Rivista di cultura filosofica
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La freccia del progresso tra ragione e potenza
di Roberto Fai
25 giugno 2020
Promossa e suggerita il più delle volte da strategie editoriali, è frequente da tempo la tendenza a dar vita a pubblicazioni finalizzate a riflettere sul destino di alcune parole-chiave, affidandone la stesura e la cura a prestigiosi studiosi ed intellettuali i quali su tali parole-chiave o hanno già offerto in precedenza un contributo speculativo, oppure, per la loro competenza specifica, sono in grado di misurarsi sulla persistenza o sul mutamento di senso che tali parole-chiave sono in grado di estrinsecare oppure verificarne leventuale lineffettualità o lusura determinata per il corso del tempo , offrendone pertanto la loro inedita significazione allinterno di una costellazione concettuale più corrispondente alle domande ed alle istanze conoscitive del presente. In altri termini, la finalità culturale di tali brevi saggi consiste innanzitutto in una sorta di verifica del valore euristico di queste categorie di pensiero che, ricorsivamente e carsicamente, riemergono nei diversi frangenti storici o nel quadro di svolte epocali. Comprensibile, pertanto, che lesame di alcune di queste «parole controtempo» possa esprimere il sovraccarico della loro densità storico-concettuale, esplicitando uno spettro di analisi allaltezza della contemporaneità. È dentro questo vettore che le edizioni del Mulino, in questi ultimi anni, hanno promosso proprio la collana Parole controtempo, allinterno della quale sono già usciti alcuni volumi, curati da studiosi diversi: Salvatore Natoli, su Perseveranza che ho avuto il piacere di presentare a Carpi, insieme allautore, qualche anno fa, in unedizione del FestivalFilosofia di Modena , Gabriella Caramore, su Pazienza, Stefano Zamagni su Prudenza, il compianto Remo Bodei, su Limite, Franco Cardini, su Onore, Manlio Graziano su Frontiere, Franco Garelli, su Educazione, Carlo Galli, su Sovranità, Marco Aime, su Comunità, solo per citarne alcuni.
Su Limite, di Remo Bodei, ne abbiamo già scritto, qualche anno fa, sempre su questa Rivista, e a tale recensione rimandiamo il lettore, eventualmente incuriosito. Qui, il nostro interesse è rivolto al lavoro di recente pubblicazione (aprile 2020) sulla parola Progresso, attorno a cui Aldo Schiavone riesce a condensare, in un libricino di appena 136 pagine, oltre che la sua intensa e brillante competenza di studioso, anche la suggestione di uno sguardo ottimistico benché lottimismo costituisca solo una Stimmung, non sufficiente per connotare sul piano della riflessione speculativa la produttività della parola in questione che lo porta a scrivere che ancora oggi «lidea di progresso» è davanti a noi e alle sfide che il tempo a venire pone allumano, stagliato inevitabilmente e destinalmente su quella soglia che congiunge, nella loro ontologica relazione, natura (umana) ed artificialità (frutto della cultura), physis e tecnica. Sia chiaro, le intenzioni e le finalità del pur breve e intenso libro dellautore sono totalmente altre da quelle che avevano mosso, nel 1984, Gennaro Sasso nel dare alle stampe un saggio memorabile Tramonto di un mito. Lidea di progresso fra Ottocento e Novecento (il Mulino) , in cui lintera costellazione di pensiero filosofico e letterario (da Flaubert a Nietzsche, da Comte a Darwin, da Freud ad Heidegger con la singolare assenza di Walter Benjamin) era passata in rassegna. Aldo Schiavone è un raffinato storico del diritto, autore, nel 2005, di un corposo e notevole saggio, Ius. Linvenzione del diritto in Occidente (Einaudi). Testo che, dopo aver consacrato la fama internazionale dello studioso, è tornato, arricchito, in una nuova edizione nel 2017. Più recentemente, lautore ha dato prova della sua straordinaria competenza di storico e di studioso pubblicando un altro ampio e denso saggio, dal titolo Eguaglianza. Una nuova visione sul filo della storia, sempre con Einaudi (2019). Anche questaltra categoria, o idea-forza che se non è certamente una parola controtempo, costituisce semmai un tema attualissimo di studio, stretto nella morsa delle contraddizioni del tempo globale , così fondamentale per il pensiero politico, è riproposta dallo studioso lungo la suggestiva scansione delle sue vicissitudini storiche: dalle aporie che hanno connotato lEguaglianza nel pensiero e nellesperienza della grecità, per giungere poi al periodo della romanità luogo di invenzione dello Ius , così segnata dalla novitas dellevo cristiano, sino al medioevo e poi allinterno della svolta impressa dalla stagione del Moderno.
Anche la profonda suggestione di questo lavoro di Schiavone sullEguaglianza consiste, a mio parere, sia nella straordinaria ricostruzione concettuale che questa categoria sperimenta nellesperienza greca e nella filosofia dei grandi pensatori e qui Schiavone offre con acume le 'ragioni della giustificazione aristotelica della schiavitù per natura , che nel controcanto differente delleguaglianza espressa dalla cultura giuridica romana, per riflettere sulle istanze del paradigma 'espansivo delleguaglianza nel tempo moderno, giungendo infine alle attuali contraddizioni dellepoca globale. Qui, le importanti riflessioni dellautore sono rivolte sullurgenza di slargare il raggio di una presenza sostanziale delleguaglianza il cui senso è prosciugato dalle profonde disparità, ingiustizie e diseguaglianze delle nuove forme del capitale che minano la condizione presente , sino al punto da incrociare, sul piano della proposta teorica, i temi di quel pensiero dellimpersonale, su cui in questo decennio sè misurata lintensa ricerca di Roberto Esposito, ma approfondendone le differenze rispetto a questultimo. In Esposito, come noto, laccento posto sulla produttività politica di un pensiero dellimpersonale è teso a cogliere il vettore in grado di inscrivere lindividuo o i soggetti declinati col timbro etico della terza persona: cogliendo qui il 'cuore del pensiero di Simone Weil , lungo la trama di una biopolitica affermativa. In altri termini, non nellaffermazione progressiva di una 'normatività che si imponga sulla vita, bensì di una normatività che scorga dalla vita stessa: vale a dire, dallistanza affermativa di una 'politica della vita, anziché una 'politica sulla vita. Le finalità di Schiavone tendono piuttosto ad approfondire un pensiero dellimpersonale, scandito lungo lasse di una piena affermazione dellidea di uguaglianza. Come scrive lo stesso autore, a «costruire una teoria delleguaglianza come proiezione primaria dellimpersonalità dellumano sul piano sociale, etico, giuridico» (A.S. Eguaglianza, p. 285). Nel senso che, per lautore, la soglia di giuntura che può tenere insieme entrambi i corni della questione impersonalità ed eguaglianza risiede in «un processo che ha il suo centro non nei soggetti le persone, gli individui ma negli oggetti: non dallinterno, per così dire, ma allesterno di ciascuno di noi; nella struttura della realtà sia naturale, sia artificiale; o almeno, in quella sua parte condivisa dallumano nel suo insieme. Una sfera, questultima, in continua espansione, grazie ai meccanismi di controllo e di trasformazione che la tecnica introduce con forza sempre maggiore non solo nellambiente che ci circonda, ma nella nostra stessa configurazione anatomica e biologica: sulla materialità dei nostri corpi, determinandone il destino» (Eguaglianza, p. 293, corsivo nostro).
Tuttavia, non potendo più proseguire qui in una riflessione che scandagli ulteriormente le differenze teoretiche tra i due studiosi, possiamo cogliere semmai, già nel passo citato, il punto di vista di Schiavone che anticipa i suoi vettori di pensiero che ci conducono allidea di progresso. Aggiungiamo, peraltro, come è già affiorato sopra, che se appare certo che i temi e lo 'sfondo concettuale di questa sua importante ricerca storico-politica sullidea di Eguaglianza rimandano uneco che ci conduce alle pagine in particolare in quelle finali del suo più recente e breve saggio Progresso, non possiamo sorvolare su un altro antecedente teorico che, come un fil rouge, esplicita ed informa il senso del recente libricino di Schiavone che qui proviamo ad esaminare. Di più, diremo piuttosto che è proprio questaltro, breve saggio, ancora precedente a Eguaglianza, che consente di poter individuare nella ricerca di Schiavone una sorta di trittico che lega lultimo Progresso, sia a Eguaglianza che a quel Manifesto per un nuovo umanesimo, che lautore ha elaborato nel 2007, condensandolo nelle pagine del suo Storia e destino, pubblicato sempre con Einaudi. Ma prima di addentrarmi lungo le trame di questo suo ultimo Progresso, mi corre lobbligo di riprendere alcuni rilievi critici, su Storia e destino, che formulavo, nel 2012, nelle pagine introduttive del mio saggio Frammento e sistema. Nove istantanee sulla contemporaneità, che Mimesis avrebbe pubblicato lanno successivo.
Dando al mio saggio quel titolo, attraverso la coppia Frammento e Sistema, intendevo esplicitare il dilemma del nostro tempo, nella doppia aporia che legava i due termini della relazione nel compimento pieno dellepoca globale. In altri termini così nel mio testo , registravo il paradosso di una unità del mondo, raggiunta nella sua compiutezza reticolare (il sistema) attestata dalla Global Age, pur nella visibile e sconcertante dissimmetria di poteri e nellaccentuarsi insopportabile delle diseguaglianze sociali, ecc. , che lasciava i soggetti, divenuti così sparsi frammenti, disorientati e spaesati nel mondo. Proprio quando il mondo sembrava essere risolto nella totale trasparenza delle sue immagini e telerappresentazioni stante che la globalizzazione ci dava già allora il mondo interamente in presa diretta con se stesso si fosse spenta ogni immagine di futuro, sì che al posto della dimensione del tempo e della temporalità, fosse già allora lo spazio, la spazialità, a dominare la scena, così da delineare quale dispositivo di espressione e rappresentazione del reale la mera puntualità del presente immobilizzante. In altri termini, come nellepoca della raggiunta e compiuta circolarità sistemica del mondo, anziché una veduta panoramica e una trasparenza delle immagini del mondo, venuto meno il classico e tradizionale lessico ermeneutico di comprensione della realtà, tutte le nostre immagini si fossero scolorite, facendo tutti noi fatica ad afferrare quella che Jean-Luc Nancy definiva il senso del mondo. Quasi che una condizione di vuoto una sorta di pagina bianca si fosse installata dentro il nostro vocabolario filosofico, aprendo uno scarto irreversibile tra il linguaggio e le cose, le parole e il mondo, i concetti e gli eventi, laccadere e il senso, il nostro agire comune e la possibilità di dare ad esso una inedita, rinnovata configurazione politica e conoscitiva. Al punto che la perdita di significazione di una serie di categorie concettuali che avevano scandito la vita pratica e le varie voci del vocabolario filosofico-politico rappresentanza, sovranità, popolo, cittadinanza, democrazia, progresso, ecc. , si riflettesse non nella semplicistica immagine di un sistema ridotto in frammenti, bensì nelle trame opache di un sistema in grado di funzionare proprio attraverso la-dialettica presenza di tanti sparsi frammenti (soggettivi). In altri termini, Sistema e frammenti, tenuti insieme nella loro paradossale ed aporetica connessione irrelata.
Da qui proseguivo nel mio saggio , la presa datto della nostra estrema difficoltà conoscitiva ed esistenziale, segnata dalla consistente fatica a far emergere forme di pensiero in grado di poter corrispondere alla comprensione della contemporaneità. Paradossalmente, proprio mentre la mente umana, forse per la prima volta, di fronte ad unepoca divenuta reticolare era in grado di osservare-conoscere il mondo in presa diretta, non riuscisse, tuttavia, a diagnosticare i suoi caratteri inediti dispiegantesi nella loro trasparenza sistemica. Ed attorno a questo nodo dilemmatico, chiamavo in causa proprio il cuore del saggio di Aldo Schiavone, Storia e destino. Lo assumevo come riferimento critico ed esprimevo qualche rilievo, scrivendo in questi termini: «pur riconoscendo effetti di verità ad alcuni campi disciplinari che appaiono molto fecondi grazie anche alle scoperte scientifiche di questi ultimi anni in particolare, lungo il vettore che lega in un 'trittico il cosmo, la vita e la specie , al punto da spingere qualche studioso a delineare il manifesto di un nuovo umanesimo, prefigurato dagli esiti della totalizzazione tecnica della natura ed effetto di quella bioconvergenza che sembra stringere in modo irreversibile natura e cultura, forme biologiche ed artificialità tecniche, Inizio e destino, tuttavia a noi pare che questo sguardo ottimistico, piuttosto che lasciar trasparire positive immagini di futuro, lasci scoperta (e conviva con) quella percezione di incertezza e di estrema contingenza che blocca tutte le soggettività sul bordo estremo di una soglia in cui il tempo è interamente schiacciato e contratto su un presente imponderabile e privo di prospettive» (Frammento e sistema, p. 10). Senza neppure nominarlo, il termine progresso appariva, dalle mie riflessioni, oltremodo problematico, in contrappunto alla tesi di Schiavone che, proprio attraverso il titolo del suo saggio Storia e destino , sembrava conferire proprio al progresso il timbro di una freccia 'destinale, scaturente dalla plurimillenaria storia umana, vista nel suo passaggio da una relazione incerta con una natura, originariamente potente, alle tante forme e dispositivi di dominio tecnico sulla stessa, a partire dallaccelerazione moderna. Sicché, potevo scrivere in nota chiudendo con la citazione di un passo di Storia e destino che «lautore, a partire dagli studi sul big bang della cosmologia contemporanea, sino alle opportunità aperte dalle scoperte sul genoma umano, affaccia alcune ipotesi positive per lumanità presente, secondo cui, quanto più il decentramento della nostra posizione nello spazio e nel tempo appare schiacciante e definitivo, tanto più la forza del nostro sguardo risulta rivelatrice e riscattante», (nota n. 5 Frammento e sistema, cit., p. 10).
Mè parso giusto e corretto riportare qui quei miei giudizi 'critici di allora che avevano al centro Storia e destino del 2007 , perché questultimo, breve saggio di Schiavone, Progresso, a me pare offra, con maggiore chiarezza e lucidità, il senso della posizione teoretica dellautore, intento a salvare lidea di progresso, attraversandola nella sua genealogia e giocandola proprio sul bordo di quella soglia in cui il plesso tra natura e artificialità colloca e vede lumano nel dispiegamento pieno della sua potenza tecnica. Sta di fatto che, quasi per una sorta di contrappasso diabolico, pur finito di scrivere negli ultimi mesi del 2019 poco prima che la diffusione del virus Covid19 stringesse il mondo intero sotto il prevalere del giogo inesorabile della legge di natura , leditore e lautore hanno opportunamente deciso di dare alle stampe il saggio Progresso nellaprile di questanno, offrendo a Schiavone lopportunità di aggiungere una postfazione, in cui lautore ha modo di cogliere e rinvigorire il senso delle sue tesi, al punto da scrivere che «la risposta ai problemi del presente [vale a dire la neutralizzazione delle minacce pandemiche del Covid19, ndr] è dunque davanti a noi, non alle nostre spalle» (Progresso, p. 145), lasciando così intendere come abbiamo provato a scrivere poco sopra che per lautore, pur consapevole della persistenza di uno scarto tra ragione e potenza artificiale, la bilancia non penda a favore di una natura fuori controllo che rischi così di far deflagrare irreversibilmente la vicenda umana , bensì sulle straordinarie conoscenze/applicazioni tecnico-scientifiche, attorno a cui lumano può ancora riuscire a coniugare la sfera dellintelligenza umana e la dimensione della vita a venire. Pertanto, la stessa minacciosa comparsa di questo ospite inatteso il Virus , di là dallo scenario drammatico con cui ha segnato, tra fine dicembre e gennaio 2020, la sua presenza al mondo, mettendo rapidamente in questione le nostre forme-di-vita, offre a Schiavone, in questa postfazione, lopportunità di rafforzare il senso del suo ragionamento di fondo. Ne riportiamo un passo significativo: «...quella del Covid-19 è stata la prima epidemia al mondo fin dallinizio (o quasi) sottoposta ad una medicalizzazione totale, planetaria che si è accompagnata ad unonda di informazioni (sia pure con alcune vistose falle), che non ha smesso mai di avvolgerla. Un abisso la separa da questo punto di vista rispetto allinfluenza cosiddetta spagnola di un secolo fa, consumatasi quasi in silenzio, nonostante il numero spaventoso di vittime (decine di milioni) [...] Nella congiuntura, la scienza e la tecnica sono apparse nitidamente per quello che effettivamente sono: le custodi dellumano, le garanti della sua esistenza. I loro protocolli, le loro procedure, le loro prescrizioni sono diventate per la prima volta la misura di una globalità universalmente accettata. Non più ridotta, come finora, alla sola dimensione del mercato e delle merci, ma in grado di incidere sulla stessa nuda vita e di metterla in gioco. Chi ancora avesse dubitato sulla funzione progressiva di quei saperi e di quelle pratiche, della loro capacità di proiettarsi persino oltre il guscio capitalistico che pur sempre le contiene [...] è rimasto clamorosamente smentito. La scienza e la tecnica non sono una potenza estranea a noi, che ci determina da fuori. Sono nostre figlie. Siamo noi. Sono la nostra ragione al lavoro: il prodotto decisivo della nostra storia» (ivi, pp. 139-141).
Sono il nostro destino, potremmo chiosare! Certo, la perentorietà con cui Schiavone motiva il proprio punto di vista sgombra il campo da ogni irenismo: lautore, infatti, non nega affatto né sottovaluta che «leconomia capitalistica questa, non la tecnica in quanto tale possiede intrinseci tratti rapinosi e predatori, che tendono a moltiplicare, se non ben controllati, squilibri e ferite sociali e ambientali di vastità imprevedibili» (ivi, p. 142, c. n.), e tuttavia, proprio di fronte alla diffusione pandemica di là delle défaillances o opacità informative, per responsabilità umane specifiche ed individuate, che hanno costretto a contrastare in ritardo la diffusione pandemica del virus , è indubbio riconoscere che è grazie allalta e diffusa capacità dei diversi saperi e specialismi (di carattere biologico, virologico, epidemiologico, infettivologo, sanitario, ecc.), resi possibili dal progresso tecnico-scientifico, che lumanità nel suo insieme ha potuto in breve tempo sia contrastare il virus sia penetrare sin da subito dentro le trame naturali del suo originarsi, della sua composizione ed azione compreso quel maledetto spillover , al fine di neutralizzarlo definitivamente, con la quasi certezza di giungere presto ad un vaccino.
Ci rendiamo conto che lidea del nostro esordio, segnato da pochi riferimenti del saggio che partono dalle pagine finali i passi della postfazione che commisurano la pregnanza dellidea di progresso di fronte alla sfida pandemica , proprio perché lasciano affiorare ed intendere subito le chiare opzioni teoretiche di Schiavone, possano spingere alcuni a ritenere superflua la lettura del saggio Progresso, dal momento che, anziché una categoria usurata e totalmente ineffettuale, lidea di progresso sembrerebbe confermare, per lautore, la persistenza della sua freccia produttiva per il tempo a venire. Ed infatti si commetterebbe un errore imperdonabile nel rinunciare alla lettura di un libro colto e raffinato che, con una scrittura piena e densa e un ritmo intenso dal punto di vista concettuale, dischiude veri e propri fasci di luce sulla storia controversa di una categoria e di un concetto attorno a cui il pensiero filosofico, sociologico, antropologico, storico, e poi biologico, naturalistico e antropotecnico non ha smesso di misurarsi. Innanzitutto, per via dellincipit dellesordio che ripropone lo sfondo inesauribile di quellicona, costantemente e ricorsivamente frequentata, che risponde al nome di Angelus Novus: vale a dire, il celebre dipinto di Paul Klee che aveva offerto a Walter Benjamin la possibilità di esplicare la sua visione messianica della storia, attraverso limmagine di un angelo quasi sospeso, trattenuto con lo sguardo rivolto al passato, dove sono disposte e visibili, rovine su rovine, le macerie di un mondo-tempo andato in frantumi che langelo contempla nel desiderio di volere ricomporre , mentre la tempesta che spira dal paradiso lo spinge verso il futuro schiudendogli con forza e violenza le ali, allontanandolo così da quel passato irredimibile. «Questa tempesta così chiudeva il passo Benjamin è ciò che chiamiamo progresso».
Ecco, già la suggestione di tornare ad una rinnovata rivisitazione ermeneutica dello sguardo dellangelo inesauribile e ineguagliabile topos che ha scandito interamente il grande pensiero speculativo del '900 sul tema del tempo e della temporalità costituisce unoccasione imperdibile per comprendere se e come lidea di progresso possa continuare ad offrire, nel nostro tempo globale, una sua inedita produttività. Ma più che sul versante del teologico-filosofico o di una dimensione redentiva, legata alla possibilità di una riserva escatologica, le finalità e le argomentazioni perseguite con acume da Schiavone come già detto , a sostegno dellidea di progresso, sono tutte finalizzate a commisurare, lungo lasse di una freccia, i mutamenti che il plesso natura-cultura (artificialità), physis-tecnica è venuto esibendo lungo i secoli o i millenni della storia dellevoluzione umana, sino a condurre lautore a parlare di «una relazione intrinsecamente progressiva tra pensiero e mondo» (p. 110). Ed infatti, è pur vero che se osserviamo e ricollochiamo il nostro sguardo panoramico indietro nel tempo sui millenni che precedono la sviluppo tecnico-scientifico , la storia ci conferma che la natura ha espresso, ab origine e per lungo tempo, la propria intatta potenza, è altresì noto che la capacità di manipolazione della physis da parte delluomo ha una storia altrettanto lunga, fatta di incessanti e pervasivi processi di dominio e di artificialità tecnica, sì da rendere quasi indistinguibili natura ed artificio, consentendo a partire dalla Modernità quei processi di accelerazione tecnico-scientifica che hanno visto lumano poter imprimere una svolta radicale allesistenza, alle stesse forme-di-vita, e alla stessa natura, grazie allespansione inaudita dei saperi scientifici su tutti i versanti. Al punto che Schiavone può scrivere che «ciò che è naturalmente divenuto e ciò che è tecnicamente prodotto diventeranno sempre meno distinguibili, integrati luno nellaltro allinterno del nostro stesso corpo e, fuori, nellecosistema intorno a noi: il cui equilibrio dipenderà sempre meno da un nostro puro e semplice astenersi, da un passivo ritrarsi, e sempre più da un piano razionale di interventi e di scelte attivamente conservative. Naturale non sarà ciò che non abbiamo toccato, ma ciò che abbiamo saputo e voluto difendere e far durare come tale. E quel che sarà stato fino ad allora un presupposto inalterabile della presenza umana nella storia la definizione della nostra forma biologica e del suo ambiente sarà solo il risultato che avremo conquistato attraverso le nostre scelte» (ivi, pp. 86-7, c. n.).
Ragione e potenza tecnica, pertanto, si stagliano potremmo dire, ontologicamente sul piano di una relazione inesausta e permanente, con la differenza che se nellantichità il piatto della bilancia pendeva di più verso condizioni (e conoscenze limitate) che schiacciavano lumano sotto il peso di quei vincoli naturali che lo rendevano subalterno, il nostro tempo, pur nel permanere di uno scarto tra ragione e dominio, colloca la tecnica su un livello altissimo e sofisticato di determinazione e di estrinsecazione di fini, sino al punto oggi non ancora possibile da delineare di un compimento postnaturale dellumano, dal momento che da sempre, la condizione dellumano «non si identifica con la specie che lo ha prodotto» (ivi, p. 90), lasciando immaginare il restringersi di quel filo sottile che ha distanziato linvariante biologico dalla presa sul corpo vivente per la potenza dellartificialità tecnica. Senza escludere, per Schiavone, che il principio universale di condotta, per Stati, Imperi e Istituzioni di ricerca, «debba essere la norma per cui leguaglianza genetica che abbiamo ereditato dalla storia evolutiva della specie che stiamo oltrepassando vada considerata come unacquisizione inviolabile [...], considerare sempre un obiettivo da difendere» (ivi, p. 131). Così come, tuttavia, di fronte a questa condizione di straordinari avanzamenti e gigantesche prospettive tecnico-scientifiche che il XX secolo ha saputo esprimere, non ci si può nascondere il fatto che la contemporaneità globale ci squaderni di fronte un abisso di tensioni, diseguaglianze, tendenze regressive e vite di scarto, tali da rendere più fessurato e incerto lo iato tra ragione e dominio. Vero è, pertanto, che se proiettiamo lo sguardo sul percorso evolutivo della specie umana limmagine della freccia nella lunga durata è rintracciabile, pur se «storia della tecnica e storia della determinazione umana non sono la stessa cosa.e non procedono di pari passo» (p. 131). Ed allora, è in questa frattura, in questo scarto che si gioca la sfida decisiva del nostro tempo. La scommessa, pertanto, sta tutta qui: dentro quelluniversalismo globale che unifica il mondo pur dentro un piano di insopportabili dissimmetrie ingiustizie, disparità, diseguaglianze, ecc..., tutte segnate dal dominio della parola Io «leconomia globale, che rimane più che mai un modo dellorganizzazione capitalistica del mondo, e dunque essa stessa una forma storica destinata prima o poi a esaurirsi, esige, per potersi riequilibrare, di essere messa confronto con una soggettività altrettanto globale che non può essere costituita se non dallimpersonalità dellumano, nel suo complesso» (ivi, p. 129, c. n.).
Si, è vero conclude lautore: «si sbagliava, dunque, langelo di Klee e di Benjamin: cera qualcosa che resisteva e durava, oltre lorrore e oltre le rovine, per cui valeva la pena di guardare» (ivi, p. 133). È un auspicio, quello di Schiavone, che coglie indubbiamente le sue fondate ragioni. È, il nostro, un tempo giunto allo stadio estremo di una saturazione piena declinante sul bordo inquieto di rovine depositate alle nostre spalle e di straordinarie opportunità, compresse dalle attuali forme di dominio , da cui è possibile uscire se la possibilità/necessità delle due frecce ragione e potenza , scoccate da due archi gemelli, di poter pervenire allo stesso bersaglio potrà tradursi in un successo auspicato. Vale a dire, condurci ad «unimmagine e unetica dellumano che sappiano andare oltre lindividuale» (ivi, 128). Come sempre, la libertà pencola sullabisso. E naturalmente, non rinunceremmo a dedicare attenzione e la nostra lettura di unaltra eventuale parolacontrotempo Speranza. Tuttavia, se è vero che il nostro è un tempo epimeteico di quellEpimeteo che è solo colui che vede dopo , qui possiamo solo sospendere le nostre riflessioni, sostando sulla pur speranzosa soglia da cui guardare il mondo e i suoi accadimenti, tenendo a mente o stando allascolto di quella voce del distico iniziale del Coro dellAntigone di Sofocle in cui si dice che: «Di molte specie è linquietante, ma nulla tuttavia di più inquietante delluomo si aderge».
Paul Klee, Scheidung abends, 1922.
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