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Kasparhauser ISSN 2282-1031

Semiotropie.
Eredità di Barthes

A cura di Giuseppe Crivella

XIII | 2016
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INDICE


Renato Barilli
Incontri e scontri con Roland Barthes

I miei rapporti con Roland Barthes cominciano, fine anni ’50, nel segno dell’ammirazione e del rispetto, procuratimi da suoi contributi quali Le degré zéro de l’écriture, e soprattutto dal saggio Littérature objectale, che erano un modo intelligente e vivace di accompagnare l’emergere del Nouveau Roman, e in particolar modo della parte rilevante tenuta in esso da Robbe-Grillet, da cui ero affascinato.



Roland Barthes
Lo Straniero, romanzo solare

Lo straniero è senza dubbio il primo romanzo classico del dopoguerra. Letto da tutti nelle fasi successive alla liberazione, questo piccolo romanzo ha dato a Camus la gloria: si è rimasti legati ad esso come a una di quelle opere perfette e significative che compaiono durante certe cerniere della storia per segnalare una rottura e riassumere una sensibilità nuova.



Jean Molino
Sul metodo di Roland Barthes

Partendo dal «corpus» costituito da tre pagine critiche di Roland Barthes dedicate a Racine, vorremmo tentare di analizzare il senso e i risultati del metodo critico utilizzato. Dunque non si tratta di formulare un giudizio generale sul metodo di Barthes... In effetti, nulla a priori permette d’affermare che la sua pratica critica corrisponda esattamente al suo programma teorico, così come è esposto per esempio nell’ultima parte d iSur Racine, Histoire ou littérature, o in Critique et vérité. Noi eviteremo dunque ogni incursione al di fuori del corpus sopra delimitato e ci proponiamo di cogliere le procedure, esplicite o implicite, utilizzate nelle tre pagine indicate.



Roland Barthes
L’Utopia

L’Utopia è il campo del desiderio, di fronte al Politico che è il campo del bisogno. Da qui i rapporti paradossali di questi due discorsi: essi si completano ma non si intendono: il Bisogno rimprovera al Desiderio la sua irresponsabilità, la sua futilità; il Desiderio rimprovera al Bisogno le sue censure, il suo potere riduttivo.



Roland Barthes
D’un sole reticente

Il pittore Eugène Delacroix diceva che per ritrovare ai nostri giorni l'abbigliamento greco in tutta la sua nobiltà bisognava andare in Marocco. Forse, nello stesso modo, è dal marocchino Zaghlul Morsy che noi riceviamo qualcosa di un certo lirismo francese e come il segno superlativo del nostro stesso linguaggio.



Giuseppe Crivella
I. Un remous minéral dans l’imposture du Sens achevé.
Barthes, Blanchot e la solitaria sfinge dell’écriture

Nell'arco di tempo che va dalle opere degli anni '50 fino agli ultimi testi della fine degli anni '70 le occorrenze del nome di Blanchot e i riferimenti espliciti alla sua opera all'interno della produzione barthesiana si moltiplicano in modo rilevante. Il nome dell'autore di Blanchot a poco a poco diventa sempre più frequente, ricorre in interviste, citazioni, testi estemporanei, saggi. Perfino nell'ultimo testo edito in vita da Barthes occupa inaspettatamente un posto di rilievo.



Giuseppe Crivella
II. Metacritica della critica (della ragion) letteraria.
Barthes e Adorno: il linguaggio è la sua ombra

È noto a tutti l'intento di Bouvard e Pécuchet: elevare ad un livello di trascrizione cosmica la loro micrologica attività di copisti in modo da imbrigliare tutto l'esistente nella fitta tabulazione di una nomenclatura cartesiana e trasparente, simile a una sorta di puntiforme enciclopedia del dato isolato che, letta dall'interno stesso della configurazione in cui si iscrive, trasforma il mondo in uno spazio desolato di realtà respinte in una lontananza astratta e rarefatta, le quali, osservate col distacco di una visione d'en haut, appaiono come un gremitissimo cimitero di sarcofagi vuoti.



Roland Barthes
Una problematica del senso

I problemi del senso sono diventati molto attuali da una decina d'anni; ciò è avvenuto per effetto di più fattori, innanzitutto per lo sviluppo abbastanza straordinario della linguistica negli ultimi trent'anni. Nel XIX secolo la ricerca linguistica, molto importante, si è sviluppata soprattutto nel senso di una linguistica storica e di una linguistica comparatista. All'inizio di questo secolo, verso il 1915, Ferdinand de Saussure ha posto storicamente le fondamenta di quella che potremmo definire una linguistica del linguaggio, e non più una linguistica delle lingue, cioè della funzione di parole e non più di questo o quel gruppo di lingue.



Giuseppe Crivella
III. Ecolalie di un ordigno iconico.
La Semiologia come decostruzione della linguistica in Barthes e Pasolini

Più o meno negli stessi anni in cui si compiva per Barthes la decisiva transizione verso il territorio delle immagini, anche un altro intellettuale, Pier Paolo Pasolini, in modo sempre più radicale si stava muovendo secondo la stessa traiettoria. Se per il primo si trattava di spostarsi da una semiologia di stampo prettamente saussuriano verso una fenomenologia selvaggia, per il secondo lo slittamento avveniva in vista di quella che egli stesso, di lì a qualche anno, avrebbe definito «Linguaggio Scritto della Realtà» o anche «soliloquio vitale della realtà con se stessa».



Giuseppe Crivella
IV. Scenografie logoclaste.
Barthes e Benjamin di fronte all’immagine

I percorsi che conducono Benjamin e Barthes a confrontarsi con la multiforme sfera di fenomeni afferenti alla dimensione dell'immagine sono estremamente differenti. Per il pensatore tedesco il primo incontro cruciale avviene di certo negli anni '20, durante le intense e sofferte fasi di stesura del lavoro sul Dramma barocco. Per quanto riguarda Barthes stabilire il momento in cui l'immagine inizia ad imporsi alla sua attenzione sembra essere più agevole. Esso dovrebbe collocarsi più o meno negli anni '70, allorché egli inizia a interessarsi in misura crescente alla fotografia e al cinema.



Roland Barthes
Artaud: scrittura/figura

Come parlare di Artaud? Tale domanda non è soltanto specifica (essa potrebbe esserlo per qualsiasi autore) ma, se ci è concesso dirlo, semelfattiva (importa poco l'odore scientifico del termine): l'impossibilità di parlare di Artaud è quasi unica; Artaud è ciò che si chiama in filologia un hapax, una forma o un errore che si incontra una sola volta nel corso del testo.



Roland Barthes
Bernard Faucon

Bernard Faucon ha fotografato dei ragazzi (reali e/o simulati). Tuttavia il motivo (la questione) della sua impresa non è né l'amore per i fanciulli né l'arte fotografica. O almeno, per il turbamento che ci comunicano queste immagini, per il vero enigma che esse lasciano in sospeso o immobilizzano sotto i nostri occhi che non possono distaccarsene senza per questo intravederne il segreto, noi dubitiamo (infine) che nella Fotografia.



Philippe C. Dubois
Barthes e l’immagine

Dal 1952, Roland Barthes comincia a snocciolare, prima in Critique e poi nelle Lettres Nouvelles, le sue petites mythologies du mois, in cui dissecca, analizza ed espone quanto c'è di ideologico e fallace nell'attualità dell'epoca. Che si dedichi a una pubblicità o a un evento sportivo, nulla sfugge alla sua lucidità critica; e Roland Barthes diventa ben presto uno degli osservatori più lucidi dell'epoca.



Roland Barthes
Dalla parola alla scrittura

Ecco da principio a grandi linee ciò che cade nella trappola della scrizione. In primo luogo noi perdiamo, è evidente, qualcosa in innocenza; non che la parola sia in se stessa fresca, naturale, spontanea, veridica, espressiva di una sorta di interiorità pura; al contrario la nostra parola (soprattutto in pubblico), è immediatamente teatrale, essa prende in prestito i suoi giri (nel senso stilistico e ludico del termine) da tutto un insieme di codici culturali e oratori; la parola è sempre tattica; ma passando allo scritto è l'innocenza stessa di questa tattica, percepibile a chi sa ascoltare, esattamente come altri sanno leggere, che noi rendiamo felpata; l'innocenza è sempre esposta.



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