessioni, nel tentativo di riguardare all’opera di Andrej Tarkovskij come ad uno dei momenti necessariamente rari, nei quali l’arte ambisce ad essere non messa in scena, rappresentazione oppure metafora — ma apparizione di qualcosa di vero.

E basterebbe questo per iniziare a riflettere sulle peculiarità del cinema di Andrej Tarkovskij, ovvero sulle ragioni per cui esso sia, forse il più grande, ma in ogni caso il “meno cinematografico” tra tutti i registi. Per la forza con cui ha voluto oltrepassare lo stilema, il codice, la convenzione. Per la fermezza con cui ha voluto distaccarsi e a tratti persino negare quell’idea di cinema che si è ormai fermata come sedimento di una narrazione drammaturgica, nella quale il gesto “artistico” — che nella specificità del linguaggio cinematografico è movimento — coincide con la scansione artificiale del discorso e con la struttura (psicologistica, soggettiva) del racconto. L’opera di Tarkovskij è tutt’altro. Essa guarda al luogo in cui s’incontrano le tradizioni figurativa occidentale e iconografica orientale — per congiungerle. Diversamente dal cinema affermatosi nell’ultimo trentennio, in Tarkovskij il gesto è anzitutto il movimento temporale dell’immagine, ovvero il tendere (o l’aspettare) delle cose verso ciò di cui esse sono immagine, in uno sguardo che è ora contemplazione quieta e trattenuta, e ora è un trascorrere, un pellegrinare verso un eschaton che lascia trasparire un diverso — ormai purtroppo dimenticato — rapporto tra immagine e verità.

Chi, quale autore accetterebbe oggi di definire il proprio cinema come un percorso di verità? In questa sua radicalità, la lezione di Tarkovskij costituisce senz’altro una pista abbandonata, una tensione lasciata cadere e rigettata.

Quali categorie organizzavano la sostanza, l’essenza costruttiva dei suoi film? Categorie arcaiche come bellezza, significato, speranza, mistero. Concetti oggi fortemente sospetti, e perciò banditi da ogni possibile poetica — ammesso che ancora possa darsi, una poetica.

È ben chiaro come quello sforzo, nel suo tendere, si allontanasse irrevocabilmente dall’idea d’arte o di cultura come la conosciamo e frequentiamo nel nostro contemporaneo. E abbia fatto del suo cinema una scuola senza eredi — fatto salvo, abbiamo detto, qualche epigono di maniera, qualche riferimento esteriore, qualche innocua riconoscenza. “Da tempo non riguardiamo i suoi film”, è stata subito anche la nostra constatazione. Ci separa, da quelle opere, una distanza sempre più ampia, sempre più difficile da ricomporre. E col tempo trascorso, con la lontananza sopraggiunta, cresce il rischio di non riconoscere più il quel linguaggio, e lasciare che esso scivoli nella passività del segno estetizzato… Ciò che puntualmente è accaduto, generando l’equivoco di un autore letterario ed concettuoso, che invece Tarkovskij non fu.

Abbiamo così provato a cogliere l’occasione di questa ricorrenza da una parte per appuntare, in ordine sparso e per cenni, cosa Tarkovskij ci ha lasciato da pensare, da domandare, o anche solo da cercare di vedere. E dall’altra anche per portare un doveroso se pure modesto omaggio a un artista che, ai nostri occhi, non si è sottratto a quell’esercizio di verifica di ciò che siamo e alla responsabilità di predire ciò che ci attende, che dovrebbe essere sempre l’arte.
GC e LL


Credit: Greg Ruth, https://blackdragonpress.co.uk/collections/all/products/ivans-childhood-metallics-variant


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